Cosa succede in questo periodo pandemico in cui metà del nostro viso è coperto dalle mascherine? Il sorriso è scomparso, in un periodo in cui sarebbe così importante per dare incoraggiamento, sostegno, sollievo non possiamo più vederlo. Il sorriso offre anche sicurezza, perché chi ci guarda si rassicura nel vederci sereni. Non dimentichiamo che la tipologia dei pazienti è sempre di più tendente alla terza età, periodo in cui, al di fuori dell’ambiente familiare, i dubbi e le paure sono ingigantite. Quanto sollievo potrebbe donare un sorriso a chi sta vivendo un periodo in ospedale senza gli affetti dei familiari?
Quanto aiuterebbe un sorriso in questi tempi di Covid
Cerchiamo in tutti i modi di infondere sicurezza con gli occhi, ma quanto aiuterebbe un sorriso
Credo che, chi fa il nostro lavoro, ha sicuramente notato quanto a volte un sorriso risolve dubbi o dona conforto, “nella tristezza è consolazione: è l’antidoto naturale di tutte le nostre pene” recita la poesia. Funziona per noi stessi e per gli altri.
Il sorriso indica il nostro essere, la nostra capacità di incontrare le necessità degli altri o di esprimere il nostro pensiero, senza parole a volte. Indica cioè la nostra capacità di empatia, che nel lavoro degli infermieri è così importante. Il nostro lavoro sta cambiando anche riguardo questi piccoli particolari, che però assumono importanza per la soddisfazione dei pazienti. Cambia il nostro approccio , abbiamo a che fare con persone il cui sintomo principale è spesso la paura, paura di un ambiente nuovo, paura di rimanere soli, di non avere aiuti per i bisogni primari.
I pazienti quando entrano in ospedale sono spesso attaccati al loro cellulare, che è l’unico contatto con i familiari; quando si scarica sono spaventati e in attesa che di nuovo possa essere il loro collegamento con l’esterno. Non possono uscire dalle loro stanze, quindi si sentono legati in un ambiente ostile e ristretto, hanno contatti solo con noi e con il resto del personale sanitario. Quanto aiuterebbe un sorriso .
Cerchiamo in tutti i modi di infondere sicurezza con gli occhi, incrociamo i loro sguardi, rispondiamo alle loro domande, li rassicuriamo con le parole, ma nessuno è così ricco da poter fare a meno del sorriso e nessuno è così povero da non meritarlo (F. Faber, “Un sorriso”), eppure non siamo più in grado di donarlo.
Decadono così alcune delle mie certezze, la mia capacità di recare conforto è senz’altro diminuita e pensare che ci ho sempre tenuto tanto, ne avevo fatto un punto di forza, ero convinta che avesse un effetto terapeutico. Questo periodo è proprio difficile, ci rende fragili, insicuri, in continua ricerca di motivazioni, stratagemmi ed abilità per poter garantire il diritto alla salute degli utenti che a noi si affidano.
Ma non è tutto: anche il sorriso dei pazienti è importante, quando ti avvicini, li tocchi e ti sorridono per ringraziarti o quando con un sorriso ti fanno capire che sono contenti che tu ci sei. Ecco, anche questo manca tantissimo in questo tempo così strano, ma quando rifletto su questa mascherina mi viene in mente che potrebbe essere il nostro futuro, così come, negli anni ’90 dopo aver conosciuto l’HIV , l’uso dei guanti è diventato una pratica corrente e non eccezionale.
Se sarà così, la nostra professione perderà molto, ma magari gli infermieri del futuro troveranno un modo di trasmettere l’empatia attraverso nuovi meccanismi, glielo auguro di cuore perché a me il sorriso ha aiutato in moltissime situazioni. L’ultima questa mattina quando una paziente oncologica ricoverata nel nostro reparto mi ha chiesto come andassero gli esami. Non ho resistito alla tentazione e abbassando la mascherina le ho detto: tranquilla Maria, sta andando tutto bene , pensando così che il sorriso con cui avevo accompagnato la frase avrebbe reso un po’ più dolce quella pietosa bugia e reso il nostro rapporto più empatico ed emotivamente più forte.
Patrizia Marchetti - Infermiera
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