Nei giorni scorsi la RAI ha trasmesso una docuserie in due puntate su Florence Nightingale. Il titolo significativo, per quanto scontato – “Florence Nightingale, la prima infermiera” – introduce alla visione della storia della Signora della lampada. La produzione del 2022 è francese, per ARTE France & Tohubohu, a cura di Romain Icard e Stéfanie Schorter, per la regia di Aurine Crémieu. Ogni episodio dura circa 50 minuti ed è stata disponibile su RAI Play. Diversi i rilievi da fare. In primis l’argomento della pellicola va ben oltre il titolo.
Docuserie RAI: Florence Nightingale, la prima infermiera
Infatti, se all’inizio si intuisce il contesto in cui è stato realizzato il lavoro - quello post-pandemia da Covid 19, con l’intento di rendere omaggio ai professionisti dell’assistenza -, verso la parte finale del secondo episodio, la narrazione fa una importante digressione riguardo la storia dell’infermieristica francese fino a tessere le lodi dello storico Institut Nightingale Bagatelle della Casa della Salute protestante, fortemente legata ai dettami formativi della Nightingale, presente nei pressi della città francese di Bordeaux.
Non ci sarebbe niente di male, in fondo. Una chiusa filmica valida al pari di tante altre, che riporta all’attualità del momento in cui si vive e rimanda a dei riferimenti concreti. Ma la costruzione nel suo insieme alla fine risulta confusa proprio nell’obiettivo da perseguire: documento storico, reportage d’attualità, o biglietto di ringraziamento verso gli infermieri? Un po’ di tutto ciò? Bene, ma intessuto nel peggiore dei modi.
La narrazione riguardante la Nightingale, seppur in certi momenti interessante, appare scontata e segue il filone storico che ha esaltato e mitizzato la figura dell’infermiera britannica, senza però riuscire ad essere neanche agiografica, soffermandosi per la quasi totalità del film sullo scenario della Guerra di Crimea (1853–1856), quello in cui la Nightingale ha avuto modo di sviluppare, elaborare e mettere in pratica le sue idee in campo assistenziale.
Del contesto della guerra però poco viene detto. Non si rende partecipe lo spettatore che la guerra è a 500 chilometri di distanza – in Crimea, appunto –, mentre resta incompleta la descrizione dello stesso ospedale Selimyie, dove vengono curati i militari inglesi, posto sulla rive gauce del Bosforo, a Uskudar (Scutari), di fronte ad Istanbul, la quale viene continuamente chiamata Costantinopoli.
Il racconto non restituisce né il contesto sociale, né quello sanitario e men che meno quello militare in cui operavano le infermiere britanniche. Nulla viene detto del personale aggregato del posto che, ad ogni modo, dovrebbe essere stato abbastanza numeroso dato che l’ospedale accoglieva centinaia di militari feriti e malati, e le infermiere del corpo di spedizione britannico erano appena 38 (la voce narrante parla di “una quarantina”).
Nulla viene detto della presenza di un’altra capostipite della moderna professione infermieristica, recatasi in Crimea autonomamente: Mary Seacole. Lei stessa aveva finanziato il viaggio e l’organizzazione, dato che l’establishment militare di sua Maestà non vedeva di buon occhio il volontarismo di una infermiera figlia di un ufficiale scozzese e di una curandera giamaicana.
Nulla viene detto del lavoro di Dasha, contadina russa, arruolata a forza come infermiera nelle fila dell’esercito zarista e adoperatasi ad assistere militari e civili nell’assedio di Sebastopoli.
Nulla viene detto, infine, in relazione all’organizzazione militare stessa. O meglio, viene sottolineato come questa venga contestata da Florence Nightingale per le carenze e le lacune, per il comportamento dei quadri militari e la pessima organizzazione, ma poi, lungo il corso della narrazione, viene sottolineato il piglio organizzativo imposto dalla Nightingale veicolato da una rigida disciplina militare.
Alla fine, poco si sa della guerra, ancor meno del perché delle carenze, quasi nulla viene detto dell’organizzazione sanitaria dell’esercito inglese del tempo e degli altri eserciti che, nonostante tutto, da decenni avevano comunque cominciato ad affrontare organicamente l’organizzazione delle cure sui campi di battaglia.
In merito, proprio nella ricostruzione fatta dagli autori francesi, nella parte che riguarda la storia patria, non c’è traccia della riforma fatta nell’esercito napoleonico per l’assistenza infermieristica.
Anzi, mentre scorrono le immagini (che fanno più da sfondo che da spiegazione), si vede una foto famosa di una vivandiera francese che assistente uno zuavo (soldato d’élite del tempo), e non se ne sottolinea l’opera, la presenza, l’importanza.
Le vivandiere non erano infermiere, ma nei momenti cruciali della battaglia si trasformavano in assistenti dei medici per poter soccorrere i feriti. Molte nobildonne lombarde si arruoleranno proprio come vivandiere durante le guerre risorgimentali agendo, nella sostanza, come infermiere.
Questi e molti altri particolari possono essere registrati in senso negativo con la conseguenza di restituire una storia di Florence Nightingale che non aggiunge nulla di nuovo a quanto già conosciuto all’interno del mito tramandato da un secolo e mezzo.
