La pandemia da Covid-19 ha fatto crollare (ma probabilmente ha solo forzato e anticipato i tempi) alcune condizioni sociali che parevano certezze. Ci stiamo rendendo conto che il nostro Paese, da solo, non è strutturato in maniera tale da poter resistere e sopravvivere ai danni economici, ma non solo, che il virus sta producendo. Il mondo del lavoro, praticamente tutto, sta incontrando difficoltà tali da farci paragonare questo periodo a quello dell’ultima guerra mondiale. Naturalmente questa tragica condizione sta lasciando il proprio segno pure sulla sanità pubblica.
Quale futuro per noi infermieri?
Abbiamo compreso già da mesi che l’attuale strutturazione della sanità pubblica non è più sufficiente a garantire un adeguato livello assistenziale. La sanità pubblica, da sempre ospedalocentrica, ha mostrato quanto l’assenza di idonei livelli assistenziali sul territorio, produca un impatto socio-assistenziale negativo e quindi pericoloso. Queste, purtroppo, sono oramai condizioni ben note a tutti.
Da più parti si sta legittimamente provando a costruire delle soluzioni atte a risolvere questi gravi problemi ad alto impatto sociale. Tutte le soluzioni sinora proposte sono assolutamente giuste, ma a mio avviso parziali. È dato noto che negli ultimi anni abbiamo assistito ad un notevole calo degli investimenti da parte dello Stato nella Sanità pubblica. La spesa sanitaria, in Italia, ha inciso negli ultimi anni per l’8,9% del nostro PIL contro l’11,3% della Germania, l’11,0% della Francia e il 10,4% del Belgio. Chiaramente questo dato da solo ci può aiutare a comprendere come si sia disinvestito in maniera importante nella sanità pubblica.
Le conseguenze di questo solo dato ci portano a considerare come risulti evidente, per esempio, l’impossibilità ad ammodernare alcuni fatiscenti strutture ospedaliere. Altra impossibilità evidente, che ne è conseguita è quella relativa alla sostituzione e all’incremento delle figure professionali di medici e infermieri.
Siamo tutti d’accordo che il numero di infermieri qui in Italia non è sufficiente a garantire adeguati livelli assistenziali. Riporto solo questo dato: in Italia abbiamo 5,7 infermieri ogni 1000 abitanti contro una media europea di 8,2. Addirittura, negli Stati europei del nord la media sale a 10 infermieri ogni 1000 abitanti. Quasi il doppio rispetto alla nostra. Siamo quindi, altresì, tutti d’accordo che il numero di infermieri di cui si ha bisogno è di gran lunga superiore a quello attuale. Ma come possiamo provvedere in merito? Quali soluzioni adottare?
Qui, a mio avviso, bisogna avere il coraggio di affrontare la situazione per quella che realmente è e porla all’interno del contesto socio-economico che stiamo vivendo.
Non si può pensare di risolvere il problema numerico senza considerare la severa condizione economica che stiamo attraversando
Il problema della quasi totale assenza di rappresentatività
Per cui dobbiamo fare lo sforzo di contestualizzare la situazione economica e pure quella politica. E quando dico politica intendo non solo quella istituzionale. Il problema numero uno in Italia è la quasi totale assenza di rappresentatività. Condizione, questa, che passa attraverso il sociale per giungere sino a quella parlamentare e di Governo.
È inutile nascondersi dal fatto che abbiamo veramente ben pochi politici degni di essere chiamati così. Attenzione, non ne faccio una questione di schieramento o di idee. E non vorrei neppure che questa posizione passasse come banale. Sono fermamente convinto che questa classe politica tutta, maggioranza e opposizione, non sia in grado di gestire e risolvere una crisi così importante. Manca la Cultura con la C maiuscola per comprendere sino in fondo l’entità dei problemi. Di questi eccezionali problemi. Purtroppo, tale condizione di inettitudine coinvolge, pure, il sindacato.
Da ormai troppi anni assistiamo ad una rappresentazione sindacale opaca e frammentata che si pone in atteggiamento prono nei confronti delle classi dirigenti. L’individualismo e la personalizzazione delle varie istanze hanno condotto il lavoratore ad una debolezza costituzionale, in questo caso stiamo parlando dell’infermiere. Siamo deboli nell’affrontare le trattative perché disuniti. Perché non siamo stati, ancora, in grado di risultare parte sociale indispensabile al benessere collettivo.
Va ricreato il senso comune dell’appartenenza a un mondo sociale che possiamo indossare con naturalezza. Non dobbiamo isolarci nella nostra professionalità ed estraniarci dal contesto socio-economico che stiamo vivendo. Non possiamo pensare di diventare casta, ma dobbiamo unirci a tutti quei lavoratori che, come noi (e probabilmente più di noi) stanno attraversando momenti di dura crisi.
La forza contrattuale è data sì dalle competenze necessarie allo svolgimento della propria professione, ma pure dalla dimostrabile, ma non ancora dimostrata, importanza sociale del ruolo esercitato e dal numero di categorie professionali che partecipano alle dinamiche contrattuali.
