Sembrava una mattinata tranquilla a Genova quella del 14 agosto 2018
Una delle immagini del crollo del ponte Morandi di Genova
Preparo il caffè , nella nostra indispensabile moka elettrica che ci sveglia da quel profondo stato di letargia tipico della nostra professione. Sveglia alle 5 e pronti alle 7 a timbrare il cartellino.
Ascoltiamo le avventure dei colleghi smontanti dalla notte sperando che i nostri pazienti abbiano dormito tranquilli, caffettino e pronti per iniziare la giornata . Con gli amici ho la fama della pigrona, dormigliona, a volte ci penso e mi stupisco pensando che alle 7.30 sto già dando il buongiorno alle persone nella prima stanza, misurando la pressione e somministrando la prima dose di cortisone della mattinata.
È solo da 8 mesi che ho iniziato questa mia nuova avventura da infermiera in ospedale. Ricordo ancora l'ansia che avevo anche solo pensando alle mille prove ad ostacoli da superare per passare il concorso.
E invece eccomi qua. Sono contenta devo dire la verità, sono in un bell'ambiente con dei bravi colleghi. Certo, emotivamente ne sto vivendo di tutti i colori; è difficile stare nella sofferenza ogni giorno , ma tutto quello che mi ritorna indietro dalle persone con cui ho a che fare ogni giorno mi riempie.
Oggi sembra una mattinata tranquilla, tutto scorre piuttosto facilmente . Alle 10 siamo pronti per fare tutti insieme il giro con i medici, mirabolanti giri di parole che dicono e non dicono nulla ai pazienti. A questo non faccio mai l'abitudine, ma è un capitolo a parte.
Per oggi previste 4 dimissioni, domani è Ferragosto quindi sistemiamo bene tutto il reparto visto che il personale sarà di meno. Siamo stati proprio bravi, efficienti.
Secondo caffettino di rito, scrivo le cartelle infermieristiche. È appena arrivato un paziente dalla sala operatoria, vado a vedere come sta. Prendo i parametri; Curzio - così si chiama - mi guarda sorridendo facendo il gesto di chi se l'è fatta addosso in quella sala operatoria. Ha la pressione un po' alta. Se lo immaginava.
Esco dalla stanza e vedo all'inizio del corridoio Clara, la coordinatrice infermieristica , al telefono con il viso piuttosto contratto, la vedo agitata.
Sono bloccate tutte le dimissioni, il personale non uscirà sino a nuovo ordine
Dietro di lei sento lo specializzando che dice: È crollato il ponte Morandi .
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Prendo il telefono e cerco di capire. Una notizia surreale: il ponte autostradale - quello che tutti in zona chiamavano il ponte di Brooklyn - è crollato.
Chiamo subito i miei genitori . Stanno bene, non ne sapevano nulla. Chiamo la mia amica Marta. Lei passa di lì tantissime volte quando lascia i bambini a sua madre. Sta bene, per fortuna è in vacanza a Savona.
Sento tutti i miei amici, i miei colleghi, stanno tutti bene . Mi sento frastornata. Preoccupata, incredula. Una scena da apocalisse e quante persone erano su quel ponte? Poche? Tante? C'erano vittime? Sopravvissuti?
Cinzia, la diurnista del pomeriggio, è bloccata in autostrada. Per fortuna sta bene, non era ancora passata di lì. Un sospiro di sollievo. Mi sento strana, sento forse che questa notizia è troppo in questo momento per me, mi si offusca la mente.
Arriva Giulia, la mia collega del pomeriggio. Con Clara prepariamo una barella e un letto di emergenza in ambulatorio. Prendiamo tre ricoveri dal Pronto soccorso per poterlo liberare in attesa dell'arrivo delle ambulanze provenienti dal ponte.
Silenzio .
Siamo in sala infermieri tutti insieme, preoccupati, mentre guardiamo alla tv il telegiornale locale e siamo pronti a lavorare ad oltranza per aiutare . La testa ovattata e la speranza che sotto quel ponte non ci sia nessuno che conosciamo e che le vittime siano poche, che non ce ne siano proprio, che siano tutti miracolosamente salvi. E speriamo di sentire il suono delle ambulanze dal Pronto soccorso.
Ma c'è silenzio, troppo silenzio .
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