È una fotografia impietosa quella che arriva dall'ultimo report del Ministero della Salute sul personale del SSN relativo al 2018: sempre meno personale, sempre più vecchio e sempre più precario. I lavoratori dipendenti sono scesi di 25mila unità in 6 anni, mentre è boom dei contratti precari (+11 mila). Difficile affrontare la normalità dell’assistenza sanitaria con personale vecchio e ridotto di numero. Ed ancor più portato a svolgere attività sempre più complesse con sempre meno risorse, strumentali, formative, retributive.
SSN: gli infermieri sono sempre meno e sempre più precari
Un rapporto del Ministero della salute, pubblicato nei giorni scorsi, fa il punto sul personale del Ssn in servizio in relazione all’anno 2018. Dati in larga parte noti, ma che lungo una prospettiva ampia di lettura dicono molto dello stato di salute della sanità in Italia, della pandemia in corso e del futuro prossimo a venire. Molto prossimo.
Al 31 dicembre del 2018 il personale dipendente era in totale 685.157, di cui 331.605 infermieri, 244.970 medici e la parte restante legata a varie figure delle professioni sanitarie riabilitative, tecniche e di altro tipo.
Se si confrontano i dati con quelli del 2012 si vede una progressiva perdita di posti di lavoro (25 mila in meno), con una quota di lavoratori assunti non a tempo determinato pari a circa all’8% (54.370), che scende di qualche punto per il personale infermieristico (6,1%) ed un’età media che arriva in generale a 50,2 anni e 47,7 anni per gli infermieri ma, in questo caso, con un’anzianità di servizio di 19 anni.
Se si considera nel dettaglio il personale dell’area infermieristica (infermieri, infermieri pediatrici ed ostetriche) delle aree relative alle ASL, AO e Università, Istituti di ricovero a carattere scientifico, ARES, ESTAR, ISPO e A.R. di Veneto e Liguria si ottiene una totalità di 277.446 unità in cui il rapporto con gli abitanti è di 4,73 ogni mille e con i medici è di 2,5; con il 38,41% del personale a tempo indeterminato compreso nella fascia di età fra i 50–59 anni.
Un quadro che sostanzialmente non presenta novità di sorta e anzi conferma la percezione della fragilità del sistema, sul piano dell’offerta del personale in generale, della sua numerosità, della sua “vetustità”, della sua precarietà e ripartizione interna, lungo un andamento letto, nel rapporto del ministero, in relazione agli ultimi sette anni, ma che in realtà segue una lunga scia di destrutturazione del sistema che si protrae da almeno un trentennio; dall’epoca dell’aziendalizzazione, dei direttori manager, della privatizzazione che dovevano risolvere tutto ed invece hanno peggiorato tutto.
A questo, nello specifico, sul piano assistenziale vanno aggiunti gli operatori non computati dal rapporto del Ministero, in particolare gli OSS, ancor più in uno sguardo ampio che comprenda sia le strutture pubbliche, sia quelle private del grande arcipelago indefinito della residenzialità.
Stando ai numeri pubblicati sia su Nurse24.it relativi a quattro anni fa, sia a quelli più recenti del Sole24ore il numero degli OSS in Italia si aggira attorno ai 300.000 circa. Poco più. Probabilmente una cifra che, come la dimensione della pandemia in atto, andrebbe rivista in aumento, legata alle molte situazioni professionali al limite, di personale non ancora qualificato e connotato da sigle altre (OSA, ATA, OTA) che ancora si trascinano dal non troppo lontano passato.
Ecco, in quest’ottica di lettura i dati del Ministero assumono una valenza decisamente più attuale e danno maggior ragione di una pandemia che, come più volte affermato, è strettamente correlata alle condizioni socio-sanitarie della popolazione e ai suoi comportamenti, e allo stato “di salute” del sistema… di salute.
Difficile affrontare la normalità dell’assistenza sanitaria con personale vecchio e ridotto di numero. Ed ancor più portato a svolgere attività sempre più complesse con sempre meno risorse, strumentali, formative, retributive
Draghi, infermieri e castelli in rovina
In tutto ciò si colloca l’arrivo del salvatore della patria di turno, Mario Draghi, chiamato, in sostanza, a spendere bene i soldi disponibili per la ripartenza. Al di là di qualsiasi commento facile da fare su scelte strumentali di questo o quel partito, questo o quel leader, va sottolineato un dato su tutti. Pensate realmente che la scelta della contrazione dell’offerta sanitaria in questo paese, e della sua pervasiva privatizzazione, portata avanti in un trentennio possa subire una inversione di tendenza?
Solo perché arriva qualche soldo dall’Europa e c’è una brutta pandemia in corso? Parlare di illusioni autopunitive è troppo poco ed è necessario cercare di superare la fascinazione dei numeri, la frustrazione della guerra fra poveri e fare invece un ragionamento di sistema.
In primo luogo bisogna fare in modo che l’emergenza pandemica non diventi anch’essa sistema, sul piano economico, sanitario e politico, legittimando restrizioni di servizi e libertà in prospettiva decisamente indesiderabili. Quali? Il tempo a disposizione c’è per definirle e capirle meglio, specie in rapporto a qualche obiettivo da darsi al fine di superare il semplice piagnisteo, improduttivo, che da decenni risuona a vuoto nei corridoi di palazzo e chiede più infermieri, più responsabilità, più di tutto, ottenendo sempre meno di tutto.
I numeri gravi dell’attualità e dei drammi della pandemia suggeriscono, come detto, la necessità di un cambio di paradigma: la salute si difende in primo luogo nelle città con migliori servizi e meno inquinamento; sui posti di lavoro, con più garanzie e migliori salari; nelle scuole, con un’istruzione che non conduca a credere che la terra sia piatta o che per governare basti dichiararsi bravo papà e italiano doc.
Insomma, è necessario un new deal che questo paese non ha avuto mai e che, probabilmente, non sarà Mario Draghi a garantire. Altrimenti non resta che continuare a piangere fra le macerie del castello in rovina, accusando tutto e tutti, anche se stessi, come quando si dice che noi infermieri non sappiamo farci valere abbastanza (frase tanto sciocca quanto priva di significato in sé). Le crociate contro draghi di vario tipo a liberar fanciulle non interessano a nessuno, ma fare in modo che il benessere sociale e sanitario tornino di attualità e pesino nelle scelte politiche ed economiche di questo paese è un’urgenza che, anche grazie ai numeri citati, non può più essere sacrificata sul tavolo degli interessi del profitto e della poltrona.
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