Con il termine disfagia si intende la difficoltà a deglutire cibi solidi o liquidi (o semiliquidi). È un problema spesso associato ad una disfunzione dell’apparato digerente con uno scorretto transito del bolo nelle vie digestive superiori. La disfagia rappresenta un problema assistenziale di notevole interesse in quanto il disturbo può rendere problematico – quando non impossibile - attuare un’alimentazione orale che sia al tempo stesso autonoma e sicura. I rischi maggiori in caso di disfagia sono legati a malnutrizione e disidratazione, oltreché a problemi di tipo respiratorio. In molti soggetti affetti da disfagia è frequente l’entrata di alimenti solidi/semisolidi o liquidi nelle viee aeree con conseguenti difficoltà nella respirazione o patologie come la polmonite o infezioni delle vie respiratorie superiori.
Disfagia, un quadro epidemiologico
La disfagia colpisce circa il 20% della popolazione generale e in percentuale maggiore gli anziani, persone con ictus o affetti da Parkinson. Si stima che circa il 40 % dei decessi in pazienti con stroke sia dovuto alle conseguenze della disfagia. Il disturbo è inoltre più frequente nei soggetti istituzionalizzati, nei soggetti assistiti a domicilio, nelle persone portatrici di patologie neurologiche e con esiti chirurgici alla bocca.
In età avanzata possono emergere turbe della sensibilità oro-faringo-laringea, modificazioni della dentizione, ipostenia, incoordinazione muscolare, disregolazioni del sistema nervoso.
L’anziano presenta un significativo aumento della durata complessiva dell’atto deglutitorio. Sono presenti inoltre riduzione della salivazione e della forza muscolare e il numero totale degli atti deglutitori in un periodo di tempo è diminuito (si parla di presbifagia).
Quindi, generalmente, la disfagia colpisce le persone anziane, ma non si esclude la popolazione più giovane dove si può manifestare associata al dolore e come conseguenza di altri disturbi primari ostruttivi o motori (neoplasie o acalasia); la presenza di “algia” nella deglutizione si chiama odinofagia.
Fattori di rischio e cause della disfagia
Per riconoscere precocemente i problemi di deglutizione è necessario sapere quali sono i fattori di rischio e i segni della disfagia, osservare il comportamento del paziente durante l’assunzione di pasti e bevande, la dieta e i segni di un’adeguata nutrizione e idratazione.
Le tipologie di disfagia descritte in letteratura
In letteratura si distingue una disfagia organica, causata da lesioni provenienti tra lo spazio della bocca e lo stomaco e una disfagia funzionale, associata a malfunzionamento della muscolatura faringo/esofagea.
La disfagia “orofaringea” (o di trasferimento) si manifesta quando il problema è dovuto a un’alterata funzionalità a livello oro-faringeo; esempio: il soggetto ha difficoltà nel far progredire il bolo alimentare, liquido o solido che sia, dall’oro-faringe nell’esofago.
Quindi la disfagia orofaringea può essere causata da disturbi e danni di tipo neurologico; si ricordano tra questi la sindrome post-poliomielite (nota anche come Post-Polio Syndrome), la distrofia muscolare, la sclerosi multipla, la sclerosi laterale amiotrofica, il morbo di Parkinson, ictus, lesioni cerebrali, lesioni a carico del midollo spinale, ecc. La distrofia orofaringea inoltre può essere dovuta a diverticoli faringei e a diversi tipi di neoplasie.
Quindi possiamo trovare cause di tipo ostruttivo, ovvero di riduzione del lume delle vie digestive superiori (esofago in particolare) per compressione od ostruzione, oppure di tipo motorio (discinesie).
In questa prima categoria possiamo includere la presenza di corpi estranei, stenosi, tumori, diverticoli, infiammazioni, ingrossamento della tiroide, spondilite cervicale. Possiamo poi contemplare gli esiti funzionali di patologie sistemiche, come polimiosite, sclerosi laterale amiotrofica o sclerodermia, e di patologie esofagee come l'acalasia, lo spasmo esofageo diffuso o le discinesie idiopatiche dell'esofago.
