La recente deliberazione con la quale la Regione Veneto, vista la crisi di personale nell’ambito dell’emergenza pandemica ancora in corso, dà il via alla formazione complementare per la figura dell’operatore socio sanitario (OSS) ha sollevato un vero vespaio. Tanto che la cosa è finita all’attenzione di Camera - con interrogazioni parlamentari e, ultima in ordine di tempo, un’interpellanza urgente presentata dall’On. Boschi come prima firmataria – e Governo, con la lettera inviata dalla Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) ai ministri Roberto Speranza (Salute) e Mariastella Gelmini (Affari regionali e Autonomie) e al presidente della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga. La richiesta, decisa, è quella di bloccare “l’atto attraverso cui, con 400 ore, si apre all’opportunità di ricorrere agli operatori socio sanitari rispetto ad atti propri, dell’assistenza clinica del paziente, di competenza esclusiva di medici e infermieri”.
Questa volta il Veneto pare essere andato un po' troppo oltre
Una vicenda che ha visto insorgere anche molti dei Coordinamenti regionali degli Ordini delle professioni infermieristiche (Veneto in primis, ma anche Lombardia, Campania, Emilia-Romagna e altri). Una traversia che, per la portata assunta e per la delicatezza dei temi che tocca, merita un’analisi ad ampio raggio.
Sì, perché a ben guardare la Regione Veneto non ha inventato nulla, ma ha solo ripreso e “rinverdito” una figura professionale – quella dell’Oss con formazione complementare o OSS-C già presente e a cui viene data “ope legis” (8 gennaio 2001 n.1) la possibilità di effettuare una formazione complementare in assistenza sanitaria. Il problema sta nel fatto che la Regione Veneto, con la deliberazione n.305/DGR del 16/03/21, ha deciso di ridefinire la figura dell’Oss-C implementandola e rafforzandone le abilità e attività di tipo sanitario. In tal modo si sono innescate polemiche e tensioni nel mondo infermieristico che ritiene tali attività di propria competenza.
Insomma, il Veneto questa volta pare essere andato un po’ troppo oltre. Vero è, d’altro canto, che non c’è una specifica e puntuale definizione di cosa possa definirsi atto medico, infermieristico o di altra professione, fermo restando quanto contenuto nei profili professionali (ad esclusione dei medici, che profilo professionale non hanno), quanto inserito nei relativi percorsi formativi e quanto effettuato, in forma che ormai si potrebbe definire “esclusiva”, nella realtà operativa.
Non solo. Si dovrebbe necessariamente riflettere anche sui criteri di standardizzabilità e di complessità utilizzati nella delibera del Veneto, che possono essere efficacemente applicati dall’infermiere per definire o decidere quali attività demandare agli Oss e agli Oss-C, senza che questo lo esoneri da una sistematica, costante e professionale valutazione dello stato clinico assistenziale della persona su cui vengono effettuate tali attività, utilizzando altri importanti criteri tra cui fragilità, comorbilità, tipologia e quantità di farmaci assunti, stato di vigilanza, ecc.
Spostando poi la riflessione sul piano – anch’esso tutto fuorché trascurabile – politico e amministrativo viene da chiedersi quali siano eventuali analogie e differenze rispetto alle motivazioni che hanno portato alla nascita della figura dell’OSS e dell’OSS-C, agli inizi degli anni 2000 e a riparlarne poi oggi, a distanza di vent’anni.
Cos'ha portato alla nascita della figura dell'OSS e dell'OSS-C?
Le motivazioni che agli inizi degli anni 2000 hanno portato alla definizione della figura dell’OSS e successivamente dell’Oss-C sono in parte sovrapponibili alle attuali: carenza di infermieri, difficoltà a reperirne per le strutture territoriali dedicate all’assistenza ai pazienti anziani, fragili o con instabilità clinica, soprattutto se di tipo privato pur se convenzionate con il SSN.
L’attuale crisi pandemica ha fortemente aggravato le difficoltà di reclutamento e, imponendo al contempo maggiori attenzioni assistenziali per tutelare le persone ospitate in tali strutture, ha accentuato ancora di più le già presenti criticità che potrebbero portare al mancato mantenimento o rinnovo dell’accreditamento con il SSN.
La questione “carenza infermieristica” e mantenimento dei servizi assistenziali era stata allora gestita operando su diversi fronti: definendo, in collaborazione con il ministero della Sanità, le modalità di reclutamento di infermieri stranieri; indicando con attenzione le attività effettuabili dall’Oss successivamente dall’Oss-C su demando e/o supervisione dell’infermiere; istituendo l’istituto delle “prestazioni aggiuntive”; ottenendo che venisse specificato nella legge n.1/02 sia che i master di tipo specialistico “costituiscono titolo valutabile” ai fini della carriera, sia che i diplomi conseguiti in base alla normativa precedente dagli infermieri fossero validi ai fini dell’accesso ai Master e agli altri corsi di formazione post base attivati dalle Università.
Katia Pedrolli
4 commenti
L'oss con formazione complementare
#1
Qualsiasi operatore che attacchi gli OSS che vogliono tornare e che li sostiene, sono loro che non capiscono che sono una risorsa.
L'oss non è un lavaculi, ma qualcosa di più!!! Se ci sono persone che dicono il diverso, non capiscono cosa significa lavorare in equipe e per il paziente