E ancora c'è erba tra il sangue. È il 22 agosto, mi ritornano in mente le parole crude di Henry Dunant sul campo di Solferino, dopo la sanguinosa battaglia di quasi due secoli fa. È il giorno della Croce Rossa, che dal 1864 soccorre le croci dell'uomo in ogni parte del mondo. Da allora l'Organizzazione Internazionale è sugli scenari di guerra e in luoghi che vivono tempi di pace ma sono funestati da calamità ed emergenze di diversa natura. Il 22 agosto è pertanto una data simbolo, rappresenta l'inizio del diritto internazionale umanitario contemporaneo che fissa regole universali per proteggere le vittime dei conflitti e garantire le cure senza discriminazioni ai feriti e ai malati, nonché rispettare il personale sanitario e le attrezzature con cui opera durante il soccorso.
Non c'è niente di nuovo sul fronte orientale
Tenda temporanea della Croce Rossa per aiutare i civili ucraini colpiti dalla guerra.
Ancora, dopo oltre cinquecento giorni di guerra e oltre cinquecentomila morti su entrambi i fronti, ci sono vetri e cemento tra il sangue dei civili ucraini e fango e schegge tra quello dei soldati.
Tra il sangue c'è quell'unghia azzurra, la mano sfugge dalla coperta sull'asfalto frantumato dal missile che ha colpito la piazza e il teatro a Chernihiv nell'ultimo attacco russo. Quelle tante unghie colorate fanno ancora più male, perché rappresentano la voglia di essere donna e di andare avanti nonostante le bombe e i lutti. Di colorare l'orrore di normalità, finta e dura come lo smalto.
Negli ospedali da campo e nei centri di riabilitazione dedicati alla cura dei feriti militari e civili il lavoro dei sanitari ucraini è immane e viene supportato anche da una partnership di sei ospedali italiani di eccellenza, tra cui l'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e il Centro Protesico Inail e l'Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna.
Secondo un progetto di cooperazione in ambito sanitario promosso dal Ministero della Salute italiano, in collaborazione con la Croce Rossa , c'è l'impegno a garantire assistenza medica sul posto, a trasferire in Italia i casi più complessi, a formare il personale medico ucraino e ad ampliare le capacità infrastrutturali e tecnologiche per la creazione di altri centri come Superhumans, Unbroken e Galychyna aperti a Leopoli per guarire i traumi della guerra e ridare dignità a corpi mutilati. Sono supereroi intatti, non rotti.
A volte tra le gocce di sangue ci stanno quelle del mare
Il sangue, che è sempre rosso nelle vene degli esseri umani di ogni etnia e colore della pelle, si annacqua se le onde entrano in bocca. Tra i volontari in servizio presso l'Hub di prima accoglienza di Lampedusa ci sono anche molti sanitari.
La Croce Rossa Italiana ha chiesto a medici ed infermieri la disponibilità a partire per l'isola, senza i benefici di legge, per garantire assistenza sanitaria durante le operazioni di sbarco alle centinaia di persone che approdano ogni giorno e per gestire i loro problemi di salute una volta ospitati nel centro, prima della partenza verso i comuni della penisola.
Anche qui, sulla terra più meridionale del Paese – uno scoglio di circa 20 km quadrati, a 35° Nord di latitudine e 12° Est di longitudine, nell'arcipelago delle isole Pelagie - si misura in fondo la portata e la fattibilità di One Heath, una salute per tutti, il progetto che l'Organizzazione Mondiale della Sanità vorrebbe estendere su tutto il pianeta.
Gli sventurati migranti si portano dietro, prima e dopo i giorni perigliosi passati in mare, malattie fisiche e psicologiche di cui occorre farsi carico, oltre a quelle dei sei mila isolani e dei turisti che fanno il bagno e prendono il sole dall'altra parte della costa.
Il mondo è fatto di contrasti . A volte c'è sabbia tra il sangue, al confine tra Yemen ed Arabia dove i militari sauditi sparano ai migranti per non farli passare. C'è tanta sabbia tra il sangue anche sul limitare del deserto libico e tunisino, verso il quale i soldati respingono i miserabili confinandoli a morte per arsura.
