Disfagia, grave anemia sideropenica e membrane esofagee sono i tre sintomi principali che caratterizzano la sindrome di Plummer-Vinson (o di Paterson-Kelly), una rara condizione che colpisce l'esofago, identificata e descritta nei primi anni del Novecento dai quattro medici americani da cui prende il nome. Nel lume si formano dei sottili reticoli o anelli membranosi di mucosa, singoli o multipli, quasi trasparenti e facilmente lacerabili, che rendono difficoltosa la deglutizione. Reti esofagee non trattate possono portare a disfagia assoluta e polmonite da aspirazione.
Cause di sindrome di Plummer-Vinson
Pur non essendo ben nota l'eziopatogenesi, si ritiene che la causa principale della sindrome di Plummer-Vinson sia la carenza di ferro che induce una disfunzione enzimatica ferro-dipendente, portando a stress ossidativo e danni al Dna.
Il malfunzionamento degli enzimi produce cambiamenti miastenici nei muscoli responsabili della deglutizione, atrofia della mucosa esofagea e formazione di reti come complicanze epiteliali.
Lesioni ripetute degli epiteli portano all'atrofia della mucosa esofagea e al degrado dei muscoli faringei, favorendo lo sviluppo di una rete esofagea, localizzata sotto il muscolo cricofaringeo e attaccata asimmetricamente alla parte dell'esofago anteriore.
La regione cricoidea subisce il massimo trauma durante la deglutizione del bolo solido con un conseguente aumento del rischio di formazione di reticoli di tessuto. Altri fattori identificati sono la malnutrizione, la predisposizione genetica e alcuni processi autoimmuni.
Le evidenze documentano che l'incidenza diminuisce ove si ha una dieta alimentare sana, completa ed equilibrata. Seppur i dati epidemiologici siano scarsi, la patologia si osserva comunemente soprattutto tra le donne in età postmenopausale, dai quaranta ai settant’anni di età, anche se sono stati registrati casi nell'infanzia e nell'adolescenza.
Come si manifesta la sindrome di Plummer-Vinson
La maggior parte dei pazienti sono inizialmente asintomatici. La disfagia evolve lentamente e non è dolorosa, intermittente e progressiva, limitata ai cibi solidi anche se dopo anni dall'esordio iniziale compare difficoltà anche a deglutire liquidi.
La disfagia diventa sintomatica solo quando il diametro del lume nella regione della membrana esofagea diventa inferiore a 12 millimetri. È classificata di grado I quando è occasionale nell'assunzione di cibi solidi e di grado II quando si è capaci di deglutire solo con una dieta semisolida.
La sindrome si associa talvolta a perdita di peso. Debolezza, pallore, affaticamento, tachicardia sono i sintomi clinici con cui si manifesta l'anemia. Compare inoltre glossite, ossia un'infiammazione acuta o cronica della lingua che appare desquamata, ispessita, atrofica, talvolta liscia, lucida e senza papille.
Si manifesta anche cheilite angolare, una stomatite agli angoli della bocca con fissurazioni ed ulcerazioni dovute a carenza di riboflavina, una vitamina del gruppo B. Segno caratteristico è la coilonichia, un'alterata conformazione dell'unghia che perde la convessità, apparendo piatta o concava (detta a cucchiaio).
Può coesistere splenomegalia ed ingrossamento delle ghiandole tiroidee con comparsa di noduli, nonché perdita di denti. Se non viene trattata, la sindrome si associa spesso ad un aumento del rischio di tumore delle cellule squamose nella faringe e nell'esofago, qualora si verifichino nella mucosa cambiamenti irreversibili che portano alla degenerazione maligna.
Trattamento
Poiché la comparsa delle membrane è provocata dall'insufficienza di ferro, la sindrome può essere generalmente trattata con la terapia marziale, ossia con la somministrazione supplementare di sali ferrosi (150-200 mg) che permettono di correggere la carenza sistemica.
Nei soggetti lievemente sintomatici può essere sufficiente anche la modificazione della dieta e il consiglio di mangiare lentamente e di masticare accuratamente. In caso di malattia più avanzata con una ostruzione importante del lume dell'esofago da parte di una membrana esofagea e di una disfagia persistente, nonostante l'integrazione di ferro, si rende necessaria la rottura e la dilatazione meccanica del tessuto che si è formato e che ostacola la deglutizione.
Tale procedura, che consente il completo sollievo dei sintomi, viene eseguita attraverso l'esofagogastroduodenoscopia (EGDS). La dilatazione endoscopica, con pallone oppure con i dilatatori di Savary-Gilliard, pur presentando un minimo rischio di perforazione esofagea, è necessaria soprattutto nei bambini nei quali la disfagia resiste alla somministrazione di ferro.
Solitamente basta una singola dilatazione per risolvere il problema. Spesso la rete esofagea può essere interrotta dal semplice inserimento dell'endoscopio nell'esofago. Risulta inoltre che un unico grande dilatatore è più efficace di una dilatazione progressiva seriale.
Come alternativa terapeutica alla dilatazione può essere talvolta proposta l'elettroincisione con ago coltello. La chirurgia è raramente indicata ed è riservata soltanto a coloro che presentano una rete ingestibile con la dilatazione o in caso di associazione al diverticolo di Zenker.
La prognosi è buona grazie alla terapia marziale che consente di controllare ed alleviare i sintomi. Per il rischio di sviluppare un tumore nella porzione superiore dell'apparato digerente è opportuno mantenere un regolare monitoraggio clinico.
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