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Assistenza Infermieristica

Il territorio, dalla presa in carico alla presa in cura

di Marco Alaimo

Monitorare gli esiti e i nursing sensitive outcome, anche alla luce dei cambiamenti all’interno della popolazione assistita, risulta una priorità quando si parla di assistenza, tanto più in ambito di assistenza territoriale. Il concetto stesso di continuità assistenziale, infatti, prevede la necessità di un monitoraggio attento e preciso sugli outcome, che deve essere ben programmato e standardizzato.

Il primo posto di cura e riabilitazione dell'assistito: Il territorio

L'assistenza sul territorio promuove la centralità del paziente nel percorso di cura e riabilitazione

Quando si parla di assistenza territoriale è necessario elaborare riflessioni ad hoc vista l’importanza del sistema di continuità ospedale-territorio e gli enormi investimenti sociali, organizzativi e di risorse che negli ultimi anni si stanno sviluppando in questa area.

In realtà il territorio come luogo di presa in carico dovrebbe essere sempre stato al centro delle attenzioni di chi governa la Sanità, in quanto esso rappresenta il posto ideale di cura e riabilitazione.

Nel concetto di continuità assistenziale, definito come “il processo mediante il quale pazienti e medici cooperano attivamente nella gestione del percorso assistenziale”, esiste la necessità di un monitoraggio attento e preciso sugli outcome, che deve essere ben programmato e standardizzato.

Il territorio - la propria abitazione, la rete sociale in cui la persona vive - è il primo “posto” dove il malato deve essere curato e riabilitato.

L’importanza delle cure domiciliari e della rete territoriale è sempre più evidenziata anche dai sistemi di governo della salute e le organizzazioni stanno investendo in progetti specifici volti alla riqualificazione dei percorsi territoriali rimettendo al centro la complessità dei servizi ad esso collegato.

Nel mondo assistenziale, a livello nazionale ed internazionale, alcune sperimentazioni hanno portato alla nascita di modelli organizzativi e gestionali anche con professionisti dedicati alla gestione e al “flusso” delle attività nella presa in carico dei pazienti come, ad esempio, il Chronic Care Model, le case della salute, il Case Manager o l’Infermiere di Famiglia.

Tale visione non può prescindere da una valutazione della qualità e del rapporto costo/efficienza del servizio. Si tratta pertanto di una relazione assistenziale continuativa, incentrata sui bisogni individuali del paziente, sulla comunicazione e gestione delle patologie nel contesto più ampio della vita del paziente, una continuità assistenziale ben funzionante è associata con la riduzione del rischio di ospedalizzazione nei pazienti anziani (Counsell et al., 2007; Menec et al., 2006).

Gli outcome infermieristici possono rappresentare un valido strumento di valutazione e organizzazione del sistema nella continuità ospedale-territorio.

Il significato di continuità assistenziale

Dare continuità significa promuovere la centralità del paziente nel percorso assistenziale, ma non solo ponendo il paziente al centro di un sistema di servizi. Già Shortell nel 1976 definiva la continuity of care come la misura in cui i servizi sanitari sono recepiti come parte di una successione coordinata e ininterrotta di eventi coerenti con i bisogni dei pazienti; più recentemente l’accento è stato posto sull’integrazione verticale dei percorsi assistenziali, dall’ambito specialistico delle strutture ospedaliere al contesto delle cure primarie.

La percezione di continuità assistenziale, ovvero della progressione dell’assistenza in modo continuo e coordinato, è un elemento fondamentale per la soddisfazione dei pazienti e, soprattutto per i pazienti cronici, risulta influenzata maggiormente dal modello assistenziale più che dal tipo di patologia.

Costituisce pertanto una priorità entrare nel merito della rete dei servizi che si è costituita, verificarne l’efficacia e l’appropriatezza e, quindi, effettuare un monitoraggio degli esiti e dei nursing sensitive outcome, anche alla luce dei cambiamenti all’interno della stessa popolazione assistita.

Non si tratta tanto di misurare il grado di integrazione dei servizi, quanto di comprendere in quale misura l’articolazione di un percorso assistenziale influisce sulla qualità di vita del paziente inserito all’interno dello stesso.