Altre cause rintracciabili possono essere neurologiche, come la paralisi dei muscoli della lingua, o la poliomielite, oppure neuromuscolari, come la miopatia e la miastenia.
Segni e sintomi di disfagia
A seconda della localizzazione la disfagia si può presentare in diverse forme cliniche che è necessario individuare per una buona diagnosi e trattamento assistenziale.
Disfagia orofaringea | Disfagia esofagea |
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Studiare la disfagia: esami di laboratorio e indagini strumentali
Per studiare la disfagia viene utilizzata la videofluoroscopia per effettuare un’analisi accurata di tutto l'atto deglutitorio.
Altro esame utilizzato è la videofluoromanometria, che prevede l'esecuzione simultanea della videofluoroscopia e la registrazione di un tracciato manometrico. Questo permette di avere una più precisa valutazione del disturbo disfagico riferito dal paziente correlando i dati morfologici a quelli funzionali.
Disfagia, trattamento e assistenza infermieristica
Le cause di disfagia possono essere numerose e di diversa natura, quindi il trattamento varia a seconda delle cause (trattamento eziologico).
Nel caso in cui si riscontri una disfagia di natura orofaringea è consigliabile un controllo neurologico, in quanto potrà essere necessario, dopo i diversi accertamenti, rivolgersi a specialisti della terapia di deglutizione (logopedista o esperto della rieducazione della deglutizione).
Alcuni esercizi sono mirati e focalizzati ad aiutare la persona a coordinare meglio i muscoli della deglutizione, ma anche a stimolare i nervi deputati all’attivazione del riflesso.
Nella disfagia esofagea gli interventi sono rivolti ad una dilatazione esofagea (anche per via endoscopica) oppure ad intervento chirurgico, soprattutto nel caso di neoplasie.
Il trattamento di natura farmacologica è necessario per i soggetti affetti da malattie da reflusso gastroesofageo, oppure nei casi (es: restringimenti dell’esofago per anomalie della muscolatura intrinseca - acalasia) in cui si voglia favorire il rilassamento della muscolatura tramite farmaci miorilassanti (calcio-antagonisti).
L’infermiere, responsabile dell’assistenza infermieristica, anche attraverso il lavoro in team accerta e favorisce l’uso di un’alimentazione speciale, a base ad esempio di liquidi o tramite l’uso di un sondino naso-gastrico.
In generale, nei casi meno gravi, può essere utile aumentare la frequenza dei pasti riducendone l'abbondanza e tagliando il cibo in piccoli pezzi, preferendo cibi più facili da deglutire ed evitando alcolici, tabacchi e caffeina, i quali contribuiscono a peggiorare il reflusso gastroesofageo che condiziona la disfagia iniziale.
Pertanto la scelta dei tipi di alimenti è strettamente correlata al tipo e grado di disfagia, col fine di ridurre il rischio di aspirazione.
È importante, in questa fase, tenere conto di gusti e preferenze del soggetto, delle eventuali patologie concomitanti e del suo stato nutrizionale, eventualmente avvalendosi di una consulenza del nutrizionista.
Il grado di densità dei liquidi può essere modificato con l’aggiunta di addensanti. È preferibile scegliere una dieta con calorie e valori nutritivi elevati per compensare la ridotta assunzione di alimenti.
Coinvolgimento del caregiver
È molto importante monitorare la quantità di cibo e di liquidi che il soggetto disfagico assume giornalmente, per assicurare un’adeguata nutrizione ed idratazione.
L’infermiere deve assicurarsi che tutti coloro che danno assistenza (compresi i familiari ed il caregiver) abbiano le conoscenze e le abilità per alimentare in sicurezza la persona.
È necessario conoscere gli interventi da attuare per ridurre il rischio di aspirazione aerea tenendo a disposizione il materiale occorrente per eventuali emergenze (aspiratore, sondini, ossigeno).
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