Tempo infame il nostro, quello della pandemia e della misoginia politica, dell’odio di classe fatto strumento di governo, dove il lavoro e il genere diventano oggetto di speculazione, denigrazione, categorizzazione, segregazione. Le donne e i lavoratori dunque quali indicatori sociali di un arretramento generale, di un immiserimento degli animi. E se questo è vero, le infermiere, come donne e lavoratrici, diventano ulteriore indicatore sociale di problemi.
La forma è diventata sostanza e il contenitore ha sempre meno contenuto
È di qualche giorno fa la notizia degli insulti classisti e sessisti fatti da un docente universitario all’indirizzo della leader del partito di destra attualmente all’opposizione. Vari gli epiteti usati, fra i quali: pesciaiola, vacca e scrofa. L’episodio è stato rimarcato in diversi modi.
Molto si è detto, specie in termini di condanna e solidarietà espresse, e come sempre il dibattito politico di questo paese si è risolto nell’adesione a questa o a quella tifoseria, con personalismi individualistici quali unico argomento di discussione. In merito alcune cose vanno necessariamente sottolineate.
In primo luogo, l’uso della parola pesciaiola in termini denigratori, toglie dignità al lavoro e ai lavoratori. Ci sono poi gli insulti sessisti, i quali entrano in campo ogni volta che, nello scontro politico viene ad essere coinvolta una donna, svelando la rozzezza maschilista ancora ben radicata in questo paese. Ulteriore elemento da prendere in considerazione poi, al fine di evitare di schierarsi a tifoseria (non certo a difesa di chi non è difendibile), è quello relativo al contesto politico e sociale di questo presente che stiamo vivendo, e che si rivela, una volta di più, decisamente povero e istintivo.
Si ragiona di pancia e ci si lascia andare alla pulsione del momento. Il dito parte deciso sul tasto del mouse per condividere ciò che ci permette di schierarci, di assumere una posizione restando però comodamente seduti davanti allo schermo del pc. Provocazioni e reazioni sono diventati gli elementi primari di un dibattito privo di argomentazioni e di analisi, dove per irretire un elettorato continuamente buggerato, basta chiedergli il voto, ad esempio, per governare come dei bravi papà o per premiare l’identità italica e materna. La forma è diventata sostanza e il contenitore è sempre più vuoto di contenuto.
Ecco, avere la consapevolezza dell’imbarbarimento del contesto attuale è qualcosa che deve impedire lo schierarsi pulsionale e deve accompagnare una presa di coscienza politica e sociale che non può più essere rimandata in quanto, più di alcune brutte parole, molti altri elementi gravi suggeriscono una emergenza in atto in un’Italia immiserita dove le donne, come tutte le fasce e le figure sociali più deboli, sono le prime a farne le spese.
Non passa giorno che non si registri una vittima di violenza e di femminicidio domestico, o una difficoltà ulteriore per tutte le “pesciaiole” di questa società, non quelle etichettate al sicuro del loro reddito parlamentare, licenziate per una crisi montante, sottopagate e vessate, segregate in smart working deliranti e ansie crescenti. E quindi anche le donne infermiere e OSS, medico e fisioterapiste e tutte le altre delle professioni di aiuto, intabarrate nei sacchi di plastica bianchi cuciti addosso che, insieme ai loro colleghi maschietti corrono per garantire un’assistenza sanitaria valida: in ospedale… come a casa.
Le donne, indicatore sociale di quanto sia iniqua questa società di maschi “potenti” e al potere. Non è un caso che, ad esempio, mentre la sua leader di partito veniva insultata come donna, un consigliere regionale di destra, nelle Marche, se ne usciva a parlare di famiglia “naturale” e di ruoli di genere dove il papà deve dare le regole e la mamma deve accudire. Le Marche, l’Italia in una regione, o meglio il ventennio nostalgico e fallimentare come linee d’indirizzo in un governo che, in linea con il contesto attuale, usa provocazioni al posto di argomentazioni per ridefinire diritti e ripartire risorse.
In tal senso ci sarebbe molto da ridire, ma senza perdersi in facili polemiche basta restare ancorati all’ambito sanitario di una regione dove l’indice di contagio pone la provincia di Ancona al quinto posto nel paese per nuovi casi (297 per 100.000), colorandola così di un arancione necessario.
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