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H5N1, una vecchia minaccia ora a portata di mano

di Monica Vaccaretti

Se chiedi ad uno specialista di malattie infettive se dovremmo iniziare a preoccuparci seriamente dell'influenza aviaria, probabilmente ti dirà che dovremmo preoccuparcene sempre. Perché dalla sua identificazione nel 1996, l'H5N1 ha infettato oltre 800 persone con un tasso di mortalità del 50% e perché, sebbene la trasmissione da uomo a uomo sia attualmente rara, questo virus è diventato endemico tra le popolazioni di uccelli, innescando una pandemia animale senza precedenti che colpisce almeno 26 specie di mammiferi. Così The Lancet in due recenti articoli in cui analizza le maggiori criticità emerse dopo il fallimento internazionale alla 77° assemblea mondiale della Sanità, che si è conclusa lo scorso 1° giugno, durante la quale i Paesi avrebbero dovuto approvare una bozza definitiva di uno strumento internazionale sulla prevenzione, preparazione e risposta alla prossima pandemia. Emerge in maniera preoccupante che, nonostante Covid-19, la maggior parte dei Paesi non è preparata ad affrontarne un'altra. Con questa consapevolezza i negoziati per sviluppare un Trattato sulla pandemia sono stati comunque rimandati al 2025. Fino ad allora la continua assenza di un accordo significativo ed efficace mina la capacità non solo di rispondere, equamente e in maniera sinergica, alle minacce sanitarie internazionali, come H5N1, ma anche di prevenirle del tutto.

Virus H5N1 continua a diversificarsi, evolversi e diffondersi in molti paesi

Gli esperti sollecitano la necessità di costruire una preparazione globale contro l'influenza aviaria ad alta patogenicità.

Se dapprima colpiva gli uccelli selvatici e si diffondeva negli allevamenti di pollame, dal 2020 infetta i mammiferi terrestri e marini. Gli esperti sottolineano che non si hanno precedenti in termini di numero e diversità delle specie colpite.

Dopo l'insolita epidemia che da marzo 2024 si sta registrando in molti Stati statunitensi nei bovini e il rilevamento del virus nelle mammelle delle mucche con elevate cariche virali riscontrate nel latte crudo, da aprile sono stati segnalati tre casi di infezione negli esseri umani. I primi 25 casi, che dal 2022 si sono verificati in Asia, Europa e Americhe, presentavano basse cariche virali nei campioni nasali e non manifestavano sintomi, al punto che gli esperti li hanno considerati una probabile contaminazione dell'epitelio nasale piuttosto che una vera infezione.

Dei tre casi confermati del 2023, tutti lavoratori agricoli, la prima persona era sintomatica, la seconda ha manifestato una congiuntivite emorragica e la terza lamenta sintomi respiratori. L'analisi genetica mostra che il virus non presenta attualmente cambiamenti che lo renderebbero più adatto alla trasmissione tra le persone. Il rischio per la salute umana resta pertanto basso.

Tuttavia, l'epidemia di H5N1 negli Stati Uniti solleva ancora una volta una scomoda verità. Ossia che la diffusione delle zoonosi nelle popolazioni umane deriva dai nostri stili di vita e dal modo in cui ci interfacciamo con gli animali. Dipende dalle nostre diete, dalle nostre pratiche agricole intensive, dai nostri mezzi di sussistenza, dai nostri comportamenti e dalle nostre culture, dal nostro sfruttamento del mondo naturale e dalla nostra distruzione dell'ambiente. Dipende dal fatto che anche il concetto di One Health, sebbene ampiamente riconosciuto, sia in realtà raramente reso prioritario ed operativo.

Considerando che non c'è nulla di nuovo nell'evoluzione dei ceppi influenzali, nel cambiamento delle loro abitudini epidemiologiche e nella causa di infezioni nelle persone, gli sviluppi degli ultimi tre mesi dovrebbero essere un pressante, anche se sgradito, promemoria dei capricci dell'influenza zoonotica e del nostro continuo compiacimento collettivo, a prescindere dal fatto che possano o meno segnare l'inizio di una nuova pandemia globale, continuano gli esperti denunciando come la risposta degli Stati Uniti sia stata lenta, nonostante le richieste di una maggiore sorveglianza da parte dell'Oms, così da ritenere che molti casi probabilmente non siano stati rilevati. Segnalano, inoltre, che c'è stata molta resistenza da parte del settore agricolo nei confronti dei test e della prevenzione, guidata dalla mancanza di consapevolezza o di comprensione del rischio e dal timore di restrizioni commerciali e perdita di guadagni.

