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Editoriale

La Repubblica della salute, per tutti

di Giordano Cotichelli

La repubblica delle italiane e degli italiani nasce dalle storie del passato e dalle utopie del presente, perché per affrontare una pandemia e stare dalla parte dei più deboli, bisogna essere rivoluzionari e partigiani. Repubblica degli italiani e delle italiane, in senso ampio, inclusivo, considerando tali – a prescindere dalle fandonie dello ius sanguinis e dal peso delle carte bollate - tutti gli individui che in questa terra hanno speso le loro vite e le stanno spendendo tutt’ora, per il bene individuale e degli altri, di quella cosa che è di tutti: la res-pubblica. Di quella cosa che deve essere per tutti: la salute.

Italiana indubbiamente, ma degli italiani in maniera indissolubile

Qualche giorno fa il programma “Propaganda live” ha donato al pubblico una delle sue ennesime perle: un cartone di Zero Calcare che parla degli infermieri eroi, come i Cavalieri dello Zodiaco. Il personaggio immaginario, ma neanche tanto, di Lele l’infermiere apostrofa l’autore sottolineando che, al posto di tanti salamelecchi preferirebbe essere stabilizzato in ruolo e non più essere precario di una cooperativa.

Il resto del cartone “svela” che la trasformazione della salute da diritto sociale a bene di mercato ha contribuito alla diffusione della pandemia. Non se la prendano governatori vari attuali, nessuno toglie loro le responsabilità riconosciute, se ne parlerà in futuro. Qualche settimana fa, altro protagonista della satira nazionale, Jacopo Fo, in un paio di editoriali su Il Fatto Quotidiano, sottolineava come una delle cause più importanti della pandemia fosse il mancato aggiornamento sanitario, l’implementazione della tecnologia informatica, in una parola: l’avvio della tele-medicina.

Osservazione giusta, acuta e pertinente, ma di peso molto piccolo in quanto ci si fa ben poco con la telemedicina attiva, se mancano letti di terapia intensiva, infermieri, medici, etc. Ho provato a far notare questo particolare a Jacopo Fo, con una lettera aperta inviata al giornale. Ancora non ho avuto risposta, probabilmente ho sbagliato l’indirizzo email.

In un certo senso l’identità italiana sta in mezzo a queste due diverse espressioni della cultura di questo paese: il borgataro da un lato e l’intellettuale dall’altro. Del resto, la Repubblica Italiana del 2 giugno 1946 nacque dal risultato di un referendum popolare che sancì, senza ombra di dubbio, il rifiuto della monarchia sabauda, consegnando alla storia però un paese diviso in due: il Centro-Nord repubblicano e il Sud monarchico.

La vittoria ad ogni modo risultò netta: 12.718.641 (54,27%) per la repubblica e 10.718.502 (45,73%) per la monarchia. Al di là della retorica nostalgica e dei revisionismi storici, nei fatti, lo stato italiano nella sua breve vita contemporanea mostra un percorso temporale quasi uguale in cui si distinguono 85 anni vissuti come “Regno d’Italia” e 74 anni come “Repubblica Italiana”. I dati sociali, economici, culturali, sanitari e politici dei due periodi sono però profondamente differenti.

Il regno dei Savoia ha prodotto lutti, drammi, miserie di ogni tipo. Due guerre mondiali, decenni di imperialismo coloniale, livelli di mortalità infantile e generale fra i peggiori d’Europa, analfabetismo diffuso, il militarismo golpista di Bava Beccaris che cannoneggiava chi chiedeva pane e la guerra senza quartiere, a spese dei “cafuni”, per sconfiggere il brigantaggio. La monarchia italiana, prima ancora di creare un ministero della salute, riuscì a creare e sostenere un ventennio di dittatura fascista, per poi buttarlo a mare quando non le serviva più. Se la regina amava mostrarsi in divisa da infermiera della Croce Rossa, la creazione organica di una formazione infermieristica si avrà ben 65 anni dopo l’Unità d’Italia.

Di per sé uno stato repubblicano non garantisce nulla

Si potrebbe continuare ancora per molto, le righe precedenti sono sufficienti per un confronto indiretto su ciò che non è stata mai la Repubblica Italiana e sui molti problemi cui ha posto rimedio. Merito della forma istituzionale della repubblica? Così sembrerebbe, anche se di per sé uno stato repubblicano non garantisce nulla. Gli esempi, in relazione all’Italia, sono molti.

Si va dalla Roma repubblicana, un’aristocrazia militare interessata solo a predare i popoli di ogni dove, alle Repubbliche Marinare, delle oligarchie commerciali finalizzate solo alla realizzazione di profitti sempre maggiori a danno di Sardi, Corsi, Dalmati, Greci, e Saraceni. Più vicino ai nostri tempi in Italia si sono avuti altri tipi di repubbliche: quelle giacobine, eroiche, romantiche e pessime imitazioni della Repubblica francese. Il capo dello stato, dell’unione di alcune di queste in Repubblica italiana, fu l’autoproclamato Napoleone Bonaparte, che era tutto fuorché un sincero democratico.

Seguirono le repubbliche rivoluzionarie del 1848–1849, quelle della primavera dei popoli, espressione prevalentemente di ceti commerciali e nobiliari desiderosi di sottrarre potere a vecchi sovrani autocrati, senza però avere a cuore le sorti delle popolazioni più deboli. Fa eccezione l’utopia della Repubblica Romana, che visse dal 9 febbraio al 4 luglio del 1849. La bandiera era sempre il tricolore, con su l’epigrafe Dio e popolo, un connubio quasi irriverente per il tempo, nell’equiparare l’autorità divina a quella popolare.

La repubblica romana perì, non senza lasciare dietro di sé aneliti di libertà e giustizia: l’abolizione della pena di morte, la fine dei privilegi di casta, il miglioramento delle condizioni morali e materiali, il rispetto di ogni nazionalità. Questo e molto altro recitava la sua costituzione, all’avanguardia per quei tempi e, per molti versi, anche per oggi.

Durante la repubblica Romana nacque di fatto il primo progetto di formazione strutturale di un corpo di infermiere, a cura di Cristina Trivulzio di Belgioioso, cinque anni prima della Nightingale. Non si realizzò causa le artiglierie francesi, ma vide alla direzione dei servizi sanitari dell’Urbe la Belgioioso assieme ad altre donne, quali: Enrichetta Di Lorenzo (la compagna di Carlo Pisacane), Giulia Bovio Paulucci, Giulia Calame, Anna Galletti de Cadihlac, Margareth Fuller, Adele Baroffio, Paolina Lupi, Enrichetta Filopanti, Olimpia Razzani, Malvina Costabili. Donne a capo dei servizi di ambulanza e dei presidi ospedalieri, un fatto più unico che raro, come molte delle cose che accadono nelle rivoluzioni.

L’effimera durata della Repubblica romana gettò le basi per far in modo che, quasi un secolo dopo, la Repubblica italiana fosse un fatto compiuto. Un dato che trova riscontro non solo nella storiografia risorgimentale, ma nelle varie repubbliche partigiane che cercarono di creare spazi di libertà, per contrastare l’azione infettiva di una repubblica talmente piccola e vile, per questo chiamata repubblichetta, stato fantoccio al servizio di un esercito invasore.

Una nota di colore arriva da una città repubblicana per eccellenza: Ravenna. Qui, in Piazza del Popolo, c’è una lapide in cui figurano i risultati cittadini del referendum istituzionale del 1946. Dati riportati al di sotto di un’altra epigrafe commemorativa, che ricorda i deputati ravennati eletti all’Assemblea Costituente della Repubblica Romana nel 1949.

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