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Patologia

Emocromatosi

di Giacomo Sebastiano Canova

Per emocromatosi si intende una patologia generalmente ereditaria che si caratterizza per l’abnorme accumulo di ferro nei tessuti dell’organismo. Qualora non diagnosticata e trattata in tempo, può portare a serio danno d’organo a carico di fegato, pancreas, cuore e alle articolazioni.

Cause di emocromatosi ed epidemiologia

Emocromatosi ereditaria

Mentre una persona normale assorbe solitamente 1-2 grammi di ferro al giorno, nei pazienti con emocromatosi questa quantità aumenta sino a raddoppiare o addirittura triplicare. Di conseguenza aumentano anche i depositi di ferro nell’organismo, che dagli usuali 1-3 grammi passano a 20-30 o più grammi.

L’eccessivo accumulo di ferro all’interno dell’organismo, meccanismo eziologico causante l’emocromatosi, può essere la conseguenza di due principali fattori scatenanti:

  • Aumentato assorbimento a livello intestinale (emocromatosi genetica o ereditaria)
  • Anemie sideroblastiche, talassemia, epatopatia alcolica, eccessiva assunzione di ferro e vitamina C (emocromatosi secondaria)

La forma ereditaria, di gran lunga più frequente, colpisce all’incirca un individuo su trecento, con una certa prevalenza nel sesso maschile. L’età media di insorgenza si aggira intorno ai 50 anni.

Sintomi di emocromatosi

La sintomatologia caratteristica dell’emocromatosi è la colorazione della cute, la quale acquisisce delle tonalità simili al bronzo e al grigio ardesia, con alterazioni cromatiche localizzate prevalentemente nelle parti scoperte.

In ogni caso, la sintomatologia è direttamente correlata all’entità degli accumuli di ferro nei vari tessuti e comprende:

  • Letargia e astenia
  • Dolori articolari
  • Perdita della libido
  • Dolori addominali
  • Ipogonadismo
  • Epatomegalia (può superare i 2kg)

Tuttavia, l’insorgenza di tali sintomi è estremamente lenta e progressiva, tanto che l’esordio clinico avviene normalmente dopo 40 anni ed in maniera inizialmente sfumata. Spesso la comparsa della sintomatologia è anticipata da una fortuita e casuale diagnosi di emocromatosi, ad esempio nel corso di accertamenti ematologici di routine.

Diagnosi di emocromatosi

Il criterio diagnostico maggiormente utilizzato è l’esecuzione di appositi esami ematochimici. In particolare, si ricercano tutti quegli elementi che riflettono l’entità dei depositi di ferro nell’organismo, come la ferritina e la saturazione della transferrina (sideremia). Nei soggetti asintomatici, una saturazione della transferrina superiore al 60% negli uomini e al 50% nelle donne è un indice altamente specifico di emocromatosi.

La conferma diagnostica può essere ricercata anche attraverso l’esecuzione di una biopsia epatica, procedura questa che permette di valutare, nel contempo, anche la salute dell’organo. Si possono inoltre adottare test genetici, i quali sono oggi in grado di rilevare le piccole mutazioni implicate nell’insorgenza della patologia (in questo caso possono essere somministrati in regime di screening).

In ogni caso, i test vanno estesi anche a tutti i familiari di un paziente con diagnosi di emocromatosi, per verificare in essi un eventuale silente sovraccarico di ferro. È noto difatti che le complicanze dell’emocromatosi e la prognosi sono tanto più sfavorevoli quanto più precoce è l’esordio della malattia e tardiva la diagnosi.

Complicanze legate all’emocromatosi

L’organo che soffre maggiormente l’accumulo di ferro è il fegato, tanto che in presenza di emocromatosi il rischio di sviluppare malattie epatiche, quale cirrosi, fibrosi e carcinomi, è sensibilmente superiore rispetto alla popolazione normale. Tale rischio aumenta ancora di più negli etilisti, in chi segue una dieta particolarmente ricca di ferro, dopo la menopausa (per la cessazione delle perdite mestruali) o in presenza di un’epatite virale.

In concomitanza (o più frequentemente in seguito) alla cirrosi il paziente può sviluppare anche il diabete mellito, che riflette le alterazioni a carico del pancreas.

Trattamento dell’emocromatosi

Il trattamento dell’emocromatosi è volto alla rimozione dell’eccesso di ferro prima che questo determini danni d’organo irreversibili, con particolare attenzione alle complicanze epatiche (fibrosi e cirrosi). Per questo motivo la pratica di periodici salassi (flebotomia) rimane il cardine della terapia, in quanto ogni 500 ml di sangue rimosso vengono eliminati 250 mg di ferro elementare stimolando, nel contempo, il midollo osseo a richiamare dai depositi analoghe quantità del minerale necessarie per l’eritropoiesi.

La frequenza dei salassi è più elevata nelle fasi iniziali della malattia (1-2 prelievi settimanali), per poi subire una rarefazione (3-4 all’anno), che consente comunque di prevenire il riaccumulo di ferro.

Per i malati di emocromatosi esiste anche la possibilità di intraprendere la terapia chelante, la quale si basa sull’assunzione di farmaci (es. desferriossamina) in grado di complessare il ferro e facilitarne l’eliminazione urinaria. Tuttavia, l’efficacia della terapia farmacologica nel promuovere la mobilizzazione di ferro dai depositi è minore rispetto ai salassi, ma rappresentano una delle poche alternative utili in presenza di anemia (controindicazione alla flebotomia).

Anche la dieta costituisce un punto cardine nello stile di vita dei pazienti affetti da emocromatosi, in quanto deve essere prevista una drastica riduzione degli alimenti ricchi in ferro (es. carni rosse, frattaglie, crostacei) e l’astensione dall’alcol, divieto questo importante per prevenire o rallentare l’evoluzione del danno epatico. In contemporanea va favorita l’assunzione di alimenti integrali e verdure, i quali grazie all’elevato contenuto in fibra e fitati riducono l’assorbimento del ferro a livello intestinale.

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