Gli infermieri sono la speranza, la coccola, la fiducia. Sono la figura più vicina al paziente. Sono pertanto l'anima dell'ospedale. Così si è espressa l'attrice Elisa Di Eusanio che nella fiction televisiva campione di ascolti “Doc, nelle tue mani” interpreta la coordinatrice infermieristica nell'équipe del dottor Fanti a cui l'attore Luca Argentero da qualche anno presta il volto. Il riconoscimento che viene dato alla figura dell'infermiere, messo in evidenza puntata dopo puntata nella finzione scenica, corrisponde certamente al suo valore nella realtà, sebbene l'apprezzamento sociale e il rispetto verso la professione non siano altrettanto veritieri nella vita di tutti i giorni. Violenze ed aggressioni da una parte e criticità irrisolte dall'altra ne sono la prova.
Gli infermieri sono l'anima dell'ospedale
Da decenni vengono ideate serie televisive di genere medical drama in cui i maggiori protagonisti sono sempre i medici e gli infermieri non sono generalmente elencati tra i personaggi principali. Spesso sono secondari o minori.
Essi fanno, infatti, da contorno o da sfondo, come comparse che sostengono ed arricchiscono la narrazione. Nella trama delle varie filmografie gli infermieri si trovano in ordine sparso tra il personale ospedaliero, in base al numero di comparse negli episodi.
Anche nella realtà in fondo essi non hanno un posto e un nome negli elenchi dei reparti, dove figura soltanto il riferimento del coordinatore infermieristico. Risultano pertanto accorpati nel comparto, appunto.
Ciò risulta evidente soprattutto nelle produzioni americane, che fanno da modello per produttori e registi di tutto il mondo. Da E.R. Medici in prima linea (1994-2009) a New Amsterdam (2018-2023) e da Dr House Medical Division (2004-2012) a The Good Doctor (2017-2024), passando per Grey's Anatomy (2005-2019) il dramma ospedaliero, in cui si consumano casi e storie tra il personale, cattura lo spettatore, fidelizzandolo come fosse davvero un paziente che ha bisogno di quelle cure e di quelle attenzioni.
Ci si immedesima. Tutto diventa show, anche la malattia. Sono serial di successo, seguiti dal grande pubblico, che ottengono premi e riconoscimenti. Sono così ben fatti ed avvincenti, stagione dopo stagione, da meritare Emmy Awards e Golden Globe.
I casi clinici sono realistici e ben descritti e nei dialoghi la terminologia scientifica è quasi sempre appropriata. Anche se alcune situazioni sembrano improbabili o inverosomili, bisogna tenere in considerazione un ambiente culturalmente diverso, un contesto talvolta estraneo o lontano ed un sistema sanitario differente.
In ogni caso le infermiere e gli infermieri che vengono interpretati in questo genere di telefilm, qualsiasi ospedale faccia da set per la registrazione degli episodi, sono pochi e marginali, a parte qualcuno che spicca per rendere più interessante la storia.
Così Carol Hathaway (E.R.) al County General Hospital di Chicago, Dalisay Villanueva (The Good Doctor) al San Jose St. Bonaventure Hospital in California, Brenda Previn al Princeton-Plainsboro Teaching Hospital nel New Jersey (Dr House), Em Grosland al New Amsterdam Medical Center di New York (New Amsterdam) e Olivia Harper al Seattle Grace Hospital (Grey's Anatomy) sono tutti un po' uguali.
Sembra che i tratti del personaggio siano stati delineati dallo stesso autore, che tende a cadere nel cliché più diffuso. Tutti hanno una relazione affettiva con un medico. Risultano poi "Capo Infermiera", viene loro assegnato nel copione il ruolo più prestigioso del profilo.
Le altre infermiere sono semplicemente comparse ricorrenti ma anonime, anche se compaiono in decine di episodi e senza recitare battute. Lavorano e basta.
Non è forse così anche nella realtà di ogni ospedale italiano?
Passano veloci lungo i corridoi, tra i pazienti. Li accolgono solerti al triage ed accompagnano di corsa le barelle verso sale operatorie e d'emergenza. Fanno da strumentiste, accorrono se c'è un'urgenza in stanza.
Sono ovunque. Tuttavia sembra che, nello svolgimento della narrazione, quella che avvince lo spettatore, tutto venga fatto dai medici che vanno e vengono dai letti dei pazienti, presso il cui capezzale si siedono a parlare, spiegare, confortare. Forse realtà e fiction corrispondono.
Viene messa in scena una rappresentazione vista dalla prospettiva delle persone, sia quelle che guardono lo show dal divano di casa sia quelle che lo vivono in diretta. In realtà i pazienti forse hanno occhi e considerazione soltanto per i medici. Oppure da casa sono così presi dalla fiction, perché vedono quello che vorrebbero vedere nelle corsie che frequentano. Una sanità vicina e più umana. Oppure i produttori esecutivi fanno vedere come dovrebbe essere tutto il sistema o verso quale direzione sta andando.
Se nell'immaginario collettivo gli infermieri contassero davvero qualcosa dovrebbero essere trattati davvero come l'anima degli ospedali, anche dalle istituzioni. Se così fosse, non sarebbero recitati sempre come figure ancillari ed ausiliarie, messe in secondo piano rispetto alla classe medica nello sviluppo degli eventi.
Bisognerebbe allora ideare un serial “Nurse, nelle tue mani”, considerando che sono le mani degli infermieri che svolgono la maggior parte dell'assistenza, seppur in sinergia con i medici e con competenze diverse che non possono essere isolate le une dalle altre.
Si è nelle mani dei medici per una diagnosi corretta, la prescrizione di una cura efficace, per un intervento chirurgico ben riuscito. A concorrere a salvare la vita di qualcuno, in tutte le sue molteplici declinazioni assistenziali, concorrono per tutto il resto gli infermieri.
Comunque sia, è innegabile che gli infermieri siano l'anima dell'ospedale. Considerando che essere anima di qualcosa significa stare o essere messi al centro, essi possono essere intesi certamente come un nucleo intrinseco e un midollo vitale.
Una sostanza fondamentale racchiusa in una struttura fisica e in un'organizzazione lavorativa, che racchiude a sua volta persone, coinvolgendole nell'assistenza e inglobandole nella relazione di cura. Sono ossatura, come un pilastro, che sostiene.
Che lega, unendo altri professionisti della salute con affinità di intenzioni ed obiettivi condivisi. Essere anima vuol dire essere presenti. Parte essenziale di un sistema e motore principale di un'équipe.
Considerando altresì che avere anima vuol dire sentire profondamente, gli infermieri sono coloro infatti che hanno quel sentimento che li fa mettere empaticamente dalla parte del malato. Accompagnandosi al senso di avere attitudine, avere anima e mettercela tutta vuol dire metterci impegno e calore, nonostante la fatica. Dare anima all'assistenza significa darle vita e concretezza.
Ad un ruolo così non possono essere assegnate parti secondarie.
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