Terapia anti delirante non farmacologica: è possibile?
Il processo di recovery aumenta l'empowerment delle persone: avere potere/controllo aumenta la possibilità di contribuire alle decisioni che le riguardano.
La terapia farmacologica antipsicotica è fondamentale per ottenere una riduzione della franca sintomatologia psicotica, in primis deliri e allucinazioni.
Ma la domanda che pongo (e mi pongo) con questo scritto è: possiamo demandare esclusivamente alla molecola il compito di ridurre/eliminare i sintomi psicotici oppure, il trattamento farmacologico va inteso come parte di un trattamento globale più ampio e articolato?
Prestando servizio in Spdc , quindi abituata per esperienza a vedere le persone affette da disturbo mentale in acuto, potrebbe forse risultare difficile per me dare una risposta a questa domanda, però, confrontandomi con i colleghi della riabilitazione psichiatrica, ho avuto l’opportunità di allargare le mie vedute e di fare alcune riflessioni.
Un collega che lavora in una struttura residenziale riabilitativa mi ha parlato di una ragazza di 24 anni, ospite della struttura e ivi residente da circa 2 anni, affetta da schizofrenia paranoide con deliri di possessione ; lei sostiene (in passato con più convinzione) di essere eterodiretta da “un’entità sovrannaturale” che guida i suoi pensieri, comportamenti, emozioni, andamento ponderale, rapporti con i familiari.
In pratica, questa “entità” controlla la sua vita. Persino il marcato aumento ponderale che la paziente ha manifestato in seguito alla terapia con Clozapina veniva attribuito al volere dell’entità che quando deciderà di farmi dimagrire, dimagrirò .
Il lavoro terapeutico-riabilitativo con l’utente nella specifica area del pensiero delirante è stato affrontato dall’équipe suddividendosi i compiti: l’infermiere, ad esempio, ha avuto una serie di colloqui con l’utente cercando di condividere con lei la necessità di seguire uno stile di vita basato sul movimento, una dieta equilibrata, stabilendo nel Progetto terapeutico riabilitativo individuale l’intervento di fare un’ora di camminata al giorno, evitare di mangiare nello stesso pasto le famose “3 p” pane, pasta, patate, evitare formaggi, dolci, bevande zuccherate, ecc.
Una volta ingaggiata la paziente nel percorso, dopo le prime valutazioni del peso e il reale calo ponderale, veniva incoraggiata ed elogiata la paziente per il risultato raggiunto portandola a riflettere sul fatto che non c’era stata nessuna entità a controllare il suo peso ma che quest’ultimo aumenta e diminuisce in base a come mangiamo e quanto ci muoviamo.
All’interno dell’équipe la Tecnica della riabilitazione (TERP) aveva somministrato agli utenti e quindi anche all'utente in questione, il Metacognitive training for Psychosis , un intervento gruppale strutturato, che permette all’utente delirante di pensare le cose da più prospettive, dandosi delle spiegazioni alternative che in qualche modo contrastino il modo stereotipato e rigido che la persona con psicosi ha di interpretare gli eventi.
La Psicologa della struttura nelle sue sedute con la ragazza ha utilizzato la tecnica della metacognizione per cercare di stimolare la ragazza a cercare di interpretare il pensiero che stava dietro a certi comportamenti della madre e della zia dei quali lei originariamente attribuiva la causa all’entità.
L’utente, dopo 2 anni in struttura (CTRP), ha mostrato un netto miglioramento sia sintomatologico che funzionale. Il lavoro svolto dai professionisti si è basato sul confronto in équipe, sulla condivisione degli interventi terapeutici ed in seguito ha visto un preliminare lavoro psicoeducativo volto a incrementare nella ragazza la consapevolezza di malattia.
Quello che lei prima chiamava possessione adesso lo chiama malattia, ma non solo: l’utente ha mostrato la motivazione di mettersi in gioco partecipando ad iniziative e uscendo al di fuori della struttura, si sono stabilizzate le sue relazioni familiari e sta iniziando a pensarsi in una prospettiva futura.
Possiamo dire che questo è un esempio pratico di trattamento multimodale integrato , che ingloba l’intervento farmacologico con gli interventi psicoterapici e psicosociali. La guarigione in psichiatria, soprattutto per le gravi patologie come la schizofrenia , equivale al concetto di recovery, la capacità di vivere una vita soddisfacente e di scegliere nonostante la malattia.
Quando si parla di recovery non si può fare a meno di pensare a come questo processo aumenti l’empowerment nelle persone; infatti, la percezione di “avere potere/controllo” aumenta la possibilità di contribuire alle decisioni che le riguardano, di prendere decisioni attive sulla propria vita e aumentare la capacità di realizzare le proprie aspirazioni o desideri nonostante la patologia; quando si parla di empowerment durante il processo di recovery va inteso come affermazione del sé come persona con desideri, aspirazioni e dignità.
È quindi quasi sottinteso il legame tra processi di recovery e processi di empowerment, che si costruisce attraverso il raggiungimento di successi nei compiti di tutti i giorni, proprio come nel caso della ragazza citata. Man mano che le persone ottengono risultati di successo, l’empowerment cresce contrastando sfiducia e paure. Il processo di recovery è possibile.
Camilla Cetola | Infermiera in Spdc
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