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Inferno a Bologna, così il Maggiore ha gestito l’emergenza

di Leila Ben Salah

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Bologna, ospedale Maggiore. Dalle 14 del 6 agosto cominciano ad arrivare decine e decine di feriti. Tutti con ustioni più o meno gravi, tutti da gestire in pochi attimi. Ecco come al pronto soccorso hanno fatto fronte all’emergenza per l’esplosione dell’autocisterna sul raccordo autostradale a Borgo Panigale.

Le infermiere: Avevamo la sensazione di non riuscire a far fronte a tutto

“Il primo pensiero che si ha è capire l’entità di quello che era avvenuto – dice Monica Paciotti, responsabile assistenziale della medicina d’urgenza all’ospedale Maggiore di Bologna - devo dire che è stato abbastanza preoccupante. Abbiamo cercato di organizzare tutto quello che serviva per accogliere i pazienti, ma il problema era capire quanti feriti sarebbero arrivati e sapere quanto dovevamo mettere in campo per soccorrere tutti”.

Bologna ce l’ha fatta, ha soccorso tutti in quella che è stata alla fine una tragedia sfiorata. Quando è avvenuta l’esplosione sul raccordo autostradale di Borgo Panigale è stato il caos. Un inferno, il ponte in parte crollato, le case nelle vicinanze distrutte. Auto dei concessionari vicini che saltavano in aria, pezzi di rottami infuocati come schegge impazzite. E calore, tanto tanto calore. Che ha fuso tutto, perfino il manto stradale.

”In pronto soccorso c’è stato l’arrivo massiccio e contestuale di tanti feriti con ustioni nella parte dorsale – racconta Maria Cristina Berti coordinatrice del pronto soccorso all’ospedale Maggiore di Bologna - molti arti inferiori e c’era la sensazione di non riuscire a far fronte a tanta sofferenza. Ovviamente abbiamo avuto pochissimo tempo per organizzarci, ma ci siamo organizzati. Gli smontanti sono rimasti tutti, poi sono arrivati i colleghi del turno e abbiamo definito le aree di trattamento. Per cui pazienti che dovevano accedere al pronto soccorso generico e quindi non provenienti da quella situazione venivano trattati in un’area e gli altri, quelli cioè provenienti dall’esplosione, venivano trattati in un’area specifica, con un iniziale triage e poi valutavamo con il medico se destinarli qui o ai pronto soccorso periferici”.

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