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Infermiera

L’epidemia oncologica dentro alla pandemia

di Monica Vaccaretti

C'è stato un tempo, non molto tempo fa, che ero un'infermiera del Quinto Piano. All'ambulatorio Sezione Cure dell'Oncologia Medica ci ho passato otto anni della mia vita, non solo professionale. Perché quando si è infermiera tra i tumori e le persone si lascia in quel reparto e nei cuori un pezzetto della propria vita. Perché è così intenso il rapporto umano che lega le persone che hanno bisogno di cure oncologiche al personale sanitario che non lo si dimentica e, quel che capita stranamente, è che non sei dimenticata, anche quando le scelte ti portano altrove.

Tutto il resto che non è Covid esiste ancora

Ho allestito sotto cappa e somministrato presso le poltrone blu talmente tante flebo di chemioterapici che se chiudo gli occhi mi sembra ancora di essere lì, con addosso gli stessi DPI che uso oggi per il Covid e i flaconi e le siringhe luerlock in mano.

Ricordo ancora i nomi dei farmaci e il loro colore una volta diluiti. Il rosso dell'epirubicina. Il giallo paglierino del Docetaxel. La trasparenza del Cisplatino. L'oleosità del paclitaxel. Soltanto il blu del mitoxantrone mi metteva in crisi, il colore dell'inchiostro è fatto per scrivere non per entrare nelle vene, pensavo. Mi rendevo conto allora che erano veleni, anche se al giusto dosaggio terapeutico, quelli che preparavo con sicurezza calcolando la dose in ml/mg. Per scacciare il pensiero, immaginavo di lasciare incise parole belle sulle vene, mentre l'inchiostro fluiva spinto dalla pompa infusionale.

Ricordo ancora i dosaggi. Le etichette. Certi nomi e i cognomi. I volti. I fogli cura. Il prendersi cura. La bellezza delle persone e la bruttezza della malattia.

Da quando è scoppiata la pandemia la testa è tornata poco a quegli anni. Mi soffermo invece ai tempi ormai lontani del Pronto Soccorso, i più belli, come fanno i vecchi con i ricordi di gioventù. Forse in questi ultimi diciannove mesi sono invecchiata, tengo capelli bianchi dove prima non c'erano. O forse è soltanto l'emergenza di oggi a farmi ricordare l'adrenalina di ieri. Mi ritrovo a dimenticare, senza accorgermene, che tutto il resto che non è Covid esiste ancora.

E mi rendo conto che, come infermiera, ho focalizzato tutte le mie energie ed attenzioni su un unico agente patogeno. La pandemia mi ha talmente preso che ho qualche volta la sensazione di non aver fatto altro, come professionista, prima di quel febbraio 2020.

E mi ritrovo improvvisamente ad aver voglia di sangue, ferite chirurgiche e suture. Di provette e prelievi. Di biopsie prostatiche e di uroflussometrie. Di cateteri venosi centrali e di aghi di Huber, Di PICC e di Groshong. Di elettrocardiogrammi e di emotrasfusioni. Ho nostalgia persino delle paracentesi e delle toracentesi. Ho una paura irrazionale di dimenticare tutto e di perdere le mie competenze. Di perdere la mano e la clinica, stando troppo distante dall'ospedale. Di essere assorbita dentro al Covid come nel gioco horror di Jumanji.

Ieri sera un'amica del Quinto Piano mi ha scritto. Mi ha riportata al qui ed ora, tirandomi fuori dal Covid-Jumanji. Mi ha salvata. Immagino quanto possano essere stati difficili tutti questi mesi e quelli che verranno non saranno leggeri. Chi sta fuori non si rende conto, come non si rende conto che c'è anche l'epidemia di chi muore perché non ha potuto accedere alle cure. Ho perso così un'amica per tumore. Di appuntamento in appuntamento. Spostati o cancellati. Mi piange il cuore. Sento quello che vuole dirmi. Mi arriva dentro, come l'inchiostro blu del Metoxantrone.

Rallentamento degli screening oncologici. Ritardi diagnostici. Interventi rimandati. Peggioramento dell'aderenza ai trattamenti. È questa la drammatica fotografia dei danni indiretti lasciati dalla pandemia sulla salute che emerge nel biennio 2020-2021. Rispetto al 2019 in Italia sono stati trattati 19.000 malati oncologici in meno. Gli screening sono stati considerati una priorità bassa e si è cercato di mantenere le risorse concentrate sui pazienti con diagnosi di cancro attivo o in trattamento. Inoltre, con la pandemia si è persa in 19 mesi l'aspettativa di vita guadagnata in 10 anni.

