Laura, infermiera di venticinque anni, lavorava nel reparto di dialisi di un grande ospedale. Maurizio, quarant'anni, era uno dei quattro pazienti affidati a Laura; aveva una grave insufficienza renale conseguente a setticemia, contratta in Africa, quando faceva il fotografo per il National Geographic. Era stato sposato, ma il suo matrimonio non aveva retto alla malattia. Laura era curiosa del futuro. Le piaceva ascoltare Maurizio quando parlava dell’Africa, avrebbe voluto andarci con Emergency. Maurizio, reduce da un trapianto andato male, in lista per la dialisi domiciliare, covava una stanchezza di vivere e rifiutava un secondo trapianto.
Complici di un miracolo, insieme
Laura ha iniziato il suo racconto partendo da quanto era avvenuto durante una seduta dialitica: Maurizio deve assumere una discreta quantità di liquidi, per filtrare il sangue e quel giorno, come ogni volta, gli ho collegato una fleboclisi. Roberto, il ragazzino che occupa un altro letto nella stanza, comincia a stare male. Quella mattina manca una collega e non posso chiedere la presenza di una seconda infermiera nella stanza.
Maurizio mi dice: dammi la pinza per clampare il deflussore, quando il flacone sta per finire. Faccio io non preoccuparti, pensa a Roberto
. Metto la pinza sul letto, vicino alla sua mano, in modo che possa fare da solo, se necessario.
Mi dedico a Roberto, abbasso lo schienale del letto, alzo la parte dalle gambe, rilevo la pressione: sta scendendo. Collego un flacone di liquidi. Roberto inizia a vomitare, lo tranquillizzo, metto a punto il flusso della fleboclisi, rilevo nuovamente la pressione.
Mi volto, per controllare Maurizio: si è addormentato. Il filtro del sangue, di fianco al letto, in alto è bianco, invece che rosso. Per un attimo sono bloccata dal terrore, poi clampo immediatamente il deflussore della fleboclisi, chiudo la macchina della dialisi, chiamo il medico.
Maurizio intanto si è svegliato, comincia a tossire, a tossire, a tossire… Ai piedi del letto, per un tempo infinito, continuo a sentire la mia voce dentro dire: adesso muore, adesso muore, adesso muore…
Maurizio non muore. L’aria prende il circolo polmonare e viene espulsa con la tosse. Mi accompagnano in sala medica, sono assalita da un tremore incontrollabile; una crisi di pianto mi scuote il fisico e mi sconquassa dentro. Al termine del turno torno a casa, spossata.
Nelle sedute successive, Maurizio ed io non parliamo di quanto è successo, solo i nostri sguardi si incontrano, a lungo… Qualche tempo dopo, Maurizio mi dice che ha chiesto di essere affidato a me per l’addestramento alla dialisi domiciliare. Di getto gli dico: Ma ti ho quasi ammazzato
. E lui: Beh, è già successo! Difficile che si ripeta. Tanto tra poco morirò comunque
.
Laura ha seguito il corso sulla relazione d'aiuto mentre si occupava di Maurizio, nel percorso di addestramento alla dialisi domiciliare. Ho utilizzato il counselling comunitario, con lei, perché promuove l’intelligenza compartecipata in un gruppo e consente, con l'aiuto del gruppo, di sentire le emozioni, lasciarle emergere, accoglierle e poter vedere per intero, non solo nei suoi dettagli dolorosi, un’esperienza, per valutarla e viverla da un punto di vista diverso.
Abbiamo suggerito a Laura di partire da quel che era successo, sollecitare Maurizio ad aprirsi, comunicandogli quel che lei aveva provato in quei lunghissimi momenti di terrore e negli incontri successivi.
Non scrivevo mai da solo… scrivevo io e gli evangelisti arabi, bizantini e armeni, che hanno scritto i vangeli apocrifi. È inutile fare i furbi. Non si scrive mai da soli (Fabrizio De André)
In gruppo siamo stati la sua anima. Nei loro incontri, tre volte a settimana, lei si è riavvicinata emotivamente a Maurizio e lo ha aiutato a sperare ancora nella vita e Maurizio ha iniziato a lenire le sue ferite. Insieme, sono stati complici di un miracolo. Insieme, hanno collegato tutti i punti di un appassionato ordito di ritessitura.
- Articolo redatto con la collaborazione di Ivana Carpanelli
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