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Editoriale

I professionisti della salute vanno pagati e preservati

di Monica Vaccaretti

Al Quinto Forum Globale sulle Risorse Umane per la Salute, svoltosi a Ginevra lo scorso aprile durante la Settimana Mondiale degli operatori sanitari, è stato ribadito quanto sia fondamentale proteggere, salvaguardare ed investire nella forza lavoro sanitaria ed assistenziale, osservando la risoluzione WHA74.14 adottata nel 2021 dalla 74° Assemblea mondiale della sanità. Esaminando le varie soluzioni politiche attuate e gli investimenti realizzati sinora per raggiungere tale obiettivo, è emerso che è necessario seguire maggiormente le raccomandazioni del “Global Health and Care Worker Compact” dell'Oms. Si tratta di un documento che stabilisce azioni politiche e gestionali strutturate sulla prevenzione, il supporto, l'inclusività e la tutela dei diritti dei lavoratori della salute. Le linee guida elaborate due anni fa promuovono e favoriscono condizioni di lavoro sicure, salubri e dignitose per gli operatori sanitari, libere dalla discriminazione razziale e di genere.

Perché i Governi non investono sulla forza lavoro sanitaria?

È fondamentale proteggere, salvaguardare ed investire nella forza lavoro sanitaria ed assistenziale.

È stato pertanto lanciato un appello globale all'azione perché gli operatori sanitari devono essere trovati, formati e mantenuti in benessere in tutto il mondo. Ne mancano milioni. E quelli che ci sono non possono esserci per tutti, rispondere sempre alla domanda e soddisfare adeguatamente i bisogni di salute.

Per generazioni il mondo si è aspettato che il personale sanitario prestasse assistenza alle persone, alle loro famiglie e ad intere comunità. Adesso che le condizioni sono mutate ed il carico di lavoro è insostenibile, sono gli operatori sanitari che si aspettano che il mondo faccia qualcosa per la loro salute, soprattutto dopo l'impatto devastante del Covid-19 sulla categoria.

Secondo gli esperti del Forum, proteggere la salute psicofisica dei professionisti della salute è un dovere di cura da parte dei sistemi sanitari che sono i loro datori di lavoro.

Nell'articolo recentemente pubblicato su Lancet “Prioritising the health and care workforce shorthage: protect, invest, together” (“Dare priorità alla carenza di forza lavoro sanitaria e assistenziale: proteggere, investire, insieme”), il Direttore Generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, Ghebreyesus, e sei ministri della salute e delle finanze di Paesi a basso reddito e in via di sviluppo (Ghana, Egitto, Romania, Papua Nuova Guinea, Brasile, Bhutan) sostengono che è tempo che governi ed investitori diano la priorità agli investimenti della forza lavoro sanitaria e assistenziale come fondamento della salute e prosperità future.

Possiamo e dobbiamo. Urgentemente. La situazione sta peggiorando. Secondo l'ultimo rapporto sul reclutamento internazionale di personale sanitario (Oms, 2023) 55 paesi hanno una carenza tale di personale da essere inseriti in una lista rossa, di massima vulnerabilità. Le carenze, anche se minori, riguardano comunque ogni parte del mondo e rendono diffusamente fragili tutte le organizzazioni sanitarie.

Partendo dall'evidenza che senza la forza lavoro sanitaria e assistenziale non ci può essere salute, né sistemi sanitari ed adeguate risposte alle emergenze, gli autori sostengono che non si può continuare con sottoinvestimenti cronici, squilibri tra domanda ed offerta e cattive condizioni di lavoro. Le carenze di personale sono gravi e ormai di lunga durata.

È fortemente preoccupante che, di fronte ad una pericolosa carenza di lavoratori nell'assistenza sanitaria ed assistenziale, la risposta politica a questo pericolo manchi di urgenza e adeguatezza. Il cambiamento climatico e demografico incide inoltre notevolmente sull'aumento del carico delle malattie non trasmissibili e sulle emergenze di sanità pubblica. Si stanno instaurando condizioni ambientali sfavorevoli alla salute che vanno ad aggiungersi alle problematiche legate all'invecchiamento della popolazione globale. La situazione è esplosiva.

