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aggressioni in ospedale

Casi di violenza ai danni dei sanitari in aumento

di Redazione

Vittima del raptus di un accompagnatore del paziente che stava visitando, Adelaide Andriani, 28 anni, specializzanda in Chirurgia generale e in forze alla Guardia Medica dell’ospedale Gervasutta (Udine), è già alla terza aggressione subita nonostante una carriera ancora agli albori. Basta, lascio la professione, avrebbe deciso dopo l'episodio denunciato sui social dalla collega Giada Aveni, con tanto di foto e video degli ematomi sul collo divenuti l'emblema della situazione insostenibile nella quale lavorano i professionisti della Sanità. Solidarietà e vicinanza nei confronti di medici e infermieri sono arrivate dal ministro della Salute Orazio Schillaci, che metterà in atto tutte le iniziative necessarie a tutelare la loro incolumità.

Tentato strangolamento ai danni di una guardia medica a Udine

Per un istante ho pensato di morire. Mi ha messo una mano al collo e ha stretto. È il racconto di Adelaide Andreini, 28enne specializzanda in Chirurgia, aggredita la sera del 7 gennaio mentre era in servizio alla guardia medica del Gervasutta di Udine. A liberarla dalla presa è stata un'altra specializzanda, che ha denunciato sui social l’accaduto postando la foto dei lividi della collega.

Faccio appello a che questo post si diffonda - scrive Aveni sui social - perché non posso pensare che un’altra persona ancora, dopo la mia collega, rischi di essere strangolata dall’accompagnatore di un paziente o da chicchessia!.

Dal canto suo, il Ministro della Salute Orazio Schillaci ha annunciato provvedimenti in arrivo: Da subito ho chiesto di efficientare le attività di monitoraggio e prevenzione in capo all’Osservatorio nazionale, previsto dalla legge 113/2020 per la sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie, così come intendo rendere nuovamente operativo il Comitato nazionale per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive, fermo dal luglio scorso.

E ancora: Il Piano nazionale della Prevenzione, inoltre prevede una specifica azione centrale proprio in tema di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, con l’obiettivo di promuovere e ampliare le tutele in maniera integrata, approccio che rappresenta un punto chiave all’interno dei progetti finanziati nell’ambito del Piano nazionale complementare al Pnrr.

Chiediamo più tutela nello svolgimento del nostro lavoro! Finché non ti succede, non ti rendi conto che una volta è andata bene ma non è detto che sia così anche la prossima. SI chiude così il post virale di Aveni, a testimoniare come non sia più procrastinabile intervenire sul fenomeno delle aggressioni ai danni dei sanitari.

Aggressioni sul lavoro per 130mila infermieri ogni anno in Italia

Secondo gli ultimi dati Inail in 5 anni, dal 2016 al 2020, sono stati 12mila gli infortuni sul lavoro per il personale sanitario registrati come violenze, aggressioni e minacce, con una media di circa 2.500 l'anno. Le aggressioni (fisiche e/o verbali) sul posto di lavoro colpiscono mediamente in un anno un terzo degli infermieri – la categoria professionale più numerosa del Servizio sanitario nazionale e della Sanità in generale – il 33%, dunque circa 130mila casi, con un “sommerso” non denunciato all’Inail di circa 125mila casi l’anno. Il 75% delle aggressioni riguarda donne.

Le conseguenze materiali per i professionisti vittime di aggressioni fisiche spaziano nel 32% dei casi da escoriazioni e abrasioni a fratture e lesioni dei nervi periferici, fino anche (seppure in pochi casi) all’invalidità. La principale conseguenza psicologica è il burnout che colpisce il 10,8% degli infermieri che hanno subito violenza: attualmente quelli in burnout per questa e altre cause (stress da lavoro) sono il 33%. Anche gli assistiti, va da sé, corrono rischi.

La violenza è nella maggior parte dei casi legata alla carenza di personale e alle sue conseguenze sui servizi: un’assistenza efficiente (con la riduzione del rischio di mortalità fino al 30%) si ha con un rapporto infermiere/paziente 1 a 6; ad oggi, invece, il rapporto medio nazionale è 1 a 12.

Tutto questo incide pesantemente anche sul fenomeno dell'abbandono della professione; in Italia il 36% degli infermieri dichiara di voler lasciare il luogo di lavoro entro 12 mesi; di questi il 33% dichiara di voler lasciare la professione, dato che corrisponde a circa l’11% del campione generale (RN4CAST).

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