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Editoriale

Una Repubblica fondata sul lavoro

di Giordano Cotichelli

I media nazionali hanno detto, già da giorni, che questo 2 giugno si tornerà a celebrare la festa della Repubblica con la consueta sfilata militare lungo i fori imperiali a Roma. Nulla di strano dato che se una sfilata è consueta, allora è normale… seguire la consuetudine. Il problema è un altro: quest’anno, la Repubblica italiana è impegnata di fatto in una nuova guerra europea, quella che si sta combattendo in Ucraina. Se poi a questo si aggiunge che la stessa viene alimentata da una politica bellicista fatta di sanzioni e traffico d’armi, con la scelta di aumentare, entro il 2028, al 2% del Pil la spesa militare nel nostro paese, il quadro generale ha l’amaro sapore di una tragedia greca, dove c’è posto solo per disperarsi.

2 giugno, il futuro sta nel ritrovare un'identità solidale

Il futuro sta nel ritrovare una identità solidale, ricostruire quello stato sociale che molti continuano a smantellare.

Durante gli ultimi due anni, in occasione proprio della festa della Repubblica, per fare fronte anche sul piano mediatico e di coesione sociale il presidente Sergio Mattarella ha scelto, com’è consuetudine, di premiare con la nomina a Cavaliere della Repubblica diversi sanitari: infermieri, medici, autisti, volontari, etc. riconoscendo non solo l’impegno personale, ma il portato simbolico del loro lavoro in tempi di pandemia.

Del resto questi due anni sono stati affrontati anche grazie ai tanti piccoli riconoscimenti, speranze, auspici di ogni tipo, spesso trasformati in improvvisati striscioni, appesi ai davanzali delle finestre o dei balconi, in centinaia di città italiane. “Andrà tutto bene”, c’era scritto e, in larga parte, così è stato, anche se purtroppo non ci si è svegliati in un mondo migliore, più solidale, più attento al welfare, alla salute pubblica, al sostenersi l’un l’altro.

Mentre l’Europa continua ad inviare sistemi d’arma, alle frontiere polacche continua la selezione dell’umanità profuga: quella di parte ucraina può essere accolta, mentre viene respinta l’altra, quella scampata alle guerre e alle miserie provocate in buona parte proprio dallo stesso modello di sviluppo economico (sarebbe meglio dire sfruttamento), dell’Europa e dell’Occidente.

No, non sta andando tutto bene. I brutti personaggi di sempre, di cui non pochi guadagnano dai cinquecento euro in su, al giorno, sbraitano contro chi percepisce 500 euro al mese (o poco più, leggasi reddito di cittadinanza) considerata la causa prima dei problemi economici – tutti? – del paese.

La repubblica fondata sul lavoro sembra proprio dimenticarsi del lavoro come elemento fondante, inteso in termini di dignità economica, professionale e politica e non come mera schiavitù.

I social in questi giorni offrono la saga di un ricchissimo gaudente italiano alle prese con alcuni suoi ex-dipendenti che, dopo anni di vessazioni, gli hanno fatto causa, stanchi delle sue sfuriate, delle umiliazioni, di essere considerati comparse del telefilm della vita di uno che si sente padrone non solo della sua azienda, ma anche della vita delle persone. Un segno, non il solo e neanche il peggiore, di come il lavoro in Italia non sia considerato una priorità, in un paese in cui, l’ultimo rapporto Eurostat evidenza come si stia allargando sempre più la forbice salariale. Lo stipendio medio è di almeno 8 euro, all’ora, inferiore di quello di un tedesco o di un olandese. I differenti costi della vita non bastano poi a giustificare il gap presente.

Il futuro di questo paese non è nella guerra, anche se siamo fra i principali produttori di armi al mondo. Il futuro sta nel ritrovare una identità solidale, ricostruire quello stato sociale che molti continuano a smantellare. Fra questi non pochi sono proprio coloro che sbraitano contro chi non vuole lavorare per un tozzo di pane. Fra questi, non pochi sono i responsabili della cattiva gestione dell’emergenza Covid, a partire dall’essere stati i fautori di una politica di tagli che hanno indebolito le difese socio-sanitarie della società a tal punto da essere stato sommersa violentemente dall’ondata pandemica. Lo sanno tutti che i morti della tragica primavera del 2020, e molti altri che sono seguiti, non sono tutti propriamente imputabili alla sola azione del cattivo virus.

No, non sta andando tutto bene. Si è tornati a lamentarci che mancano gli infermieri, i medici ed il personale dei servizi in generale. Gli insegnanti pochi giorni fa hanno scioperato per sottolineare come è ora che in questo paese si dia più personale e risorse per un’istruzione moderna, degna di questo nome. Più insegnanti significano investire nel futuro, puntare ad avere una popolazione maggiormente istruita, e quindi più in grado di autogestirsi e meno bisognosa dell’assistenza di terzi, cioè di medici, infermieri, etc.

Questo 2 giugno tornano a sfilare i soldati per le strade di Roma

Un po’ più a nord sfilano anche i pacifisti e gli antimilitaristi contro la base militare di Coltano, vicino Pisa; e per ricordare quanti ospedali si possono costruire, o mantenere, con il costo di una divisione corazzata, quanto personale sanitario e sociale si può retribuire con le spese per bombardieri e obici semoventi.

È retorico chiedere quante vite salverà un carrarmato, rispetto ad una sala operatoria?

In provincia di Bergamo, la stessa che ha affrontato tragicamente la prima ondata di Covid-19, qualche giorno fa si è registrata una piccola storia di quotidiana solidarietà. Sono state regalate 1800 ore di ferie ad un infermiere che dovrà assentarsi per lungo tempo per assistere la moglie (collega anch’essa) che ha subito un importante intervento chirurgico.

I molti dipendenti del Policlinico San Marco di Zingonia – dove lavorano i due - hanno dunque fatto questa “colletta” di ferie per sostenere i colleghi in questo periodo difficile. Un bel gesto che ci ricorda come, nel giorno della festa della Repubblica, si tiene una terza sfilata: quella delle donne e degli uomini che portano avanti questo stesso paese, dalla mattina alla sera. Persone, lavoratrici e lavoratori, che sanno come la solidarietà sia un bene prezioso, da alimentare, diffondere, riprodurre.

Indispensabile in un mondo dove si vuole vendere o comprare tutto, dove non si insegnano più le conoscenze, ma le competenze, dove una persona fragile non è più un paziente da assistere, ma un cliente da arruolare.

Sì, forse non tutto sta andando per il meglio, ma questa umanità qualche orizzonte di speranza in più è in grado di darselo, e deve farlo oggi più che mai, specie nei confronti di chi ha bisogno di cure, di lavoro, di pace e libertà, in Italia, o in Ucraina, Russia, Bielorussia, Yemen e tanti altri posti di questa terra. In tutti i posti della terra, meno che nei cortili dei ricchi e viziati rampolli che disprezzano il lavoro altrui. Buona festa della Repubblica.

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