Sono una scrittrice. Dipingo. E sono una paziente oncologica. Ecco: sono una paziente. Non sono “utente”. Sono una Persona che ad un certo momento della sua vita si è imbattuta nel cancro. E quella frattura biografica l'ha vissuta lontana dalla sua città d'origine, dalla sua famiglia d'origine, dalla sua gente. Sono stata invitata ad un convegno, un convegno sulle tassonomie NNN. E all’inizio mi chiedevo: che ci faccio qui? Di cosa parlerò? Poi ho messo su quel tavolo la mia anima. Mi è costato tantissimo mettermi a nudo, ma dovevo farlo. Lo dovevo a tutti quelli che mi stavano dietro. A quelli che non hanno coraggio di chiedere aiuto e anche a voi, infermieri, che il più delle volte diventate i "nostri" infermieri.
Siamo tutti persone, noi malati e voi che vi prendete cura
Sono una Persona che si è imbattuta nel cancro
Sono passati pochi giorni dalla mia partecipazione al 5° Convegno Nazionale "Le tassonomie NNN dell'assistenza infermieristica in Italia" svoltosi a Milano e la mia testa è ancora piena di informazioni ed emozioni.
Già essere stata invitata dalla dr.ssa Rigon mi aveva lasciata stupefatta. Sapere che ero stata segnalata da "qualcuno" da Siena, mi faceva pensare.
E se l'incoscienza mi aveva fatto subito accettare, man mano che i giorni passavano e si avvicinava la data del 21 maggio il mio cuore e la mia mente avevano incominciato ad entrare in subbuglio.
E la stessa agitazione mi ha accompagnata fino ad oggi, anche se mitigata dalle tante parole rassicuranti, da manifestazioni di stima che mi sono arrivate da più parti.
Incontrare persone sconosciute non mi mette soggezione. Quasi mai. Tranne questa volta. Tutti con me erano stati gentili. Tutti molto disponibili, ma la mia testa se ne stava andando da un'altra parte.
Già la sera prima, nella saletta messa a disposizione per noi, giusto per incontrarci tutti, relatori e organizzatori, mi ero sentita un po' un pesce fuor dall'acqua. Sorridendo lo avevo detto e con un altrettanto grande sorriso la dr.ssa Rigon mi aveva rassicurata.
Ma che ci facevo io con queste persone che parlavano una lingua a me sconosciuta, che aveva alle spalle esperienza e ricerca , che parlavano di eventi alla conoscenza di tutti tranne della sottoscritta?
Tutti con me erano stati gentili. Tutti molto disponibili, ma la mia testa se ne stava andando da un'altra parte.
Ed è stato così fino al giorno dopo (in pratica ho passato la notte insonne) quando, seduta vicina alla dr.ssa Vania Novi e al dr. Lorenzo Baragatti, nell'Aula Magna dell'Università Statale, ascoltavo parlare di esperienza clinica, di organizzazione, di ricerca.
Con attenzione ho cercato di capire che cosa fossero queste tassonomie NNN applicate a progetti universitari e aziendali (mi piace, ma è un problema forse solo mio, chiamarli ancora ospedali).
Il linguaggio era estremamente tecnico. Come del resto era giusto fosse.
Mi sono rincuorata nell'ascoltare la dr.ssa Marisa Cantarelli e la dr.ssa Rigon. Il loro linguaggio, questo sì, lo conoscevo e ne condividevo i punti e i principi esposti.
Ma la domanda che mi aveva martellato in testa negli ultimi giorni ora era diventata un urlo, un grido.
Che ci facevo io là? Come e cosa avrei potuto dire, portare, spiegare?
A poco servivano le parole gentili dei miei vicini.
Io sono una che scrive, pubblica libri anche di sanità, ma i miei sono altra cosa.
