Nel febbraio 2021 è nato il progetto “L’Emozionario dei Professionisti Sanitari” accolto dal gruppo Facebook “Laboratorio di Nursing Narrativo Milano” attraverso le infermiere Paola Gobbi e Rosanna Alagna che formano, insieme alla collega Titti De Simone, il nucleo costituente del progetto. L’idea è di creare una comunità che attraverso la riflessione e la condivisione di storie, di parole, di sentiti possa dare vita a nuovi significati, un nuovo vocabolario del sentire costruito partendo dai professionisti, da ciò che sentono e sperimentano quotidianamente.
L’aspettativa che possiamo essere immersi nella sofferenza e nella perdita tutti i giorni e non essere toccati da essa è irrealistica come pensare di passare attraverso l’acqua senza bagnarsi (Rachel Naomi Remen – Kitchen Table Wisdom).
La recente pandemia ci ha dimostrato in maniera prepotente che quell'acqua ci bagna, ci impregna i vestiti e ci lascia esausti, fiaccati dal dolore, dalla morte, dalla tragedia che vediamo vivere. Molti sono gli studi condotti in questo periodo in merito all'argomento. La comunità scientifica appare coesa: gli operatori che hanno affrontato la pandemia sono affaticati emotivamente .
Qualcuno parla di burnout ; è vero. Ci siamo sentiti ignorati dalle organizzazioni, abbiamo ricevuto tardivamente i tamponi, le direttive non sono state chiare, non avevamo i presidi, i colleghi, le zone pulite/sporche ben delineate, le pause, i riposi. Siamo stati stritolati dai mastodontici ingranaggi delle organizzazioni, dalla mancanza di leadership e risorse.
Qualcuno parla di compassion fatigue ; è vero anche questo. Come possiamo continuare a vedere persone morire, senza sedazione adeguata, senza poter stringere mani e creare connessione, senza la relazione, quel tempo di cura di cui siamo stati privati insieme ai posti letti ed ai ventilatori, prosciugati dalle energie da reinvestire nella stessa, affaticati dalla fatica di prendersi cura? Altri ancora parlano di disturbo post-traumatico da stress ; anche questo è vero.
Come possiamo sopravvivere al ricordo delle casse da morto che si accatastavano, delle vite che non è stato possibile salvare, dei corpi nudi, soli, senza vita, dello shock e della fatica, dalla intrusione dei nostri sistemi valoriali, del nostro sonno, della nostra quotidianità?
Con tutta probabilità la categoria è stata colpita da una sindrome multifattoriale che comprende ognuno di questi fenomeni di affaticamento emotivo; in vari modi e con diverse intensità sono situazioni e malesseri che abbiamo sempre vissuto.
È stata necessaria una pandemia per accendere i riflettori e per dare visibilità a quello che accade agli infermieri, per scoperchiare questo vaso di Pandora su cui ci si teneva in equilibrio faticosamente; siamo precipitati da quella corda tenuta troppo tesa tra università ed ospedali, rapporti numerici e relazione come tempo di cura, tra prestazioni e competenze.
Di cosa abbiamo bisogno per gestire la fatica del prendersi cura?
Di nutrire la consapevolezza del diritto all'autocura. Di Psychological First Aid, di supporto e sostegno. Di tempo e spazio per discutere, elaborare, far comprendere alle organizzazioni che è necessario promuovere il benessere professionale attraverso azioni mirate, per esempio, a sviluppare l'intelligenza emotiva per fornire strumenti ad affrontare le situazioni in cui ci troviamo ad operare, strumenti troppo spesso affidati alle energie ed alle capacità del singolo.
Situazioni fatte di persone, relazioni, bisogni, morte, malattia, disabilità, farmaci, procedure, paura, dolore. Vissute da una comunità professionale protagonista del 2020 (proclamato l’anno degli infermieri ben prima che Covid-19 facesse vedere al mondo chi siamo e cosa facciamo), che, nonostante la strada percorsa in questi anni, resta ancora non consapevole di concetti quali benessere professionale, intelligenza emotiva, diritto all’autocura; passi necessari da compiere per comprendere la strada da intraprendere al fine di trovare una dignitosa collocazione nel mondo dei professionisti.
Ho sentito forte il bisogno di narrare, seminare, annaffiare. Ed attraverso la voce dei colleghi ricostruire significati, fare comunità con percorsi di “alfabetizzazione emozionale”, riflessioni condivise, racconti e storie. Partendo dal noi, che si autocura, mettendo via il protagonismo autoreferenziale che rende alcuni ambienti difficili da digerire da chi nelle corsie ci passa ore, giorni, anni. Usando le nostre due menti - quella che pensa e quella che sente - ponderando e riflettendo per offrire nuovi strumenti di conoscenza di sé stessi attraverso la narrazione, al fine di rendere universale il sentire di ognuno di noi e condividerlo come patrimonio della comunità.
Per questo motivo a febbraio del 2021 è nato il progetto “L’Emozionario dei Professionisti Sanitari ” accolto dal gruppo Facebook “Laboratorio di Nursing Narrativo Milano ” attraverso le colleghe Paola Gobbi e Rosanna Alagna che formano, in mia compagnia, il nucleo costituente del progetto.
L’idea è di creare una comunità che attraverso la riflessione e la condivisione di storie, di parole, di sentiti possa dare vita a nuovi significati, un nuovo vocabolario del sentire costruito partendo da noi, da ciò che sentiamo e sperimentiamo quotidianamente. Lo strumento utilizzato sono le dirette su Facebook. Gli incontri ci permettono di scandagliare il senso di parole, emozioni e sentimenti , per disegnare ogni volta nuovi confini e consapevolezze attraverso un viaggio che parte dall’etimologia per seguire gli impervi percorsi del nostro sentire attraverso la filosofia, il vivere quotidiano, le storie che ognuno vive e sente.
Abbiamo parlato, finora, della compassione, del dolore, dell’assertività, dell’empatia, della gentilezza. Con colleghi che si sono collegati da tutta Italia, Covid-19 ci ha insegnato ad accorciare le distanze, regalandoci opportunità finora inimmaginabili. Con psicologi, filosofi e formatori.
Il gruppo dell’Emozionario è cresciuto (grazie al supporto di Opi MI-LO-MB diventerà anche un convegno interattivo accreditato ECM), altre colleghe hanno iniziato a collaborare in maniera stabile a questo progetto: Isabella Scanniffio e Giovanna Degni, infermiere milanesi, Dina Uggeri da Brescia e Ornella Ventura che invece lavora a Genova.
Ognuna con la sua storia e le sue competenze sta aggiungendo un tassello, insieme, per immaginare un nuovo mondo possibile disegnando in questo modo uno spazio di ascolto e cura dove sentirsi meno soli, dove essere accolti e protagonisti di un cambiamento, che parta da noi per coinvolgere ciò che ci circonda.
Gli obiettivi sono sostanzialmente due, connessi e fortemente dipendenti. In primis aumentare l’Intelligenza Emotiva , che - come definito da Salovey nel famosissimo libro di Goleman “Intelligenza Emotiva” - riguarda la consapevolezza emozionale, il controllo e la regolazione delle emozioni, la motivazione di sé stessi e degli altri, il riconoscimento delle emozioni altrui (empatia), la gestione delle relazioni. Immaginiamo che questo porti poi a percepire un maggiore benessere professionale . Che possa avere ricadute sull’assistenza attraverso l’umanizzazione delle cure