Una cosa è certa. Se Mimmo Lucano ha sbagliato (ma sono in tanti a pensare che così non è) bisognerebbe capire ora quali sono le conseguenze e le ricadute dei suoi errori – stando alla sentenza. Bisognerebbe capire quante persone, Mimmo Lucano, ha condannato a morire di cancro al polmone o a vivere vedendo ridursi ogni giorno di più la propria funzionalità polmonare, attaccati ad una bombola d’ossigeno. Cosa, purtroppo, quasi consueta in era Covid, ma non doveva esserlo per i tanti che hanno respirato amianto, o l’aria mefitica di Taranto o quella di Marghera, quella della Farmoplant di Massa Carrara, di Seveso, del Polo del Petrolchimico di Siracusa o della Sacelit di Senigallia.
Io sto con Mimmo Lucano
Mimmo Lucano, già sindaco di Riace, è stato condannato a 13 anni e due mesi, il doppio di quanto aveva chiesto il Pubblico Ministero.
I reati ascritti andrebbero dall’associazione a delinquere al peculato, dalla malversazione, alla truffa, abuso d’ufficio, turbativa d’asta, falso ideologico. Se c’era pure Mario Chiesa (quello che diede inizio a Tangentopoli) a buttare qualche milioncino di lire nel cesso, si potrebbe dire che tutta la storia della Prima Repubblica, della sua corruzione, del suo malaffare, delle sue bustarelle, mafia, stragismo etc. si sono riproposti in un sol uomo: Mimmo Lucano!
Un po’ troppo in verità e, per quello che mi riguarda, invito a documentarsi, chi ne senta il bisogno, perché le informazioni su questa vicenda non mancano. Anzi, sono tante e ci riconsegnano l’immagine consueta del paese cui siamo abituati: forte con i deboli e debole con i forti. Dal canto mio non sono un giornalista giudiziario e quindi non me la sento di aggiungere ulteriore materiale a quanto detto.
Sono un infermiere, ma abituato a scrivere e con un po’ di sapere sanitario. Ed allora la vicenda di Mimmo Lucano mi suggerisce di parlare di mesotelioma pleurico. I più sanno che, già dal nome, la definizione non promette nulla di buono. Anzi. È forse uno dei più cattivi tumori maligni dell’apparato respiratorio ed è strettamente legato all’inalazione di polveri inorganiche, in particolare quelle d’amianto.
A Casale Monferrato ne sanno qualcosa, purtroppo. Lì c’era la fabbrica dell’Eternit che per anni ha “regalato” aria contaminata che ha provocato malattie, invalidità e morti. Dopo molti anni si è riuscito a fare causa all’azienda e ad andare al processo. Come sempre fra i tanti accusati ed indagati nel tempo il gruppo degli interessati si è assottigliato progressivamente e, alla fine, fra prescrizioni, salvezze a suon di avvocati strapagati, etc., ne sono rimasti pochi a rispondere delle accuse mosse.
Uno di questi è l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, condannato un paio di anni fa, in uno dei vari filoni del processo sulla vicenda, alla pena di quattro anni di reclusione e a 15 mila euro di risarcimento per la morte di due ex-lavoratori. La vicenda Eternit è abbastanza complessa per essere riassunta in poche righe, e la strutturazione giudiziaria in vari filoni del processo ne è la prova.
Lo stesso Stephan nel 2014 era stato assolto per prescrizione e, dal 2020 si trova ad affrontare un nuovo filone in cui si indaga sulla morte di 392 persone a casale Monferrato. Un anno fa il dirigente aveva dichiarato che non aveva alcuna intenzione di finire in una prigione italiana – un po’ come tutti i condannati – e che considera il belpaese uno stato fallito. Fallito? Come la Libia? Chissà se qualche prode difensore del suolo patrio, a suo tempo, ha risposto per le rime al prode dirigente, magari con la stessa veemenza con cui si è scagliato contro l’operato di Mimmo Lucano.
Una cosa è certa. Se Mimmo Lucano ha sbagliato (ma sono in tanti a pensare che così non è) bisognerebbe capire ora quali sono le conseguenze e le ricadute dei suoi errori – stando alla sentenza. Bisognerebbe capire quante persone, Mimmo Lucano, ha condannato a morire di cancro al polmone o a vivere vedendo ridursi ogni giorno di più la propria funzionalità polmonare, attaccati ad una bombola d’ossigeno.
Cosa, purtroppo, quasi consueta in era Covid, ma non doveva esserlo per i tanti che hanno respirato amianto, o l’aria mefitica di Taranto o quella di Marghera, quella della Farmoplant di Massa Carrara, di Seveso, del Polo del Petrolchimico di Siracusa o della Sacelit di Senigallia.
Quanti si sono ammalati, e sono morti, in nome del profitto e della disonestà imprenditoriale e della complicità istituzionale? Quanti hanno pagato realmente?
Molti altri esempi italiani si potrebbero fare per sottolineare l’enormità di ciò che è piombato addosso a Mimmo Lucano. La storia dell’Eternit mi è sembrata significativa perché rimanda direttamente alle molte questioni di una salute che, chi vive e lavora in questo paese (si è già detto qualcosa sulle morti sul lavoro, vero?) conosce fin troppo bene.
E le questioni di salute, ça va sans dire, ci riguardano sempre come infermieri. Anche perché non poche volte in passato, ed anche al giorno d’oggi, siamo stati messi in condizioni di lavoro, come infermieri, non propriamente sicure. E non mi riferisco certo ad un vaccino che qualcuno teme possa esplodere come una bomba ad orologeria, mentre se ne sta beato nelle sue certezze scientifiche scoperte in rete.
Queste sicuramente sono ore molto difficili per Mimmo Lucano, come quelle che hanno già vissuto i molti migranti che si sono svegliati nell’incubo della fine del modello Riace, apprezzato in tutto il mondo. Il dirigente svizzero dell’Eternit ha torto: quello italiano non è uno stato fallito. Esso fa sentire tutto il suo peso nei confronti di un suo piccolo servitore, colpevole di servire anche ideali di umanità e di solidarietà, e di aver scordato che in questa società gerarchica la libertà non è per tutti.
Mimmo Lucano è stato punito dunque, perché ha voluto condividere un pezzetto di libertà con chi libero non lo è stato mai. Per cui, bisogna continuare a dire: “Io, sto con Mimmo Lucano”
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