Tipologie di tumore della tiroide
La diagnosi di cancro alla tiroide può essere stabilita in base all'esito di un'agobiopsia.
Esistono diversi tipi di tumore alla tiroide che determinano decorso e prognosi: la forma ben differenziata (papillare e follicolare) che rappresenta l'85-90% dei casi ed è la più curabile, la forma scarsamente differenziata (5-7%), la forma midollare e la forma indifferenziata o anaplastica (2-3%).
Adenocarcinoma papillare
Il più comune e il meno aggressivo. Il nodulo è asintomatico in una ghiandola normale. Inizia nell'infanzia o nella prima età adulta.
Rimane localizzato. Se non trattato, metastatizza attraverso il circolo linfatico. Più aggressivo negli anziani.
Adneocarcinoma follicolare
Si manifesta dopo i 50 anni. Incapsulato, ha consistenza elastica o gommosa alla palpazione. Metastatizza, circolando nei vasi sanguigni, nel tessuto osseo, nel fegato e nei polmoni .
La prognosi è meno favorevole di quella dell'adenocarcinoma papillare.
Midollare
Si manifesta dopo i 40 anni. Insorge come parte di una neoplasia endocrina multipla. È un tumore ormono-secernente che causa sintomi di disfunzione endocrina.
Anaplastico
Si manifesta nel 50% dei casi dopo i 60 anni come una massa dura, dalla forma irregolare, che cresce rapidamente ed invade direttamente i tessuti adiacenti.
Linfoma tiroideo
Si manifesta dopo i 40 anni con una pregressa storia di gozzo, raucedine, dispnea, dolore, pressione. La prognosi è buona.
Fattori di rischio
Tra i fattori di rischio dei tumori papilliferi e follicolari c'è la carenza di iodio che causa il gozzo , spesso caratterizzato da numerosi noduli benigni della ghiandola che in alcuni casi può predisporre alla trasformazione maligna delle cellule.
Un altro fattore di rischio accertato è l'esposizione a radiazioni ionizzanti, come i trattamenti con radioterapia al collo in età infantile e la familiarità.
Il segno più comune è un nodulo isolato all'interno della ghiandola
Le lesioni singole che vengono osservate e percepite alla palpazione come masse dure e fisse e spesso associate a linfoadenopatia cervicale suggeriscono la malignità. Soltanto in rari casi, generalmente i più aggressivi, il cancro si può manifestare sin dall'esordio con una massa che cresce rapidamente e che può interessare estesamente il collo, sino alla regione dei linfonodi latero-cervicali.
Il paziente non lamenta nessun disturbo specifico e la funzione tiroidea non è quasi mai alterata dalla presenza di noduli, siano essi benigni o maligni, sebbene le prove di funzionalità tiroidea (Ft3, FT4 e TSH) possono essere utili nella valutazione iniziale di masse e noduli tiroidei.
L'eventuale modificazione patologica dei livelli ormonali indica una patologia di tipo infiammatorio o autoimmune piuttosto che tumorale o, se gli ormoni sono aumentati, di un tumore benigno iperfunzionante (adenoma tossico) facile da curare. È utile misurare la calcitonina che, se elevata, può suggerire la presenza di un carcinoma midollare.
Diagnosi di cancro alla tiroide
La diagnosi di cancro alla tiroide può essere stabilita in base all'esito di un'agobiopsia, procedura non rischiosa eseguita in anestesia locale e sotto guida ecografica che consente anche di differenziare tra noduli tiroidei benigni e maligni nonché di effettuare la stadiazione di una neoplasia maligna.
Tuttavia, il prelievo potrebbe non includere le cellule tumorali eventualmente presenti. Quando la biopsia standard non consente una diagnosi certa, oppure nel caso di tumori in rapida crescita, può essere eseguita un'altra biopsia con un ago dal calibro maggiore.
Altre indagini diagnostiche sono:
l'ecografia, che permette di identificare la presenza di noduli anche piccoli
la scintigrafia tiroidea, che valuta la capacità della tiroide e di eventuali noduli di captare lo iodio
la risonanza magnetica nucleare e la Tac , che evidenziano meglio i rapporti del nodulo con le strutture del collo e del mediastino e lo stato dei linfonodi
le prove di ablazione funzionale
I cancri avanzati della tiroide, non trattati, possono invadere le strutture adiacenti (laringe, esofago, trachea), ma causano raramente difficoltà di alimentazione e di respirazione.