Esperienze europee precedenti, ad esempio, hanno valutato i programmi di gestione autonoma della patologia da parte di pazienti cronici (Elzen et al., 2007), senza però ottenere risultati conclusivi.

Riflettendo sugli outcome e i risultati assistenziali a livello territoriale, la rete dell’assistenza negli ultimi anni ha visto una modifica sostanziale di approccio in modo da garantire coerenza con i bisogni espressi nel contesto più ampio regionale e nazionale a garanzia di un’erogazione uniforme dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), valorizzando le migliori pratiche sviluppate localmente, favorendo la correlazione tra responsabilità, risorse disponibili ed azioni di miglioramento dell’appropriatezza.

È quindi impensabile non considerare come essenziale il grande apporto che il mondo dell’assistenza apporta anche a livello territoriale; ancora oggi però non si è riusciti a rendere visibile con degli outcome specifici i prodotti di salute erogati.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) la salute non è mera assenza di malattia, ma stato di benessere psicofisico complessivo. In questa prospettiva le cure primarie possono essere luogo e occasione per lo sviluppo di tale obiettivo.

Per quanto riguarda le cure primarie anche in Toscana, come in altre realtà nazionali, è previsto l’avvio delle medicine di gruppo integrate attive 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

Esse si configurano come nodi organizzativi della filiera dell’assistenza territoriale, afferenti al distretto in cui lavora un team multiprofessionale (medici di famiglia, infermieri, assistenti sociali, personale amministrativo) in grado di essere responsabile verso la salute di tutti i componenti della comunità e la presa in carico dei bisogni socio-sanitari.

Essi realizzano programmi di prevenzione ed erogano prestazioni a pazienti in fase acuta e/o cronica. In particolare nella gestione di cronicità e promozione di salute è previsto che l’infermiere ampli il proprio ruolo diventando garante dei percorsi di cura.

Anche sul piano delle cure domiciliari si tende ad andare verso un servizio che sia efficiente 24 h su 24, in cui l’assistito trovi un punto di riferimento stabile, anche grazie ai servizi domiciliari e alle figure emergenti come l’infermiere di famiglia, le case della salute, etc.

Essi sono in grado di intercettare i bisogni di cure e/o di assistenza, garantendo la continuità assistenziale, interfacciandosi con l’ospedale, le strutture di ricovero intermedie (hospice, ospedale di comunità, unità riabilitativa territoriale, etc.) o le strutture residenziali, con i medici/pediatri di famiglia, con i medici di continuità assistenziale, con le cure domiciliari e altro.

La criticità nella misurazione degli esiti assistenziali

Alcune criticità si riferiscono alla capacità di misurare l’esito assistenziale, in particolare:

  • la necessità di lavorare non solo sui bisogni, ma anche sulla possibilità di preservare le capacità residue degli anziani;
  • la difficoltà nel valutare in modo completo i bisogni del paziente per determinare chi e con quali competenze professionali possa attivare un processo assistenziale appropriato. Ciò deriva in parte dalla scarsa capacità di estendere la metodologia di valutazione multidimensionale (VMD) a tutti i setting assistenziali, sul modello della Unità di valutazione geriatrica (UVG);
  • la scarsa capacità, all’interno delle strutture residenziali e semiresidenziali, di monitorare e misurare gli esiti assistenziali come outcome, predefiniti nel piano assistenziale integrato (PAI);
  • la difficoltà di costituire una banca dati che raccolga in modo sistematico e omogeneo le informazioni che possano permettere un confronto tra diverse realtà;
  • la mancanza di una valutazione continua e appropriata del case mix all’interno delle strutture residenziali, che non permette di cogliere l’evoluzione dei bisogni e, di conseguenza, l’adeguatezza dell’offerta dei servizi.

In particolare è noto che la messa a punto di strumenti di valutazione e di monitoraggio degli outcome permette di:

  • stimare il raggiungimento degli obiettivi del progetto individuale;
  • programmare gli interventi;
  • documentarne l’attuazione;
  • attuare sistemi di monitoraggio che evidenzino e intercettino eventi che, se raccolti, possono rappresentare importanti indicatori di esito, con capacità potenziali di prevenire situazioni di rischio clinico.
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