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Salute

Indicazioni Oms su gestione dei morti per disastri naturali

di Monica Vaccaretti

Si stima che nell'ecatombe nella Libia orientale abbiano perso la vita circa 20mila persone. Si contano e si cercano anche medici ed infermieri libici tra i morti e i dispersi di Derna, la città portuale sulle coste della Cirenaica, travolta dall'inondazione provocata dal crollo delle dighe durante l'uragano Daniel. Gli ospedali hanno resistito alla devastazione dell'acqua, ma manca buona parte del personale che viveva in città. Molti sanitari risultano scomparsi, sommersi dal fango o finiti in mare, mentre si trovavano nelle loro case. Seguivano, come tutti gli abitanti, le direttive che le autorità avevano diffuso per proteggere la popolazione dalla furia delle piogge torrenziali. Non risulta pertanto possibile garantire un'assistenza sanitaria efficiente, contando solo sulle disponibilità locale. Ancora una volta servono professionisti da altre parti del mondo per assistere tutti coloro che hanno bisogno di cure e kit medici di emergenza per curare i feriti. Manca tutto, persino un posto libero nei cimiteri. Lo ha dichiarato una coordinatrice medica di Medici senza Frontiere, l'organizzazione francese che ha già inviato sul posto un'équipe, anche logistica, non solo per valutare le esigenze prioritarie di salute ma anche l'acqua e i servizi igienico-sanitari. Il rischio di epidemie, temuto da molte organizzazioni umanitarie, non viene dai cadaveri, anche se l'aria odora di morte, ma dalla contaminazione delle acque stagnanti.

I cadaveri derivanti da disastri naturali non comportano rischi per la salute

libia alluvione

La notte di sabato 11 settembre 2023, l'Uragano Daniel ha colpito la Libia causando il crollo delle dighe.

Quando si verifica una catastrofe, come anche nel caso del recente terremoto nella regione dell'Atlante in Marocco, è necessario esortare i soccorritori a seguire i principi per la gestione dei cadaveri, stabiliti dagli organismi internazionali. Affrettarsi con sepolture e cremazioni di massa è una corsa inutile che non fornisce alcun beneficio per la salute pubblica.

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità questo approccio, umanamente comprensibile, può essere invece dannoso per la popolazione, poiché i cadaveri derivanti da disastri naturali e conflitti generalmente non comportano rischi per la salute.

È essenziale invece garantire la dignità dei cadaveri e la chiusura emotiva per i familiari sopravvissuti. Lo affermano anche la Federazione internazionale delle società della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa (IFRC) e il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) in un comunicato stampa diffuso lo scorso 15 settembre, congiuntamente all'Oms.

Occorre pertanto gestire i cadaveri in modo sicuro e con dignità, non tanto per tutelare la salute pubblica che non ne è minacciata, quanto piuttosto per aiutare i sopravvissuti ad elaborare il lutto. La presenza di corpi ovunque è angosciante per le comunità colpite così che, sotto la pressione delle autorità e comunità locali per false credenze, si cerca di seppellirli rapidamente, solitamente in fosse comuni, per alleviare il disagio emotivo e per il timore che possano rappresentare un pericolo per i sopravvissuti. Ma un cadavere, soltanto per essere tale, non provoca un contagio mortale. Non ammorba l'aria, non genera pestilenza aerea.

Considerando che senza un riconoscimento ufficiale diventa più difficile e talvolta impossibile notificare un decesso, sbarazzarsi dei corpi priva soltanto le famiglie dell'opportunità di identificare e piangere i propri cari ed eseguire riti funebri in conformità con le norme culturali e sociali locali.

Assolvere questo dovere rispettoso richiede certamente più tempo, che sembra mancare se ci si fa prendere dall'angoscia di vedere migliaia di cadaveri in giro. Una situazione caotica, senza coordinamento, qual è quella libica ad una settimana dal disastro, impedisce il regolare svolgimento del censimento e dell'identificazione delle vittime.

Ogni morto ha diritto, come capita con i vivi per la cura, a tutto il tempo che serve per essere non soltanto recuperato, possibilmente non a bordo di una pala caricatrice di una ruspa, ma anche ricomposto degnamente, senza aggiungere allo strazio di un sacco di plastica la negazione di una fossa unica.

Quando catastrofi naturali e conflitti armati causano devastanti perdite umane spesso le persone, tra i superstiti e i soccorritori, esprimono paure infondate riguardo ai morti. È diffusa la convinzione, non supportata da prove scientifiche, che essi possano generare epidemie. Chi muore in questo modo non è fonte di malattie.

Sono piuttosto coloro che sopravvivono ad un evento come un disastro naturale che hanno maggiori probabilità di diffondere malattie rispetto ai cadaveri per le cattive condizioni ambientali ed igieniche in cui vivono da sfollati durante le fasi successive al disastro, in carenza di cibo, ripari e medicine, scatenando il rischio di una seconda crisi umanitaria dopo l'evento calamitoso.

L'Oms ribadisce che corpi di persone ferite da traumi o già in stato di decomposizione - lasciate troppo tempo all'aria, nell'acqua o sotto le macerie - non rappresentano quasi mai un pericolo per la salute della comunità. Il rischio per la popolazione è considerato trascurabile. Le vittime morte per trauma, annegamento o incendio normalmente, infatti, non ospitano organismi che causano malattie se si adottano le comuni precauzioni ossia ponendo attenzione a lavarsi le mani con acqua e sapone o a pulirle con una soluzione a base alcolica se non è presente sporco visibile, dopo ogni contatto con il defunto.

Infermiere

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