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Nursing Up: sempre più infermieri lasciano la professione

di Redazione Roma

Prendendo spunto da un’autorevole analisi sui disagi del personale sanitario condotta dagli esperti dell’accademia Sahlgrenska, facoltà di medicina dell’università di Göteborg, il sindacato fa il punto sullo stato dell’arte in Italia. Negli ultimi mesi, centinaia di infermieri nel nostro Paese hanno deciso di abbandonare la professione con dimissioni irrevocabili. Per dettagliare, il Nursing Up riprende alcuni numeri: In Europa il 34,4% dei professionisti prevede addirittura di lasciare il posto di lavoro ad un anno dall’assunzione. Il 43,8%, nella migliore delle ipotesi, invia una richiesta di trasferimento.

Infermieri infelici e poco gratificati, sempre più abbandoni

Lo studio parla chiaro e rivela che il personale sanitario, in molti paesi europei vive una situazione di disagio psicologico di non poco conto afferma Antonio De Palma, presidente nazionale Nursing Up

L’Italia è un paese per infermieri? Decisamente no, e il presidente nazionale del Nursing Up, Antonio De Palma, tiene a precisare che sono sempre di più i professionisti sanitari che decidono di abbandonare il proprio lavoro. E le ragioni sono molteplici: dalla scarsa valorizzazione economica alle condizioni di disagio psicologico.

Il sindacato ricorda che, a livello europeo, il 34,4% dei professionisti prevede di lasciare il posto di lavoro ad un anno dall’assunzione e il 43,8%, nella migliore delle ipotesi, invia una richiesta di trasferimento, chiedendo di lavorare in reparti dove lo stress traumatico – al pari dello stress post traumatico – possa avere un impatto meno invasivo sulla propria vita personale. Un trend negativo, a livello europeo, destinato a peggiorare.

Non va meglio in Italia (tutt’altro), dove si registra una vera e propria fuga di sanitari dai Pronto soccorso, sempre più sguarniti. E ancora, si registra un calo sul numero di domande di ammissione al test di ingresso alle professioni sanitarie, mentre sempre per questo che i bandi concorsuali vanno deserti.

Prima però di tornare a focalizzarsi sulla questione nazionale, De Palma rimanda ai già citati studi che emergono da un’analisi degli esperti dell’accademia Sahlgrenska, presso l’università di Göteborg. Fa indubbiamente sensazione – spiega – che report così dettagliati, sulla condizione psicologica degli infermieri, e non solo economica, arrivino da un paese dove la qualità della vita è altissima e dove un giovane infermiere neoassunto guadagna 2.100 euro al mese.

E ancora: Lo studio parla chiaro e rivela che il personale sanitario, in molti paesi europei – ma non ci pare certo il caso della Svezia – vive una situazione di disagio psicologico di non poco conto. Un aspetto concreto, quello dell’insoddisfazione professionale, come emerge anche dalle inchieste condotte dal sindacato, che parla di fenomeno visibile più che mai nella realtà italiana.

Sfociando, appunto, in fughe all’estero, alla luce di stipendi ben più gratificanti e prospettive di carriera ben diverse – basti pensare agli infermieri in Norvegia –, e ancora richieste di trasferimenti, fughe dai Pronto soccorso dove spesso un solo infermiere, all’interno delle aree triage, si ritrova a occuparsi anche di dieci pazienti.

E, nella migliore delle ipotesi, chi non abbandona per sempre la professione, chiede di lavorare nella sanità privata, o decide di aprire partita iva, per evitare di sottostare a regole massacranti, che spesso compromettono il proprio equilibrio personale, i propri rapporti con la famiglia.

E ancora, De Palma puntualizza come non può passare inosservato neppure il fatto che l’Italia è tra i paesi europei con il più alto fenomeno di violenze, fisiche e psicologiche, subite dal personale sanitario quasi ogni giorno. Da nord a sud è escalation di aggressioni e minacce ai sanitari. In questo panorama, tuttavia, ci sono altri aspetti che vanno presi in esame. Meglio ancora: prescindendo dalle oggettive carenze numeriche e dalle lacune economiche, è opportuno valutare anche quanto e come chi lavora in sanità si senta apprezzato e sia motivato a proseguire.

A questo proposito, lo studio svedese cita (dando via a una riflessione importante): La riconoscenza della valenza del lavoro degli infermieri sarebbe la chiave per far permanere l’infermiere nella sua struttura, perché viene riconosciuto come fondamentale proprio da chi organizza il suo lavoro. Il tutto, oltre a rivelarsi di maggior soddisfazione per l’operatore, diventa anche un passaggio per aumentare l’efficacia dell’intervento sanitario e quindi può avere impatto sul paziente.

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