Il programma “Erasmus+ Mobilità per Traineeship” consente agli studenti e neo-laureati di trascorrere un periodo di tirocinio fuori dall’Italia. Nato nel 2013 al fine di garantire agli studenti e neolaureati la possibilità di trascorrere un periodo di tirocinio in uno degli stati esteri aderenti, garantisce un finanziamento che può andare dai 430€ ai 480€ mensili a seconda del paese ospitante, al quale si aggiungono 100€ mensili erogati dal Miur e un contributo forfettario, basato su fasce di distanza, che vada a ricoprire le spese del viaggio. Simona, collega infermiera, ci racconta la sua esperienza e il suo “status” di studente “Erasmus+ per Traineeship” in Belgio.
Io, infermiera, e il mio tirocinio post-laurea in Belgio con Erasmusplus
Emigrata dalla mia terra natia, la Puglia, sono approdata nell’adorata Umbria nel 2012, dove ho trovato la mia strada: il Corso di Laurea in infermieristica.
Terminato il mio percorso di studi ho deciso di trascorrere un periodo di tirocinio nel nord Europa, per l’esattezza a Bruges, l’incantevole capoluogo delle Fiandre Occidentali.
L’Università di Vives, che mi ha accolto in questa avventura, mi ha messo da subito in contatto con l’Azienda Ospedaliera di Sint-Jan, poco distante dal mio campus. Allora, armata di bici, raggiungo l’ospedale e accolta dal personale dedicato, mi viene descritta la struttura: 15 piani, 1221 posti letto, 18 sale operatorie che ospitano 300.000 pazienti ogni anno.
Sint-Jan è riconosciuto come il più grande centro delle Fiandre Occidentali, specializzato nella terapia dialitica, ablazione e bypass gastrico.
Gli accordi presi tra Ospedale e Università sono questi: un tirocinio di 5 mesi di cui due mesi e mezzo in Terapia Intensiva (ICU) e due mesi e mezzo in Sala Operatoria.
Entro in ICU e la prima cosa che mi salta agli occhi è l’età degli infermieri. Quaranta in totale, di cui solo dieci con più di 40 anni e addirittura ragazzi della mia età, intorno ai 24-25 anni, tutti con contratto a tempo indeterminato.
Qui in Belgio, così come in altre realtà, non esistono i concorsi in quanto l’ospedale è considerato come una struttura privata. Quindi, una volta conclusi gli studi, il neo-infermiere invia il proprio curriculum, fa un primo meeting con il personale addetto alle assunzioni e successivamente un secondo con il coordinatore infermieristico dell’unità in cui si è scelto di lavorare.
Non è stato un errore mettere in grassetto la parola “scelto”: tutti gli infermieri possono scegliere dove lavorare e con molta probabilità verranno accettati nell’Unità prescelta. Un sogno, vero? Una realtà, quella belga, che mi ha fatto molto riflettere e arrabbiare.
Mi permetterei di dire che alle volte è stato frustrante essere consapevoli di avere intorno ragazzi che come me hanno da poco finito gli studi e hanno già la propria autonomia; che non hanno avuto il bisogno di andare a cercare fortuna, ma che l’hanno trovata qui a pochi passi da casa.
Nell'Unità si respira un clima sereno, di collaborazione. Gli infermieri mi accolgono, mi integrano e mi aiutano non solo nel lavoro, ma anche in tutti quelli che possono essere i problemi della vita quotidiana
Mi trattano da collega ed è con questo termine che mi presentano. Non mi sento più solo una studentessa, ma parte di un team, completamente responsabile delle mie azioni. Sono consapevole di non essere ancora completa, di avere tanto da imparare, da migliorare, di non essere totalmente pronta ad immergermi nel mondo del lavoro, ma allo stesso tempo sono vogliosa e entusiasta di incominciare.
I miei colleghi hanno da subito notato le differenze sulla preparazione tra i loro studenti e me, affermando che ho una maggiore consapevolezza del lavoro, una maggiore praticità e rispetto delle regole.
In Belgio la figura dell'infermiere è rispettata dai pazienti e da tutto lo staff sanitario, anche se i livelli di responsabilità sono minori rispetto a quelli dei colleghi in Italia.
È il medico a farsi carico di tutte le responsabilità e la gente e gli stessi infermieri sono a lui "devoti". Un passo indietro nel passato, lo definirei, in quell’epoca in cui l’infermiere era il “tuttofare" e non aveva bisogno di studi universitari per formarsi, perché era il medico ad essere gerarchicamente al primo posto.
Ciò che mi ha spinto ad arrivare fino a qui è stata la paura di pensare a quello che avrei fatto una volta laureata.
Data la situazione economica attuale, le difficoltà a partecipare e vincere un concorso, quali possono essere le nostre certezze per il futuro?
Allora perché non approfittare di questa possibilità offerta dalla nostra università? Sicuramente non è così facile prendere i bagagli e partire; immergersi in un mondo dove si parla una lingua completamente diversa e dove la cultura, lo stile di vita sono completamente differenti.
Ammetto che non è stato semplice e che ancora non lo è, ma credo che oggi si debba avere il coraggio di cambiare, di accettare le novità, di non mettere le radici.
Per ora non so cosa mi riservi il futuro, l’unica certezza che ho è che voglio proseguire gli studi e continuare a formarmi cercando di dare il meglio di me stessa in qualsiasi posto mi trovi.
L'essere infermiere in Belgio non è quello che mi aspettavo per il mio futuro, ma forse potrei cominciare da qui con il sogno che un giorno possa tornare tra i miei colleghi italiani.
Simona, Infermiera
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