Dal congresso Europeo di Oncologia Medica 2021 che sì è appena concluso, emerge che in Europa ci sono stati un milione di diagnosi in meno e 100 milioni di screening non effettuati. L'Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e l'European Society for Medical Oncology (ESMO) lanciano l'allarme sui tumori: si stima un aumento del 21% dei casi entro il 2040. Secondo l'European Cancer Organitation una persona su due con potenziali sintomi riferibili a cancro non è stato inviato urgentemente per la diagnosi e un paziente su cinque in Europa non riceve ancora il trattamento chirurgico o chemioterapico di cui necessita.

Secondo il rapporto dell'Osservatorio Nazionale Screening sono oltre 1 milione gli esami in meno effettuati tra gennaio e maggio 2020 a causa della pandemia, per un potenziale incremento delle diagnosi di cancro prossimo a 5000 casi. Soltanto nei primi cinque mesi di pandemia, i ritardi accumulati nella diagnosi oncologica sono allarmanti. Inoltre, come emerge dai dati forniti dagli Hub come l'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e l'ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, le nuove diagnosi di tumori nei bambini saranno meno di quelle conteggiate negli anni scorsi perché la paura del contagio ha allontanato le famiglie dagli ospedali. Il ritardo diagnostico e le cure tardive nell'oncologia pediatrica riducono gravemente la sopravvivenza nei tumori che colpiscono bambini e adolescenti.

La pandemia ha ritardato certamente diagnosi ed interventi. Risulta però che le cure non sono state sospese, sette reparti oncologici su dieci non si sono mai fermati ed hanno ridotto di poco l'attività durante il lockdown per Coronavirus, proteggendo altresì i malati di tumore dal possibile contagio di Covid-19 e dalla possibile progressione della neoplasia se le terapie fossero state interrotte.

Tuttavia, risulta che il 20% dei pazienti ha preferito in questi mesi rimandare un appuntamento già fissato. Secondo l'indagine promossa dal Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri (CIPOMO) e pubblicata sull'European Journal of Cancer, le sedute di chemioterapia nei day hospital, la somministrazione degli antiblastici e le visite ambulatoriali sono stati riorganizzati per mettere in sicurezza sia il personale sanitario che i pazienti tramite l'uso dei dispositivi di protezione, il triage delle persone prima di accedere in reparto, il rinvio delle visite non urgenti e sfruttando maggiormente la telemedicina.

Per non compromettere l'efficacia dei trattamenti e per non esporre i pazienti al pericolo di morire per un tumore che avanza, è stata garantita l'attività di cura anche nel corso dell'emergenza sanitaria. Dall'indagine emerge chiaramente che circa il 70% delle oncologie italiane non ha avuto, o ha avuto solo in minima parte, una riduzione di attività. Per tutelare i pazienti più fragili e limitare gli accessi in reparto ai pazienti in trattamento, le visite di follow-up sono state condotte in telemedicina.

Alcune ricerche indicano che i malati di tumore stanno tuttora attraversando un periodo di grande difficoltà, perché temono di dover rinunciare a controlli ed esami, si sentono più esposti al rischio di contagio di Covid-19. Hanno paura di non ricevere adeguate protezioni all'interno delle strutture sanitarie.

La paura più grande che viene descritta è quella di un possibile ritardo nelle terapie anticancro di cui necessitano a causa dell'emergenza sanitaria in cui gli ospedali sono ancora coinvolti. Il 20% dei pazienti che negli ultimi mesi ha saltato, di propria volontà, trattamenti ed appuntamenti già fissati devono essere rassicurati con il fatto che gli standard di assistenza oncologica non sono mai venuti meno. Le statistiche indicano che sono pochi i pazienti con tumore che si sono infettati in ospedale e contrarre l'infezione da Sars-CoV-2 non significa morire. Ritardare troppo le cure o gli esami oncologici comporta un rischio di morire decisamente maggiore.

Secondo l'Istituto Oncologico Veneto è possibile che l'emergenza pandemica incida negativamente sui tassi di mortalità a medio e lungo termine, proprio perché in molti casi i pazienti sono arrivati alla diagnosi in stadio avanzato e dunque tardivamente ai trattamenti. Molto elevata è stata inoltre la mortalità da Covid-19 nei fragili pazienti oncologici, come emerge dal registro regionale della Rete Oncologica Veneta nato per descrivere l'epidemiologia e il decorso clinico dell'infezione da Sars-CoV-2 nei pazienti oncologici. I dati sono stati pubblicati recentemente sull'European Journal of Cancer.

È davvero Time to act, tempo d'agire, per evitare che la pandemia rallenti ulteriormente la lotta contro il cancro. È la campagna per sensibilizzare l'opinione pubblica promossa dall'Europa. È drammatico quanto la pandemia abbia avuto un impatto devastante sulle malattie oncologiche e sulle persone con il cancro addosso.

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