A volte non viene versata neanche una goccia, si sanguigna dentro. E tra il sangue - che si versa senza ferite visibili - c'è l'odio, l'insofferenza, la violenza, la discriminazione di ogni sorta. A volte c'è dell'umanità tra l'indifferenza, ogni qualvolta un uomo compie un gesto di empatia e solidarietà verso un altro, senza un perché ed un fine, senza aspettarsi un grazie. Mosso soltanto da un altruismo o da un principio che altro non è se non un motivo concettuale, sul quale si fonda un ragionamento che poi genera un sentimento e diventa una norma di comportamento.
Gli operatori sanitari dovrebbero averne tanta di umanità
Essa dovrebbe essere un carattere essenziale e distintivo della categoria professionale oltre che della specie umana. Il sangue, anche il nostro, talvolta invece si fa amaro. Avvelenato dall' irritazione e dall'amarezza, dall'invidia e dal rancore, dalla divergenza di opinioni come certe posizioni antiscientifiche durante la pandemia che hanno dilaniato i rapporti tra simili.
Il sangue continua a farsi amaro per le continue lamentele, l'insoddisfazione delle condizioni di lavoro, l'inadeguato compenso economico, il mancato riconoscimento dei meriti personali e del valore sociale, le violenze verbali e le aggressioni di cui sempre più spesso siamo vittime in tanti Pronto soccorso, nei reparti e sulle ambulanze.
Diventiamo amari per le rivalità che possono nascere nelle équipe e per le chiacchere che rovinano rapporti e carriere. Il sangue si fa cattivo, ce lo guastiamo ogni volta che ci inquietiamo troppo e tormentiamo i colleghi.
Certamente è doveroso e giusto lottare per cambiare, migliorare e salvare il sistema sanitario e il nostro lavoro. Ma la rabbia, specialmente se si accompagna alla frustrazione e alla rinuncia, trasfonde nel sangue il sapore amaro della bile. Sa di fiele.
Oggi ci sono state lacrime tra il mio sangue. Ho appreso la notizia che una collega infermiera ha lasciato vita ed affetti. Il cancro alla fine ti porta via. Non è una lotta, non si vince non si perde. Si cerca soltanto di guadagnare tempo. Non ha avuto nemmeno il tempo di godere dell'oblio oncologico .
Pochi anni di chemioterapie ed interventi ed ecco, non ci sei già più. Cerco di trovare un senso a questa perdita che senso non ha. Così mi ritornano in mente alcuni versi tratti dalla raccolta di poesie Sangue amaro di Valerio Magrelli. Mi lavo i denti in bagno. Ho un bagno. Ho i denti. Ho una figlia che canta di là dalla parete. Ho una figlia che ha voglia di cantare e canta. Può bastare .
Mi elenco i miei “può bastare”, primo tra tutti la salute. Poi tengo un lavoro che amo, qualche affetto, una passione. L'essenziale che abbiamo tutti, poco o tanto. Che poi non si tratta di consolazioni, sono tutto ciò che di più semplice e vero ciascuno dovrebbe farsi bastare per non affannarsi e farsi amaro. Il resto è in più.
Mentre mi incammino verso lo spogliatoio sotto i 40° gradi di un mondo che bolle , per dirla alla Guterres, l''ospedale non sembra cambiato con questo altro lutto, tra i tanti anonimi che ogni giorno si consumano nei vari piani, ma stavolta si tratta di uno di noi.
Manca un'unità che ha fatto il suo dovere sino all'ultimo. È stata in prima linea durante la pandemia. Chissà se il suo posto sarà riempito o resterà vuoto. Come è strano che si muoia anche noi nel silenzio e nella solitudine, d'improvviso, lontano dagli affetti come capita ai pazienti.
Che il mondo fuori non sappia nemmeno che muore un infermiere . Che la notizia non faccia notizia sui giornali e che trapeli in ritardo, facendo poi veloce il giro dell'ospedale, lasciando tristezza e sgomento in chi la conosceva come amica e in chi la stimava come professionista. L'epigrafe sarà forse domani sopra gli orologi timbra cartellini. Resta il ricordo di un volto sorridente, nonostante la malattia. Resta il coraggio. E la sua umanità, forte e fragile, tra il suo sangue freddo.
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