Sono una scrittrice. Dipingo anche. E sono una paziente oncologica. Ecco: sono una paziente. Non sono “utente”. Sono una Persona che ad un certo momento della sua vita si è imbattuta nel cancro. E quella frattura biografica l'ha vissuta lontana dalla sua città d'origine, dalla sua famiglia d'origine, dalla sua gente.
E allora che dire? La cosa più semplice e più difficile del mondo: la verità.
Sono salita su quel palco aiutata dal dr. Baragatti . Sapere che lui sarebbe stato seduto poco lontano da me mi ha messo coraggio. Ho cercato di dimenticare che fra quelle persone sedute in sala avrebbe potuto esserci anche mio figlio (studia in Statale). Non potevo permettermi di emozionarmi. Perché ora sapevo benissimo cosa avrei dovuto dire. Ed emozionarmi avrebbe appiattito il mio cervello...
Io non portavo nessuna slide, nessuna ricerca fatta sul campo, nessun studio di settore.
Io portavo ME. E con me tutte le persone ammalate che chiedono dignità anche nella malattia. Soprattutto in malattie così gravi.
Persone che chiedono di continuare ad essere viste tali anche se indossano il pigiama.
Che chiedono di ricordare a tutti gli attori in sanità che esiste in noi sempre il pudore , anche se la malattia ci mangia.
Persone che vogliono ricordare che, anche "dall'altra parte" della barricata, restano sempre tali: Persone .
E ho chiesto attenzione.
Ho chiesto di non considerare solo il dolore, ma anche la sofferenza.
Perché il dolore è visibile, è legato al corpo.
La sofferenza all'animo.
Ho parlato di me, parlando di tutte le persone come me. Ma ho parlato anche di voi, di voi che fate quel "mestiere" che un "mestiere" non è. Va oltre. Voi che maneggiate per primi non solo un corpo offeso, ma anche un animo ferito
Un animo che nessuno vuol vedere, perché non c'è tempo, ci sono file da abbattere, orari da rispettare.
Ho messo su quel tavolo la mia anima. Mi è costato tantissimo mettermi a nudo, ma dovevo farlo. Lo dovevo a tutti quelli che mi stavano dietro. A quelli che non hanno coraggio di chiedere aiuto e anche a voi, infermieri, che il più delle volte diventate i "nostri" infermieri.
Io ho "le mie " infermiere. E loro sono state e sono il mio salvagente, il punto di ristoro, le braccia dove idealmente rifugiarmi quando la paura sale e ti vorrebbe soffocare.
E ho ricordato che il cancro regala a piene mani non solo dolore, ma anche immensa paura e tanta, tanta solitudine e senso di colpa. Avrei voluto dire di più, ma i tempi erano giustamente tassativi.
Lo dico ora: se è vero che ho chiesto tempo di relazione per avere un vero tempo di Cura , chiedo con forza anche tempo di attenzione per voi.
In tutte le mie presentazioni e nei miei scritti ho sempre sottolineato la necessità che anche chi assiste e cura abbia la possibilità di potersi "lavare" l'animo da tutto il dolore che noi, io in primis, vi rovesciamo addosso.
Perché Persone lo siamo tutti: noi ammalati e voi che ci curate.
E se io chiedo e pretendo attenzione e ascolto, la stessa attenzione e ascolto deve essere riservata anche a voi
Per il bene di tutti: dei pazienti che si troverebbero dei curanti sempre con il sorriso sulle labbra e anche per l'organizzazione ospedaliera (pardon aziendale) che avrebbe probabilmente meno personale in aspettativa o in malattia. E anche meno denunce di malasanità dovute al cattivo rapporto paziente-infermiere-medico.
So di aver divagato. Ma questo lo volevo dire.
E per tornare al Convegno ora so che Nanda sta per diagnosi infermieristica, NIC per interventi infermieristici e NOC per risultati infermieristici.
E come mi ha detto il dr. Baragatti tempo fa, lo posso, lo voglio, tranquillamente, con orgoglio dire anch'io: sono una di voi!
Anche se non so fare un'iniezione.
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