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Il biofilm e le infezioni correlate all’assistenza

di Daniela Accorgi

Le infezioni collegate a un biofilm rappresentano un grave problema perché riducono l’efficacia dei trattamenti terapeutici, la capacità di risposta del sistema immunitario e di conseguenza possono aumentare la mortalità correlata alle infezioni o favorirne la cronicizzazione. Il National Institutes of Health (NIH) ha rilevato che il 60-80% delle infezioni microbiche sono correlate alla presenza di biofilm. La formazione del biofilm è per i microrganismi una situazione vantaggiosa per sopravvivenza e duplicazione. I microrganismi possono vivere separati l’uno dall’altro (forma planctonica) fluttuando nel supporto liquido che li contiene o in forma aggregata (forma sessile) attraverso la produzione di biofilm. La formazione di biofilm può interessare tutti i dispositivi medici impiantabili (es. protesi ortopediche o impianti dentali) e quelli invasivi (es. catetere vascolari e vescicali). Il momento dell’inserimento e della gestione dei dispositivi medici invasivi può favorire o sfavorire la formazione di biofilm; l’infermiere deve comprendere questo fenomeno per avere la consapevolezza dell’importanza dell’applicazione delle misure di prevenzione.

Cos’è e come si forma il biofilm

Il biofilm è un aggregato organizzato di microrganismi che convivono all’interno di una matrice di sostanza polimerica extracellulare autoprodotta che si è attaccata a una superficie inerte o vivente. Possiamo immaginare la matrice polimerica extracellulare come una colla che permette ad un gruppo di microrganismi di ancorarsi a quasi tutti i materiali. Questa sostanza è composta di zuccheri, proteine e acidi nucleici.

Se volessimo rappresentare questo fenomeno in maniera molto semplice, è come se con il biofilm microrganismi differenti, dopo essersi “consultati” attraverso un processo di comunicazione chimica (quorum sensing), prendessero la decisione di “mettere su casa insieme”, perché come si suol dire “l’unione fa la forza”.

Attraverso questa decisione possono, “insieme”, proteggersi dalle pericolose variazioni dell’ambiente che li circonda come il pH, la temperatura, l’umidità o le radiazioni ultraviolette. Questa protezione è costituita da una struttura 3D, dove una serie di canali d’acqua al suo interno facilitano lo scambio di nutrienti e prodotti di scarto.

La matrice polimerica extracellulare riesce a neutralizzare e diluire le sostanze antimicrobiche. Nei biofilm maturi (più di sette giorni) i microrganismi sono più resistenti agli antibiotici - dalle 500 alle 5000 volte - rispetto alle cellule plantoniche.

Sebbene il biofilm non rappresenti una barriera assoluta alla penetrazione degli antibiotici, i microrganismi all’interno del biofilm possono modificare la loro condizione diventando “cellule persistenti”, ovvero assumendo uno stato di dormiente come quello dello stato di letargo degli animali che li rende non attaccabili dagli antibiotici.

Quando la pressione antibiotica finisce, le nostre cellule persistenti si riattivano; questo meccanismo è alla base della cronicizzazione delle infezioni. Altro meccanismo di comunicazione tra microrganismi all’interno della nostra matrice polimerica extracellulare è lo scambio di materiale plasmidico, anzi in questa condizione questo scambio viene velocizzato.

Lo scambio plasmidio è uno dei meccanismi che aumenta la resistenza antibiotica dei microrganismi. I plasmidi sono dei piccoli filamenti di DNA, rappresentano del materiale genetico accessorio che non serve alla replicazione dei microrganismi bensì sono funzionali, in condizioni sfavorevoli per il batterio come la presenza di antibiotici, rendendoli resistenti. I microrganismi attraverso vari meccanismi si scambiano questi plasmidi.

La formazione del biofilm si completa attraverso una serie di fasi, quali: contatto/attaccamento iniziale alla superficie, seguito dalla formazione di micro-colonie, maturazione e formazione dell'architettura del biofilm e infine distacco/dispersione del biofilm.

Primo contatto/attaccamento alla superficie

In questa fase i batteri rallentano il loro movimento e iniziano ad aderire cioè incominciano a “mettere radici”, dapprima in maniera reversibile e successivamente in forma irreversibile.

In questa prima fase della formazione del biofilm le cellule microbiche si attaccano attraverso le loro appendici come le fimbrie, i pili e i flagelli o altre forze fisiche come le forze di van der Waal, l’interazione elettrostatica, ecc. L'idrofobicità della superficie può svolgere un ruolo nel rafforzare l'attaccamento dei microbi, perché riduce la forza di repulsione tra i batteri e la superficie. I microrganismi si attaccano più facilmente alle superfici idrofobe e non polari come il teflon e altre plastiche, che alle superfici idrofile e polari come i metalli e il vetro.

Formazione di microcolonie

Quando l’attaccamento dei microrganismi a una superficie diventa stabile inizia il processo di moltiplicazione e divisione delle cellule microbiche. Questo processo porta poi alla formazione di microcolonie.

Maturazione e architettura

Le microcolonie finiscono per fondersi formando una o più strutture a forma di “fungo” o di “torre” immerse in una matrice extracellulare. Tra le microcolonie e la matrice s’insinuano “canali d’acqua” che fungono da “sistema circolatorio” che permette il flusso di nutrienti e ossigeno e la rimozione di prodotti di scarto dalle comunità di microcolonie nel biofilm.

Distacco/dispersione del biofilm

Questa fase è caratterizzata dal distacco e dalla diffusione dei microrganismi nell’ambiente circostante o in altri siti anatomici convertendo i microrganismi dalla forma sessile a quella platonica. La dispersione rappresenta una strategia mediante la quale i microrganismi colonizzano nuove nicchie prima che lo spazio e i nutrienti diventino limitati.

I biofilm svolgono un ruolo importante nella patogenesi delle infezioni associate all'assistenza sanitaria (ICA), in particolare quelle correlate all'impianto di dispositivi medici invasivi, come la polmonite associata al ventilatore, le infezioni del flusso sanguigno correlate al catetere venoso centrale, l'infezione del tratto urinario. L’iniziale contaminazione del dispositivo durante le attività assistenziale favorisce la formazione del biofilm.

I microrganismi che contaminano il dispositivo possono essere provenienti dalla cute del paziente (origine endogena) o da altre fonti (origine esogena) legate al trasferimento da parte degli operatori per scarsa adesione all’igiene delle mani o alla tecnica asettica.

Per prevenire la formazione di biofilm è necessario inserire il nostro dispositivo invasivo solo se necessario, rimuoverlo quando non è più necessario e aderire alle specifiche raccomandazioni che prevengono la contaminazione del dispositivo stesso come l’igiene delle mani, le precauzioni standard, l’antisepsi cutanea e la tecnica asettica. L’infermiere inserendo e gestendo la maggior parte di questi dispositivi è il primo e più importante responsabile della prevenzione di questo fenomeno.

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