Rafah, valico di frontiera con l'Egitto, è l'ultima area della Striscia non ancora rasa al suolo. Questa millenaria città palestinese, trenta chilometri a sud di Gaza, è l'unico punto di attraversamento verso il mondo. La conoscevano sin dai tempi degli Assiri e degli Egizi, vi son passati Greci e Romani, vi abitavano arabi ed ebrei. Oggi è sbocco ed è blocco. È via di uscita per uomini e donne, è via di entrata per il pane e l'acqua. È rifugio, l'ultimo. Ed è l'ultima roccaforte di Hamas. È punto circoscritto divisivo, è focus globale che decide le sorti delle genti, del Medio Oriente, del mondo. È luogo di stallo, per il quale si cerca un accordo, che tiene sospeso anche se tutto forse è già deciso, da una parte e dall'altra.
Oms: offensiva a Rafah indebolirebbe un sistema sanitario già in crisi
Rafah, valico di confine tra Gaza ed Egitto
Laddove vi abitavano meno di duecentomila persone, da settimane vi sono ammassate oltre un milione che aspettano una fragile tregua sotto tende a cielo aperto. Non hanno un altro posto dove andare, non c'è una casa a cui tornare da qualche parte più su a nord. Non possono spostarsi altrove, anche se l'esercito israeliano, lanciando volantini, ha invitato la popolazione a lasciare la zona.
Ordine di esodo e controesodo, fuggire avanti, fuggire indietro per liberare il campo di combattimento dalla presenza dei civili, a seconda di dove devono cadere le bombe.
33.800 non ce l'hanno fatta a spostarsi in tempo in sette mesi di guerra, lo riferisce il Ministero della Sanità di Hamas. Ma indietreggiare porta alla spiaggia e al mare, dove non cadono le bombe ma non arriva niente altro per sopravvivere. Indietreggiare non riporta indietro la vita di prima.
Dopo 216 giorni di conflitto, le ore sembrano contate per lanciare l'attacco finale per vendicare non solo le atrocità del 7 ottobre e gli ostaggi, che pochi sono rimasti forse vivi, ma anche settant’anni di convivenza forzata in una terra contesa, tra rivendicazioni storiche e religiose. Gli osservatori internazionali ritengono che un'operazione militare su vasta scala qui porterebbe ad un bagno di sangue. Sinora se ne sono andate soltanto 80 mila persone.
L'incursione di Rafah aumenterebbe sostanzialmente la mortalità e la morbilità ed indebolirebbe ulteriormente un sistema sanitario già in crisi . Così l'Organizzazione Mondiale della sanità esprimendo una forte preoccupazione sull'evolversi del conflitto e sulla drammatica situazione umanitaria in tutta la Striscia.
Secondo l'Oms una nuova ondata di sfollamenti aggraverebbe il sovraffollamento, limitando ulteriormente l'accesso al cibo, all'acqua, ai servizi sanitari ed igienico-sanitari, portando ad un aumento delle epidemie, ad un peggioramento della fame e ad ulteriori perdite di vite umane.
Dopo i ripetuti attacchi e a causa della carenza di forniture mediche, carburante e personale sanitario, risulta che soltanto il 33% dei 36 ospedali di Gaza e il 30% dei centri sanitari di base sono in qualche modo funzionanti. Anche se si sta cercando di intervenire urgentemente per ripristinare i servizi sanitari, l'Oms ritiene che il sistema sanitario palestinese distrutto non sarebbe comunque in grado di far fronte ad un'ondata di vittime e decessi che un'incursione a Rafah causerebbe.
I tre ospedali attualmente parzialmente operativi a Rafah diventeranno ancor più insicuri e rapidamente non funzionali quando pazienti, personale, ambulanze ed operatori umanitari vi affluiranno in massa per l'intensificarsi delle ostilità nelle loro vicinanze. L'Oms sottolinea che anche l'ospedale europeo di Gaza nella zona est di Khan Younis, che attualmente funziona come ospedale di riferimento di terzo livello per pazienti critici, diventerà vulnerabile perché potrebbe restare isolato ed irraggiungibile durante l'incursione.
Nel frattempo, l'Oms ha completato il restauro il Nasser Medical Complex , un complesso sanitario parzialmente funzionante - costituito da un pronto soccorso, nove sale operatorie, l'unità di terapia intensiva, il reparto di maternità, l'unità di terapia intensiva neonatale – dove vi lavora personale palestinese supportato da squadre mediche di emergenza.
Per alleviare il carico sugli ospedali, l'Oms sta inoltre istituendo altri centri sanitari primari e punti medici nella zona centrale e in quella a nord di Gaza affinché siano pronti per rilevare e trattare le malattie trasmissibili e non trasmissibili e gestire le ferite.
A Rafah è in costruzione un nuovo ospedale da campo e si stanno allestendo dei magazzini per contenere tutte le forniture mediche, così che siano raggiungibili durante l'incursione garantendo un rapido rifornimento quando necessario. Nel Nord l'Oms sta intensificando gli sforzi per espandere i servizi negli ospedali, anche pediatrici, sostenendo altresì il trasferimento di pazienti gravemente malati in altri ospedali per ricevere le cure di cui hanno bisogno per sopravvivere.
Pur continuando a chiedere un immediato “cessate il fuoco”, anche l'Oms si aspetta l'incursione. Chiediamo che venga rispettata la sacralità dell'assistenza sanitaria. Le parti in conflitto hanno le coordinate delle strutture sanitarie: è imperativo che siano attivamente protette e rimangano accessibili ai pazienti, agli operatori sanitari e a quelli umanitari. La loro sicurezza deve essere rispettata , conclude l'Oms nella dichiarazione dello scorso 3 maggio. Coloro che lottano per salvare vite umane non dovrebbero essere costretti a mettere in pericolo le proprie .
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