Come si tratta il cancro della tiroide
Il trattamento del carcinoma tiroideo è medico e chirurgico, ma quello d'elezione è l'asportazione chirurgica. Quando è possibile si esegue una tiroidectomia totale o subtotale.
Anche se in genere si preferisce asportare tutta la ghiandola (tiroidectomia) talvolta un piccolo carcinoma papillare o follicolare può essere curato con un intervento conservativo di lobectomia, cioè con l'asportazione del solo lobo coinvolto.
Se sono interessati i linfonodi viene eseguita una dissezione del collo modificato, un intervento più esteso di dissezione radicale del collo. Si cerca comunque di risparmiare le ghiandole paratiroidi per ridurre il rischio di ipocalcemia postoperatoria e di tetania. In caso di tumori molto piccoli, senza fattori di rischio o coinvolgimento linfonodale, si può anche non intervenire chirurgicamente, specialmente se il paziente ha una età avanzata.
Le possibili complicanze dell'intervento sono l'emorragia, la formazione di un ematoma, edema della glottide, lesioni del nervo laringeo ricorrente. Talvolta, durante l'intervento sulla tiroide, è possibile ledere o asportare accidentalmente le ghiandole pratiroidi, provocando una alterazione del metabolismo del calcio con una caduta della calcemia, un fenomeno transitorio che si manifesta con iperirritabilità dei nervi con spasmi muscolari nelle mani e nei piedi (tetania).
Dopo la chirurgia, se il tumore è radiosensibile si procede all'ablazione del tessuto ghiandolare residuo irradiando con iodio radioattivo. Questo trattamento è oggi riservato solo a casi definiti a rischio intermedio di sviluppare una recidiva locale o metastasi a distanza.
Il principio della terapia radiometabolica si basa sul fatto che le cellule tiroidee, anche se tumorali ma ben differenziate, sono avide di iodio e le radiazioni emesse dagli atomi di iodio radioattivo, attivamente captato e trasportato dentro le cellule, successivamente sono in grado di distruggerle.
Si somministra inoltre ormone tiroideo a dosi soppressive per portare i livelli di TSH a valori compatibili con uno stato eutiroideo. Se il tessuto tiroideo residuo non è sufficiente a produrre quantità di ormone adeguate, sarà necessaria una terapia cronica con tiroxina .
Mucosite, secchezza della mucosa orale , disfagia , eritema cutaneo, anoressia , affaticamento sono le complicanze che possono insorgere in seguito a radioterapia . Sebbene possano manifestarsi reazioni sistemiche alla radioterapia, tra cui neutropenia e piastrinopenia, tali complicanze sono rare.
Il trattamento del cancro tiroideo mediante chemioterapia è oggi raro, essa è stata sostituita con nuove terapie a bersaglio molecolare con farmaci appartenenti alla famiglia degli inibitori della tiron-chinasi che bloccano la proliferazione e la crescita dei vasi che nutrono il tumore (vandetanib, cabozantinib, lenvatinib, sorafenib). Le evidenze dimostrano che l'associazione della radioterapia all'intervento chirurgico aumenta la sopravvivenza del paziente.
Se il cancro della tiroide viene identificato precocemente e adeguatamente trattato il paziente recupera molto bene. Per il cancro papillare è stata osservata una sopravvivenza di 10 anni nel 90% die casi. La sopravvivenza a lungo termine è comune anche per il cancro follicolare, sebbene sia più aggressivo. La terapia ormonale sostitutiva continua e visite di follow up periodiche sono fondamentali per assicurare il benessere del paziente.
Dopo l'intervento il paziente deve essere istruito sulla necessità di una terapia ormonale sostitutiva per prevenire l'ipotiroidismo. I successivi controlli includono la valutazione clinica di eventuali recidive di noduli e masse nel collo e della comparsa di raucedine, disfagia e dispnea.
Per individuare eventuali residui di tessuto tiroideo o la presenza di mestastasi viene effettuata una scansione totale del corpo 2-4 mesi dopo l’intervento, previa sospensione della terapia ormonale sostitutiva per circa 6 settimane e ripetuta a distanza di 1 anno e poi dopo 3-5 anni se l'indagine indica una situazione di stabilità. Si misurano periodicamente i livelli plasmatici di T4, TSH, calcio e fosforo per stabilire se la terapia ormonale è adeguata e se viene mantenuto il bilancio di calcio.
Commento (0)
Devi fare il login per lasciare un commento. Non sei iscritto ?