Anche la forza lavoro sanitaria invecchia

Sono milioni coloro che, oggi tra i 45 e i 55 anni, andranno in pensione tra circa dieci anni. Rappresentano i lavoratori più esperti, per età ed esperienza. Le organizzazioni fanno affidamento su questa fascia di lavoratori. La fine del loro rapporto di lavoro andrà ad aggravare la carenza di organico.

Pur stimando che la forza lavoro sanitaria e assistenziale crescerà fino a 84 milioni entro il 2030, senza tuttavia colmare il gap, l'Oms ritiene che ne mancheranno circa 10 milioni nei paesi a basso reddito e in via di sviluppo. Inoltre, sono circa 115 mila gli operatori sanitari morti di Covid-19 in tutto il mondo, decessi che fanno ancora male.

Anche se il vuoto lasciato da questi professionisti sembra piccolo in confronto ai milioni che mancano, con loro è stato perduto un inestimabile valore. A causa della pandemia, oltre ad altre forme di logoramento legato alla professione sanitaria, risulta che 1 operatore sanitario su 3 oggi soffre di ansia e depressione. La metà ha sperimentato burnout.

Secondo un rapporto pubblicato dall'International Council of Nurses (ICN) che rappresenta ben 28 milioni di infermieri, emerge che le condizioni di lavoro sono generalmente pessime, non sicure. Inoltre, un numero catastrofico di personale, oltre il 20%, intende abbandonare la professione. Chi rimane è oberato di lavoro e sottopagato. Così aumentano le assenze dal lavoro, si organizzano scioperi.

Secondo gli autori, nell'attesa di reclutare nuovo personale è sempre un dovere proteggere la forza lavoro esistente e ridurre ogni forma di attrito. Per attrarre e trattenere gli operatori sanitari e assistenziali dobbiamo fornire condizioni di lavoro dignitose, una remunerazione equa e salvaguardare i diritti dei lavoratori. Occorre altresì affrontare le disuguaglianze di genere, anche eliminando il divario nelle retribuzioni, con politiche sensibili al genere.

Anche se si riconosce che non è facile – di fronte a paesi in debito e ai loro vincoli fiscali e all'attuale scenario di crisi internazionale e al contesto macroeconomico – bisogna trovare comunque il modo di dare priorità agli investimenti sulla forza lavoro per affrontare la carenza del personale sanitario. Gli operatori sanitari e assistenziali dovrebbero essere classificati come un investimento di capitale umano che migliora la salute della popolazione, accelera il progresso socioeconomico e contribuisce all'equità di genere e ai diritti umani.

Investimenti di capitale autonomi, occasionali, frammentari e a breve termine hanno uno scarso effetto sulla carenza e non risolvono niente. Serve pertanto una nuova formula per investire in modo strategico nell'istruzione, nella formazione permanente, nell'occupazione e nel mantenimento degli operatori.

Secondo gli autori sono necessari finanziamenti a lungo termine, maggiormente intersettoriali, più intelligenti e sostenuti da fondi nazionali, anche dal settore privato come banche di sviluppo e fondazioni filantropiche.

Dovrebbero essere incentivati co-investitori a sostegno di un piano nazionale. Servirebbe inoltre gestire meglio la migrazione sanitaria internazionale degli operatori sanitari, secondo il principio della solidarietà globale e nel rispetto del codice di condotta sul reclutamento internazionale di personale sanitario.

Si dovrebbe collaborare a livello regionale delle aree del mondo per riunire e sfruttare le risorse con regolamentazioni, investimenti ed azioni collettive lavorando insieme nei settori della salute, della finanza, dello sviluppo economico, dell'istruzione e dell'occupazione.

Secondo la Commissione ad alto livello per l'occupazione sanitaria e la crescita economica, istituita nel 2016, sarebbe possibile guidare la creazione di almeno 40 milioni di nuovi posti di lavoro nel settore sanitario e nel settore sociale riducendo entro il 2030 il previsto deficit di 18 milioni di operatori sanitari, principalmente nei paesi a reddito medio-basso.

Per riuscirci però occorre richiamare l'attenzione internazionale sul fatto che investire nella forza lavoro sanitaria, a livello locale e globale, comporta vantaggi sociali ed economici. Ma, come per il clima, occorre agire subito.

