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Editoriale

Se la scienza è figlia non neutrale del suo tempo

di Giordano Cotichelli

Se un patto trasversale per la Scienza deve essere sottoscritto è quello che alza alta la sua voce contro i tagli alla sanità, al welfare, alle condizioni generali dei più poveri, perché non c’è nulla di scientifico nel mantenere le disuguaglianze nella salute, le cause di queste, in una società che giorno dopo giorno sta smantellando la copertura sanitaria per i più fragili. Ecco, se qualcosa di scientifico deve essere fatto è iniziare ad attuare progetti e linee d’azione per tutelare la salute collettiva, veramente. Altrimenti. Altrimenti si inneggerà alla pace mentre si assiste ad un’expo di armi, o si parlerà di ambiente sorseggiando acqua privatizzata e incarcerata in una bottiglietta di plastica. O tutto ciò che si può immaginare in un mondo che assomiglia sempre più alla scientificità del Grande Fratello di Orwell: La guerra è pace, la schiavitù è libertà.

Non c’è nulla di scientifico nel mantenere le disuguaglianze nella salute

Anche la Fnopi ha sottoscritto il Patto Trasversale per la Scienza presentato a gennaio da Roberto Burioni ed inaugurato dalla firma di due politici come Matteo Renzi e Beppe Grillo. A queste due, da allora, ne sono seguite ben altre 6.100 in rappresentanza del mondo scientifico, accademico, politico, giornalistico, etc. Buona cosa in generale.

Il tutto si presenta come una immagine bella, accattivante, con colori pastello; quasi vintage, con alcune parti, però, che non si riescono bene a mettere a fuoco, non convincono. Nulla di strano dato che, fra il detto e il non detto, il motore principale della questione è dato dal casus belli che ha mosso la stesura di questo patto e, nella sostanza, si legge fra le righe dello stesso: l’anti-vaccinismo, un tema su cui lo stesso Burioni si è speso moltissimo (a ragione), polemizzando con i suoi sostenitori.

Fin qui nulla di strano. Anzi, nello schierarsi contro l’anti-vaccinismo si tirano in ballo: le terapie non basate su prove scientifiche. Altro elemento su cui trovarsi d’accordo, anche se l’affermazione è troppo generica. Per intenderci, se si parla di terapie non basate su prove scientifiche ci si aspetta una nota a piè di pagina che rimandi ad un allegato al patto, dove si declini per esteso, o almeno in larga parte, anche sommariamente, i casi cui ci si riferisce, dato che non sono pochi.

Non si sta parlando unicamente di qualche ciarlatano di passaggio, di un professionista abusivo, o di politici in cerca di facili voti (parlando di vaccini o di ospedali aperti), ma di tutto un mondo fatto di affari milionari che, anche recentemente è stato tirato in ballo in interessanti lavori scientifici in cui si parla di disease mongering, cioè della commercializzazione della malattia, facilitata da studi pagati profumatamente, utili a affermare la necessità di questo o quel farmaco, di questo o quell’integratore e così via.

Vabbè, un patto è un patto. Non ci si può mettere tutto.

È giusto fermarsi un attimo, per evitare un taglio polemico tout court

Medici e infermieri - e qualsiasi professionista della salute, o cittadino ed utente interessati - non possono non essere d’accordo con quanto declinato dal patto. Il rischio è che esso si presenti un po’ come le dichiarazioni fini a sé stesse, tipo quelle in cui si dice che siamo per la salvaguardia dell’ambiente, della pace, della dignità. Quelle in cui ci si impegna per la lotta alla povertà, con il risultato che… alla fine non cambia nulla. Ci mancherebbe insomma che le forze politiche non appoggiassero il progresso scientifico o neghassero allo stesso i finanziamenti dovuti; come si preoccupa di “preavvertire” il patto.

Lascia perplessi però l’affermazione di una Scienza come valore universale di progresso dell’umanità che non ha alcun colore politico; passaggio che meriterebbe un verbo al condizionale: non dovrebbe. Non è una questione grammaticale, o contrattualista, bensì è decisamente politica, dato che in tale modo si riconosce che la scienza, ad ogni modo, è uno strumento il cui uso può essere distorto.

Come dire, per quanto il metodo scientifico sia fuori discussione, la scienza non è neutra, e qualche volta anche gli scienziati non lo sono. In merito, sono forse necessari alcuni esempi? L’esistenza delle razze e la loro inferiorità fino a qualche decennio fa era dato come un assunto scientifico.

Un certo (ab)uso della terapia antibiotica è stato anche sostenuto da una scientificità indiscutibile. Lo scorbuto, malattia data dalla carenza di vitamina C, era considerata causata da una muffa. Si potrebbe continuare per molto, anche se in molti casi l’obiezione più facile sarebbe quella di dire che ad ogni modo la scienza del tempo, con il suo metodo, aveva raggiunto una verità che poi scientificamente è stata messa in discussione e si sono riviste delle cose.

Giusto, ma questo afferma ancor di più che la scienza non è un concetto astratto. È il figlio non neutrale del suo tempo, un costrutto umano strettamente correlato alla storicizzazione con cui la si interpreta.

E se questo è valido, ed ancor più lo è un agire scientifico, allora è necessario soffermarsi per un momento sulla continuità storica e professionale da sempre presente nella cesura fra un apprendimento scientifico ed accademico, e la sua reale applicazione nella quotidianità.

Prescindendo dal termine naturale, utilizzato in relazione alla scelta degli infermieri di sottoscrivere il patto (l’aggettivo mal si accorda con scelte istituzionali, di sistema o di politica professionale), va da sé che gli infermieri non possono non agire scientificamente, non far riferimento a studi e linee guida, aggiornarsi e porsi interrogativi.

Ma tutto ciò dipende in maniera molto piccola dalle scelte personali, o dall’aver sottoscritto patti di sorta, mentre in realtà è fortemente legato ad indirizzi di sistema, politiche sanitarie, allocazione di risorse, sostegno della salute collettiva e dei bisogni dei più fragili.

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