Si chiamava Soumya Santosh, aveva trent’anni ed è morta durante un attacco missilistico ordinato da Hamas. Lavorava in una struttura sanitaria per anziani. Soumya era indiana, della regione del Kerala. Un’immigrata quindi che faceva l’infermiera, lontano dal paese che l’aveva formata e che quindi, dopo aver investito risorse su di lei, rinunciava alla sua professionalità (brain waste), al suo contributo in nome di un’economia di mercato che espelle esseri umani dai loro affetti in cerca di un futuro migliore. In nome di una salute per la quale l’India, come tani altri paesi in vis di sviluppo, contribuisce nel formare professionisti e nel produrre farmaci, ma di cui non è in grado di godere i frutti, perché troppo poveri.
Una pace desiderata da sempre, negata da sempre
Come nel caso dei milioni dei vaccini prodotti dall’India, ma comprati e riservati a persone che vivono in paesi più ricchi. Per gli indiani, oltre le pire della disperazione da Covid-19, c’è solo l’oblio dei media. Mentre per la famiglia di Soumya resta un lutto infinito e la perdita di una fonte importante di reddito.
A Gaza nei giorni scorsi è stato distrutto dai raid aerei l’unico laboratorio Covid esistente. Shaima Ahmed Qwaider, 23 anni, infermiera presso il al-Shifa Hospital in Gaza City, ha descritto in un’intervista per Aljazeera, l’orrore delle mutilazioni, delle ferite e dei morti dei tantissimi palestinesi ammassati nell’ospedale che da giorni ha superato il limite di accoglienza. Un’altra infermiera, Amal Badawi, parla di condizioni di lavoro infermali, in strutture sanitarie sovraffollate dove manca tutto.
Il bollettino della guerra in corso parla, dopo dieci giorni di terrorismo delle armi e dei governi, di 230 palestinesi uccisi, di cui 65 bambini, 39 donne, 17 anziani e 1710 feriti. Gli israeliani morti sono 12. Verrebbe voglia di scrivere i numeri delle vittime senza mettere la nazionalità, ma si peccherebbe di una falsa equidistanza che in questi giorni va molto di modo per coprire le prese di posizione che premiano la forza dei carnefici e mettono sul banco degli accusati le vittime.
Quanto sta accadendo in questi giorni in MO è tragico, orribile, drammatico come tutto ciò che ogni guerra porta con sé, ogni rappresaglia militare scatena, ogni prova di forza portata avanti da qualsiasi establishment politico ed economico. La tentazione di descrivere le ragioni, fare il quadro della situazione, mostrare prospettive e rivendicare soluzioni, è forte, ma lo hanno già fatto in tanti. Molti in maniera unilaterale, tanti in modo inefficace, tutti in termini strumentali. Se si vogliono capire le cause di quanto sta accadendo, certo è che non ci si può fermare all’oggi, al dettaglio, alla notizia urlata. L’effetto sarebbe quello di sempre: creare le condizioni per il nascere di tifoserie, portatrici di supposti (e falsi) valori, prove, ragioni, etc. mentre a farne le spese sono sempre gli ultimi, a Gaza in particolare, e in Israele in generale.
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