Un infermiere su tre, quasi 130mila e per il 75% donne, ha subito una violenza da pazienti o accompagnatori. È il risultato dell’indagine svolta da otto università italiane, su iniziativa della Fnopi, pendendo un campione rappresentativo di 5.472 infermieri di tutte le aree operative della professione. L’aggressione, nel 53,7% dei casi, si è verificata nel momento i cui l’infermiere ha provato a comunicare con l’assistito, nel 30,7% nel tentativo di gestire le reazioni dei pazienti quale conseguenza dei ritardi e nel 24,7% dei casi durante la somministrazione di farmaci per via orale. Dati shock, al pari di quelli resi noti dall’Inail: degli oltre 11mila casi di violenza sul lavoro denunciati all’Istituto come “infortuni sul lavoro”, circa 5mila sono proprio infermieri.
Oltre il 32% degli infermieri ha subito violenza nell’ultimo anno
Il 32,3% degli infermieri, dunque circa 130mila professionisti, nell’ultimo anno, ha subito violenza nel corso dei turni di lavoro.
Sono 125mila i casi sommersi. Nel 75% le vittime sono state donne. Nel 70% dei casi si è trattato di minacce verbali e comportamentali senza contatto fisico, ma nel 30% di minacce verbali e condotte con contatto fisico oppure anche di episodi di violenza con contatto fisico da parte di persone o oggetti.
Inoltre più della metà (54,3%) ha segnalato l’episodio, ma chi non l’ha fatto si è comportato in questo modo perché, nel 67% dei casi, ha ritenuto che le condizioni dell’assistito e/o del suo accompagnatore fossero causa dell’episodio di violenza, nel 20% convinto che tanto non avrebbe ricevuto nessuna risposta da parte dell’organizzazione in cui lavora e mentre il 19% ritiene che il rischio sia una caratteristica attesa/accettata del lavoro, il 14% non lo ha segnalato perché si sente in grado di gestire in modo efficace questi episodi. Senza, appunto, doverli riferire.
È l’esito dello studio CEASE-IT (“Violence against nurses in the work place: a multicenter, descriptive analytic observational study”), concluso ad aprile 2021 e condotto da otto università italiane – capofila l’Università di Genova – su iniziativa della Fnopi.
Si tratta di numeri che, in parecchi casi, non sono stati intercettati o registrati poiché le aggressioni non vengono nemmeno denunciate, in rapporto al fatto che ormai sono percepite e considerate, dai medesimi infermieri, come dinamiche connaturate alla professione. Si configura in questo modo, con proporzioni assai vaste, l’ancor più triste fenomeno del “sommerso”.
Ogni anno l’Inail registra 11mila casi di violenza denunciati come infortuni sul lavoro: 5mila sono infermieri. Un dato che rende i professionisti sanitari la categoria più soggetta a tale fenomeno, ma ai numeri ufficiali bisogna anche aggiungere, appunto, il sommerso di 125mila vittime che non hanno denunciato.
Incrementare il numero di infermieri
Su tali dinamiche pesa, inevitabilmente, la carenza di infermieri all’interno degli organici: un’assistenza efficiente si ottiene con un rapporto infermiere paziente 1 a 6 ma, allo stato attuale, il rapporto è 1 a 12.
Secondo la Fnopi, in base agli standard previsti del DM 71, urge aumentare l’attuale organico con 70mila professionisti sanitari in più (senza considerare, al contempo, che gli infermieri italiani sono sempre più anziani). Con l’attuale carenza si restringe, inoltre il tempo di cura o si aumenta la possibilità che l’operatore precipiti in una condizione di burnout (33%).
Ma non è tutto. Per restituire dignità all’attività professionale e per assicurare la sicurezza degli infermieri durante l’orario lavorativo è quanto mai urgente inserire questa professione tra le categorie usuranti, mentre ora è riconosciuta soltanto la classificazione tra i lavori gravosi», puntualizza la presidente della Fnopi, Barbara Mangiacavalli.
Danni sia fisici sia psicologici
La ricerca CEASE-IT, dunque, tratteggia le caratteristiche degli episodi di violenza e individua i fattori predittivi e le cause. Fa riflettere, in particolare, che il 24.8% degli infermieri che ha segnalato di aver subito violenza negli ultimi dodici mesi riporta un danno fisico o psicologico causato dall’evento stesso, di questi il 96.3% riferisce che il danno era a livello psicologico.
Tra i professionisti sanitari che hanno subìto un danno fisico o psicologico, il 16.6% afferma che il danno era di tipo fisico e ha causato escoriazioni/abrasioni, il 15.3% riferisce invece che il danno subito ha provocato ecchimosi. E ancora, il 10.8% afferma che i danni fisici o psicologici hanno causato disabilità permanenti e modifiche delle responsabilità lavorative oppure inabilità al lavoro. Infine, il 15% di chi ha subìto un danno afferma che questo ha comportato un’assenza lavorativa.
Le aggressioni nei luoghi di lavoro
Lo studio commissionato dalla Fnopi riferisce che l’aggressione è avvenuta nel 53,7% dei casi quando l’infermiere ha provato a comunicare con l’assistito, nel 30,7% nel tentativo di gestire le reazioni dei pazienti quale esito dei ritardi e nel 24,7% dei casi durante la somministrazione di farmaci per via orale.
La maggior parte delle aggressioni è accaduta in ospedale (92,5%, ma le risposte all’indagine potevano essere anche più di una), seguito a lunga gittata dai centri di assistenza per la salute mentale (14,3%), dai servizi ambulatoriali territoriali (10,6%), in caso di emergenza territoriale (118: 3,7%), nelle strutture di riabilitazione e residenziali territoriali (2,8%), nel corso dell’assistenza domiciliare (1,2%) e nei servizi e attività di comunità (ad esempio carceri: 0,4%).
Comunicazione inadeguata tra personale e assistito
Lo studio ha dimostrato che gli infermieri conoscono i tratti e le caratteristiche di un potenziale comportamento di aggressione fisica o verbale; tuttavia per vari motivi, non riescono a intercettare e prevenire questi episodi
, illustra Annamaria Bagnasco, docente dell’Università di Genova e coordinatrice della ricerca.
Continuando: Una delle concause dimostrate dallo studio è la comunicazione inadeguata che avviene tra il personale e l’assistito e/o l’accompagnatore; tuttavia, i processi comunicativi sono ampiamente influenzati dall’ambiente di lavoro, dallo staffing e dal benessere dei professionisti
. Su quest’ultimo aspetto, Bagnasco chiosa: Allo stato attuale lo studio sta fornendo ulteriori dati, su cui stiamo lavorando, per mettere in correlazione lo staffing, il benessere degli operatori e il benessere dei professionisti con gli episodi di aggressione, con l’obiettivo di poter ipotizzare i fattori predittivi di questi eventi
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