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editoriale

Concorsi infermieri, uno su mille ce la fa. Ma anche meno

di Giuseppe Romeo

La cronaca degli ultimi mesi ci ha insegnato ad assistere a episodi al limite dell’incredibile. I giornali hanno spesso titolato: 13.000 infermieri per 20 posti, 10.000 infermieri per 10 posti ecc, mettendo in crisi anche chi cantava uno su mille ce la fa, perché qui, spesso, la media era anche inferiore all’uno su mille. La Caporetto dei concorsi si è consumata e continua a consumarsi sotto i nostri occhi.

La debacle dei concorsi infermieristici in Italia

concorso sospeso roma

I candidati a Roma dopo la notizia della sospensione del concorso

Migliaia di giovani infermieri. Infermieri che finalmente avevano avuto l’opportunità di conseguire un titolo universitario, formati finalmente da colleghi infermieri nelle università; infermieri che conosco l’Ebn, che sanno praticare conformemente l’Ebp, infermieri che magari avevano già conseguito master, laurea magistrale, corsi di formazione di ogni genere. Tutti in fila ai tornelli dei palasport a contendersi un misero posto per più di mille partecipanti. Gli infermieri più formati d’Europa (ma i meno pagati) si sono quindi visti annullare concorsi due ore prima dell’espletamento delle prove, dopo aver percorso migliaia di chilometri da tutta Italia e magari dall’estero. Da corsi e ricorsi storici, agli storici ricorsi ai concorsi, ormai praticamente last minute.

Un quadro devastante, irriverente, denigrante, un vilipendio all’immagine di quella professione così preziosa e imprescindibile per l’assistenza. Sic transit gloria mundi, ma soprattutto sic transit la voglia di fare l’infermiere, alla luce di quanto sopra.

Mettiamoci, per un secondo, nei panni di un ragazzo qualunque, un ipotetico Marco da Roma, che dopo tre duri anni di università, viene formato per essere un professionista vero, concreto e consapevole, viene istruito e reso capace di condurre un’assistenza orientata ai dettami della letteratura scientifica, ma a causa di un perverso squilibrio tra posti di lavoro e professionisti in grado di poterlo esercitare, a causa del blocco del turnover e di tante macro vicissitudini, si trova costretto a dover emigrare magari anche all’estero, dove si è dovuto rimettere completamente in discussione. Finalmente dopo qualche anno di sacrifici, Marco da Roma vede pubblicare un bando nella propria città e pieno di forza e speranza prenota subito il costoso biglietto. Marco, oltre tutti gli impegni che gravano su chi lavora all’estero, che spesso si deve ricertificare anche per fare un semplice prelievo, deve ora studiare per settimane, e lo fa con la solita tenacia e grande impegno, ma arrivato a casa, dopo aver affrontato brillantemente le prime prove, quelle successive vengono sospese di colpo.

Qui Marco da Roma prova la stessa frustrazione che prova Francesca da Bari, emigrata al Nord 12 anni fa, la quale ha vinto il tanto atteso bando di mobilità per tornare a casa, ma non le viene concesso il nullaosta. Entrambi sperimento la stessa frustrazione di Giovanni da Reggio Calabria, precario pendolare dello stretto dal 2008, che attende le calende greche della stabilizzazione, quando ha iniziato era un ragazzino, adesso ha famiglia. Nadia da Messina, mamma di tre figli, è invece un’oss, che dopo 20 anni di precariato passati a fare un po’ l’ausiliaria e un po’ l’oss, supera le prove del concorso oss a tempo indeterminato a Reggio Calabria, ma apprende che è stato sospeso da un ricorso al Tar di 37 colleghi. Il risultato? Frustrata lei e probabilmente anche i 37 colleghi ricorsisti.

Insomma, una cosa pare certa per Marco, Francesca, Nadia e Giovanni: questo sistema di assunzioni non li sistemerà.

Un sistema in crisi che, se non cambia, manderà in crisi molti altri

Ma la parola “crisi” etimologicamente deriva dal greco krino (cernere, discernere, valutare), possiamo coglierne anche una sfumatura positiva, in quanto un momento di crisi cioè di riflessione, di valutazione, di discernimento può trasformarsi nel presupposto necessario per un miglioramento, per una rinascita, per un rifiorire prossimo. Insomma, per aspera ad astra.

Da questa virtuosa esperienza nasce un’idea:

Perché non cambiare il sistema attuale dei concorsi?

Perché non istituire delle graduatorie regionali (per sistema sanitario regionale) con aggiornamento annuale e permanente, nelle quali, regione per regione, i candidati possono esibire annualmente i propri progressi lavorativi (esperienza professionale e formazione) che annualmente portano all’aggiornamento del punteggio e alla costituzione di una graduatoria regionale unica?

Questo sistema, grazie all’istituzione di un rigido controllo amministrativo dei titoli, porterebbe a una palese trasparenza, alla totale garanzia di democraticità e universalità, sancendo la fine dei ricorsi “mors tua vita mea” che bloccano o procrastinano le assunzioni e ingolfano i tribunali.

Un sistema del genere sarebbe anche a costo zero, basterebbe individuare pochi amministrativi l’anno per gestire migliaia di professionisti, i quali, al limite, potrebbero sostenere il sistema versando pochi euro a ogni aggiornamento.

Avere una unica graduatoria regionale sarebbe utile e ordinato per tutti, anche per le aziende, che avrebbero costantemente il polso e il controllo sia del fabbisogno che dei professionisti disposti a colmarlo.

Questo tipo di sistema, inoltre, porrebbe fine alle lotte fratricide e intestine alla professione: precari contro mobilisti, mobilisti contro idonei, idonei contro neolaureati, insomma tutti contro tutti, infermieri contro infermieri.

La presenza di un eventuale colloquio di idoneità da parte di dirigenti aziendali e regionali al momento dell’assunzione, si configurerebbe come un parametro utile per valutare con colloquio e prove e non solo per titoli il candidato, per verificarne le effettive capacità.

Crediamo con fermezza che qualunque alternativa al sistema attuale sia valido, ma soprattutto che sia maggiormente valido quanto esposto sopra.

Attualmente i concorsi rappresentano una provante offesa al decoro della professione, piange il cuore a vedere ragazzini super formati, ma altrettanto mortificati da ricorsi last minute dopo bagni di folla nei palasport, così come spiace vedere colleghi precari ed emigrati che hanno consumato in sacrifici e sofferenze gli anni migliori delle proprie esistenze.

Speriamo profondamente in un approccio resiliente al problema da parte di chi ha l’effettivo potere di cambiarlo. Prendiamo questo momento di difficoltà come un’occasione per cambiare.

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