La pandemia in corso ha permesso a molti “non addetti ai lavori” di scoprire termini per lo più sconosciuti finora: abbiamo spiegato ai cittadini cosa volesse dire sanificazione e disinfezione e lo abbiamo fatto in modo professionale e fruibile allo stesso tempo. I nostri discorsi sono entrati nelle case di milioni di cittadini, in tutto il mondo. Peccato che non abbiamo avuto sempre un feedback adeguato. Lo dimostra un recente documento prodotto dal “US Department of Health and Human Services/Centers for Disease Control and Prevention (aprile 2020)”. Si tratta in realtà di un Report di una Morbidity and Mortality Conference, riguardo l’esposizione ad agenti chimici (detergenti, disinfettanti ed antisettici) utilizzati durante l’emergenza SARS-CoV-2, al fine di contenere il contagio. L’obiettivo del report era quello di verificare eventuali associazioni tra le raccomandazioni di pulizia prodotte dalle agenzie di sanità pubblica e dai media ed il numero delle esposizioni chimiche riportate nei dati nazionali da parte dei centri antiveleni americani. Il metodo di indagine è consistito nel confrontare il numero di segnalazioni del trimestre gennaio-marzo 2018, 2019 e 2020.
Covid-19 e l'importanza di divulgare informazioni corrette
Nel periodo gennaio-marzo 2020 i centri antiveleni statunitensi hanno ricevuto 45.550 richieste di aiuto a causa di un’esposizione a detergenti (28.158) e disinfettanti (17.392). La pandemia ha fatto quindi registrare un aumento del 20,4% rispetto al 2019 (37.822) e del 16,4% riguardo al 2018 (39.122).
Tra i disinfettanti maggiormente responsabili di intossicazioni o comunque di malessere, troviamo:
- Ipoclorito di sodio: 1949 casi, aumento del 62%
- Disinfettanti analcolici: 1684 casi, aumento del 36,7%
- Antisettici per l’igiene delle mani: anche in questo caso 1684 casi, ed aumento del 36,7%
Tutte le fasce di età sono state coinvolte, in particolar modo è stato registrato un incremento importante nei bambini di età inferiore ai 5 anni. Risulta quindi evidente quanto potente sia la comunicazione, quanto cioè sia facile diffondere informazioni in maniera capillare; allo stesso tempo però dobbiamo considerare molto attentamente le conseguenze della nostra opera di educazione sanitaria.
Al riguardo due casi (tratti anch’essi da documento citato ad inizio articolo) dimostrano la capacità di confondere gli utenti.
Caso 1
Alla notizia di dover pulire tutti i generi alimentari recentemente acquistati, una donna ha riempito completamente il proprio lavandino con una miscela composta da candeggina al 10%, aceto e acqua calda e vi ha versato tutti i prodotti. In seguito, mentre si dedica al successivo risciacquo degli alimenti stessi, inizia a manifestare dispnea, tosse e respiro sibilante.
Chiamato il 911 e trasportata in ospedale, le viene riscontrata una lieve ipossiemia con conseguente insufficienza respiratoria. Durante il periodo di osservazione, le sono stati somministrati ossigenoterapia e broncodilatatori. Dopo alcune ore di monitoraggio, la signora è tornata a casa.
Caso 2
Un bambino in età prescolare è stato trovato nella sua casa non rispondente, per cui è stato trasportato d’urgenza in ospedale. Durante l’ispezione del domicilio è stata trovata una bottiglia di antisettico per le mani a base di etanolo aperta. Secondo la sua famiglia, dopo aver ingerito una grande quantità di prodotto, il bambino ha avuto vertigini e, cadendo, ha battuto la testa.
In ospedale è stata rilevata una presenza di alcol nel suo sangue pari a tre volte il limite consentito negli Stati Uniti, ovvero è stata registrata una presenza di 273 mg/L, mentre nella maggior parte degli Stati americani le leggi definiscono un limite di 80 mg/L. Dopo una TAC è stato tenuto in osservazione in terapia intensiva pediatrica per 48 ore ed infine è stato dimesso in buone condizioni.
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