Alla luce degli ultimi sviluppi gli esperti sottolineano che non potrà esserci una risposta efficace ad un'altra potenziale minaccia pandemica se le autorità nazionali e le organizzazioni sanitarie restano separate ed agiscono in modo indipendente. Servono azioni rapide e congiunte basate sull'evidenza. Sollecitano pertanto la necessità di costruire una preparazione globale contro l'influenza aviaria ad alta patogenicità, ritenuta una vecchia minaccia, che sinora è stata confinata agli animali, diventata una minaccia imminente per la salute umana, a portata di mano, unita al rischio potenziale di un'elevata gravità dei casi.

Per comprendere la nuova situazione epidemiologica e le modalità di trasmissione e diffusione di H5N1 sono urgentemente necessarie una maggiore sorveglianza per il controllo del patogeno ed indagini accurate attraverso sforzi di collaborazione tra più agenzie governative sanitarie. Poiché i sistemi di sorveglianza non sono progettati per individuare epidemie inaspettate tra specie insolite, la segnalazione locale resta fondamentale.

Tutte le autorità sanitarie locali, responsabili della salute umana ed animale, devono sensibilizzare l'opinione pubblica sul virus ed essere adeguatamente preparate per poter identificare rapidamente, segnalare e testare potenziali casi sospetti negli animali e nell'uomo, nonché individuare le persone a rischio di infezione. Devono saper raccogliere e condividere in maniera trasparente dati standardizzati, garantendo la loro immediata disponibilità e saper fornire la migliore gestione clinica, comprese le cure critiche.

Evidenziano che i virus H5 possono essere rilevati mediante test rapidi dell'antigene dell'influenza A, che hanno tuttavia una sensibilità moderata e non sono specifici per il sottotipo H5. Dovrebbero essere quindi adattati per identificare specificatamente i virus dell'influenza H5, con accesso ai test PCR molecolari per confermare la diagnosi negli esseri umani. Tali analisi devono essere condotte in strutture di livello 3 di biosicurezza in grado di sequenziare il virus per identificare quelle mutazioni che aumentano la trasmissibilità alle persone, riducono la suscettibilità agli antivirali o influenzano la sensibilità dei test diagnostici specifici.

Le misure di preparazione a livello locale e globale comprendono inoltre la garanzie di scorte antivirali adeguate - come ha recentemente suggerito il noto epidemiologo statunitense Eric Feigl-Ding - il rafforzamento delle catene di approvvigionamento di dispositivi di protezione individuale e il miglioramento del rilevamento di segnali epidemiologici, clinici e di laboratorio attraverso operatori sanitari e veterinari.

Tuttavia, si prevede che anche nei paesi che dispongono di forti strutture sanitarie pubbliche e di sistemi consolidati di sorveglianza completa vi possano essere problemi nel monitorare i casi, la morbilità, la mortalità, nonostante l'espansione della capacità di test molecolari durante la pandemia di Covid-19, a causa delle risorse necessarie per il monitoraggio, spesso non disponibili o sottofinanziate.

Gli operatori sanitari dovrebbero essere altresì formati su come riconoscere i potenziali casi e sulle raccomandazioni per l'isolamento, per l'uso degli antivirali per la pre-esposizione e la post esposizione, per la terapia aggiuntiva nelle persone esposte. Sono necessarie linee guida cliniche chiare per il trattamento dei casi umani. Quelle pubblicate dall'Oms si riferiscono alla gestione clinica dell'influenza grave mentre per quella aviaria le raccomandazioni elaborate hanno prove di bassa qualità che sottolineano la necessità di ulteriori studi clinici.

Sebbene sia noto che la maggior parte dei virus influenzali H5 esistenti siano sensibili a tutti gli antivirali - con efficacia dimostrata nel trattamento delle infezioni negli esseri umani riducendone la gravità ed il rischio di morte - vi è una carenza di misure basate sull'evidenza per prevenire la diffusione del virus attraverso interventi non farmaceutici, antivirali e vaccini.

Sebbene esistano conoscenze e procedure per aggiornare rapidamente i virus vaccini e produrre componenti vaccinali adattati per qualsiasi virus influenzale su larga scala, servirebbero ancora approvazioni ed autorizzazioni etiche e scientifiche da parte delle varie agenzie di sicurezza dei farmaci e dei governi. Servirebbero chiari canali di comunicazione internazionale, come quelli indicati dal regolamento sanitario Internazionale del 2005, che dovrebbero essere seguiti da tutti i Paesi per condividere i risultati di ulteriori studi in modo efficiente.

Purtroppo obiettivi ed interessi delle varie autorità sanitarie pubbliche ed animali, dei governi nazionali, degli organismi di regolamentazione alimentare e di monitoraggio nonché delle associazioni professionali ancora una volta non sono uniformemente allineati. In attesa che le divergenze siano superate e si arrivi a stipulare l'accordo pandemico, gli esperti raccomandano che l'infrastruttura sanitaria pubblica globale di comunicazione, sorveglianza e ricerca, creata durante la pandemia di Covid-19, sia mantenuta e migliorata per rafforzare almeno la preparazione di base alla prossima epidemia globale.

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