Reclutare personale sanitario dai paesi della lista rossa - come fa abitualmente il Regno Unito e come ha proposto recentemente il Ministro della Salute italiano proponendo di reclutare infermieri indiani – non è la soluzione. Così, inoltre, si aumentano le disuguaglianze, si rendono i Paesi vulnerabili ancora più fragili.

Servono politiche per far entrare nel sistema sanitario, far lavorare bene e far rimanere le persone. Invece i governi continuano ad ignorare le raccomandazioni dell'Oms e dell'International Council of Nurses e i suggerimenti di Federazioni ed Ordini delle Professioni Sanitarie.

Fanno ancora leva sulla resilienza individuale dell'operatore sanitario. Poiché hanno dato sinora, forse ritengono che naturalmente continueranno a dare. Reclutare altrove è soltanto una soluzione rapida alle proprie carenze. È una misura di emergenza quando ormai la situazione è insostenibile.

Dobbiamo aggiustare il sistema

Per arrestare l'emorragia di personale, sono necessari interventi costosi ma certamente costa di più il turnover del personale e il rischio di non poter più garantire un SSN di qualità. Rischia la salute della popolazione.

I costi sociali di cure mancate o scadenti sarebbero spaventosi. Investire è l'unica azione da compiere ma deve essere convinta, decisa. Ci vuole coraggio per fare scelte importanti. Secondo il rapporto Oms “Delivered by women, led by men” già nel 2019 si ribadiva che aggiungere semplicemente posti di lavoro nelle condizioni attuali senza affrontare ciò che causa l'abbandono del personale, ossia condizioni di lavoro inadeguate, è uno spreco di talento. Dobbiamo aggiustare il sistema.

Che le organizzazioni sanitarie non facciano niente per trattenere il personale quando vuole licenziarsi, che non offra soluzioni per prevenire il burnout e che non promuova la salute dei suoi lavoratori, è un paradosso senza senso. Con il loro lavoro pericoloso e cruciale, gli operatori sanitari consentono alla società di funzionare. Perché allora i governi non si prendono la pena di investire su di loro?

Il problema della carenza di forza lavoro non si risolve certamente modificando al ribasso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, riducendo la portata dell'intervento. Non si risolve assegnando ancor meno denari alla salute e spendendone ancora meno. Su 15.6 miliardi destinati alla sanità, soltanto lo 0,7 % è stato già utilizzato.

Il PNRR era forse un progetto troppo ambizioso e con poca fattibilità o siamo di fronte ancora una volta ad una cattiva gestione degli affari statali? Il Governo sta pensando di tagliare ad esempio sulle Case e gli Ospedali di Comunità, che sono il cuore della riforma sanitaria territoriale, rendendosi conto che 1400 strutture non saranno mai pronte in tempo entro il 2026. Il progetto pare fermo alle gare di appalto. In ogni caso sarebbero rimaste vuote se non c'è la forza lavoro da destinarvi per renderle concrete ed operative.

Secondo l'espressione di Karl Marx, la forza lavoro indica le capacità fisiche e mentali utilizzate dai lavoratori all'interno del processo produttivo. Secondo questa concezione gli operatori sanitari non vendono direttamente il proprio lavoro, ma le loro capacità intellettive che mettono temporaneamente a disposizione del sistema.

Il valore della forza lavoro, intesa come l'insieme delle persone occupate e occupabili, è determinato dalla quantità di lavoro necessaria per la sua conservazione o riproduzione. Il suo utilizzo trova un limite soltanto nelle energie vitali e nella forza fisica del singolo lavoratore.

Secondo il pensiero economico, anche gli operatori sanitari – che, come tutti i lavoratori, hanno la facoltà del lavoro vivo - sono quindi una merce speciale ricercata dal sistema, senza la quale il prodotto salute non sarebbe realizzabile e commerciabile. Il sistema sanitario per riprendersi conta ancora sulla resilienza dei suoi operatori.

Il PNRR era sulla carta un'altra cosa. Chiedere un surplus agli occupati nel settore non è più lavoro.

Infermiere

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