Certo, ci sono le capacità e le attribuzioni conferite all’infermiera britannica, esposte però nel peggiore dei modi. La Nightingale viene ora descritta come rivoluzionaria e riformatrice, ora in linea con le scelte del governo di sua maestà imperiale, che la premia, ora empatica nell’assistenza ora militare nell’organizzazione, matematica e statistica, ma anche esperta d’arte e di architettura.
Un po’ tutto e il suo contrario. La figlia ribelle di una famiglia agiata che prende ad interessarsi dei diseredati. Come però non è dato sapere.
Insomma, un insieme di notizie, modulate da una presentazione sempre troppo elegiaca che hanno la sola capacità di non rendere giustizia, ed omaggio, in maniera valida, alla figura di Florence Nightingale. Probabilmente la responsabilità di tutto questo sta sia nell’obiettivo poco chiaro del prodotto filmico, di cui si è detto, ed ancor più nel mezzo usato: il docufilm.
La mini-serie di cui stiamo parlando è il linea con il formato che molto va di moda di questi tempi. Un contenitore mediatico finalizzato a vendere spazi pubblicitari, a tenere incollato lo spettatore al video, a divulgare in maniera schematica, rapida e propagandistica alcune nozioni, più legate ad una visione dottrinale della storia e della realtà che non alla ricerca e alla divulgazione scientifica.
Il video in questione non è un’intervista o un reportage degno di Piero Angela, Alessandro Barbero, Andrea Purgatori, Carlo Lucarelli, Sergio Zavoli o Enzo Biagi (per citare solo gli italiani). Affatto. Tolta la presenza preparata di una storica italiana, la professoressa Barbara Bracco, tutte le figure e le autorità intervenute1 (storici, docenti di infermieristica ed anche una studentessa), hanno dato il loro contributo unicamente veicolato da alcune frasi brevi e assertive, all’interno della narrazione. Cause e sentimenti, dinamiche e relazioni, contesti e sguardi prospettici, e molto altro si perdono sistematicamente.
Viene detto, da una delle intervistate, che: [riferito alla Nightingale, ndr] La sua visione dell’assistenza è sintetizzabile nella definizione di “incremento della qualità”, in un bagaglio teorico fondato sui concetti di igiene, disinfezione, empatia; elementi su cui si sono formate le prime infermiere moderne
.
In realtà però dell’igiene delle mani ne parlano già i manuali dei frati infermieri del medioevo o dell’età moderna, le levatrici sanno che hanno bisogno di acqua calda e biancheria pulita e quando ciò non avviene un medico ungherese, nel 1847, rivela che la mortalità puerperale ha una incidenza troppo elevata e palesemente legata alla mancanza di lavaggio delle mani. Il medico si chiamava Semmelweis.
Viene detto che la Nightingale è stata una riformatrice sociale e pioniera nel trasformare le cure ospedaliere, nobilitare la professione di infermiera e favorire l’ascesa sociale delle donne. Valutazioni che, alla conta dei fatti, si sono realizzate, nel Regno Unito, e nel resto del mondo, solo a partire dalla seconda metà del ‘900. Averle scritte, ipotizzate, se si vuole in un certo senso progettate, va inserito su un piano contestuale, altrimenti si entra nel mito e nella leggenda, e soprattutto la verità delle cose rischia, come molto spesso accade oggi, di perdersi. Tutto è vero, ed anche il suo contrario.
Il docufilm in oggetto, insomma, più che un prodotto di informazione, sembra un prodotto di propaganda; un po’ come certi decreti legge fatti dai governi quando servono per riempire le pagine dei giornali, nascondere i problemi reali, lasciare ogni cosa così com’è, in attesa di ulteriori peggioramenti funzionali ad alimentare bacini elettorali retrogradi e basta.
Nel documentario più volte viene ribadito il portato di “femminista” della Nightingale, sottolineando come la modernizzazione della professione abbia facilitato l’ascesa sociale delle donne e nobilitato l’infermieristica stessa.
Una delle intervistate afferma che la Nightingale era senz’altro una femminista, nel senso che diamo oggi a questo termine, in quanto ha creato la prima professione femminile al mondo. Il pressappochismo dell’affermazione è evidente senza bisogno di spiegarlo. Viene detto inoltre che: Florence Nightingale dava molta importanza all’igiene, concepita come igiene fisica e igiene morale. Proponeva un approccio globale alla persona. Le allieve dovevano fare movimento, mangiare bene e riposarsi. La domenica alcune ore erano dedicate allo sport
.
Le allieve dovevano essere: Donne capaci di lavorare sodo. E non erano donne dell’alta società. I loro padri erano contadini o ingegneri o provenivano dall’ambiente medico. Lei riteneva che la sua scuola fosse aperta a tutte le donne di tutte le religioni, e persino atee. Teneva molto che fosse una professione laica
.
Insomma, come già detto, molte cose in poco spazio, anche dette in buona fede (forse). Bene! Poi però viene ricordato che in onore della Nightingale viene redatto il giuramento delle infermiere che inizia con le seguenti parole: Mi impegno solennemente davanti a dio, e a questa assemblea, a condurre una vita degna e a compiere i doveri…
. Davanti a dio. E la laicità della professione?
Commento (0)
Devi fare il login per lasciare un commento. Non sei iscritto ?