Repetita juvant: l’isolamento contrattuale ci rende meno forti, specie in questo contesto di ristrettezze economiche
Credo opportuno ragionare in termini del domani e non dell’oggi per provare a garantire alla nostra categoria professionale quel riconoscimento sociale ed economico che a oggi è assente. A tal proposito mi pare doveroso fare un breve cenno al programma economico denominato, non a caso, Next Generation. Stiamo parlando di quei 209 miliardi di euro che l’Europa ci permette di utilizzare per costruire una casa migliore per in nostri giovani.
Visto che questo programma economico è stato chiamato Next Generation credo consegua evidente che l’utilizzo di questa enorme somma debba risultare propedeutica al futuro della nostra Nazione. Futuro che prevede, per una parte di quota euro, pure quello della nostra sanità.
Personalmente credo che la quota denaro che i nostri governati decideranno di destinare alla nostra sanità debba essere utilizzata per l’ammodernamento strutturale dei nostri ospedali, per la telemedicina e per la territorializzazione dei presidi sanitari.
Cioè non più il cittadino che va alla sanità, ma la sanità che va alla ricerca del cittadino. A questo serve, pure, la tele-medicina. Devono, inoltre, essere immaginati più presidi ospedalieri e sanitari in genere. L’alto numero di persone anziane residenti sul nostro territorio necessita di investimenti strutturali importanti. Non è più accettabile avere solo ospedali con 1500 ricoverati.
Il Covid-19 ci ha dimostrato quanto risulti importante avere piccoli ospedali da destinare in caso di ulteriori e future pandemie.
Quindi, in nuce, Next Generation non significa coprire i disavanzi odierni oppure pensare di distribuire soldi a pioggia alle varie categorie professionali. Significa immaginare e costruire un futuro dignitoso
Certo che se si aumentano numericamente i presidi sanitari, di pari passo deve aumentare il numero di professionisti della salute. I vari rappresentanti la nostra categoria professionale - politici, sindacalisti e OPI - devono cominciare ad immaginare un impegno differente da quello interpretato negli ultimi dieci anni.
La questione rappresentatività non va sottovalutata nemmeno per gli OPI
Se dei politici e dei sindacalisti abbiamo fatto cenno proviamo a spendere due righe per gli OPI. Credo - comunque spero di venire smentito da più parti - che debba venire compreso e vissuto in maniera maggiormente capillare il loro ruolo istituzionale. La maggior parte degli infermieri fa fatica a comprenderne l’importanza a livello istituzionale. Dall’altra parte ritengo indispensabile una maggiore democratizzazione dei percorsi interni ed esterni.
Non è più possibile che le votazioni dei rinnovi dei rappresentanti degli Ordini vadano deserte o ancor peggio vengano annunciate solo pochi giorni prima delle votazioni. La questione rappresentatività non va sottovalutata, la forza della nostra categoria professionale deve trovare origine proprio all’interno degli OPI.
Si devono costruire percorsi di condivisione all’interno delle loro mura. La forza contrattuale deriva, anche, dalla credibilità degli organismi dirigenti la professione. Va incentivata la meritocrazia anche a fronte del differente impegno richiesto nello svolgere la propria professione. Così come non risulta più corretta l’assenza o la minima presenza di infermieri che lavorano in ambito privato nei vari direttivi. La quota di rappresentazione deve trovare esatta percentuale nelle differenti dinamiche lavorative.
La rappresentatività è il cuore delle dinamiche di dialogo fra e con le parti sociali. Sminuita, come è avvenuto negli ultimi 20 anni, la forza contrattuale da parte dei rappresentanti i lavoratori, la condizione di incremento della valorizzazione professionale è andata parimenti scemando. Il recupero di questa condizione, da più parti auspicato, non potrà che avvenire in tempi lunghi. Quando le forze di rappresentanza avranno ricompreso il significato del loro ruolo e lo avranno esercitato in maniera ottimale alle necessità dei loro rappresentati.
La natura odierna delle difficoltà economiche potrebbe produrre disagi sociali che una sola categoria professionale non può contenere. Il benessere della nostra società può esistere solamente se distribuito su tutto il fronte dei lavoratori. Il benessere economico di una sola fascia reddituale non è sostenibile nel medio e lungo periodo. Ciò di cui abbiamo bisogno come Paese Italia è una più equa distribuzione del benessere, condizione questa che attualmente non risulta proponibile.
La povertà comincia con l’essere numericamente troppo importante. Pensare di continuare a esercitare una netta dicotomia tra benessere sociale e quello in termini di salute è propedeutico a un disagio sociale che non potrà più essere gestito in maniera educata. Manca la forza di rappresentazione di chi lavora, di noi infermieri per esempio, a tutto beneficio delle forze economiche, sociali e politiche che detengono il potere decisionale.
Concludo con una nota che potrebbe trovare alcuni dissidenti. In questa enorme crisi strutturale, che sta sfiancando numerose persone e famiglie, che sta creando una moltitudine di nuovi poveri, ritengo eticamente doveroso non risparmiarsi in ambito lavorativo. Il diritto al lavoro è sancito dalla nostra Costituzione e noi dobbiamo tutti i giorni ricordarcelo lottando, se necessario, affinché ci venga riconosciuto, ma, d’altra parte, non deve essere più concessa alcuna fuga dal dovere che il lavoro stesso ci impone. Non è solo una questione di energie spese, di Joule erogati, ma pure di onestà intellettuale e di impegno morale. Di rispetto verso chi è stato sopraffatto fisicamente e verso chi si trova in una condizione di disagio.
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