Cosa ti spinge, di questi tempi, a studiare per diventare un’infermiera?
Una studentessa di infermieristica assiste una paziente
Mrs Nightingale ci suggeriva che “l’assistenza è un’arte ”: una frase forse banale, ma dal significato, a mio avviso, profondo ed intenso, un’affermazione inconfutabile, che passo passo penetra nell’animo, tanto da perdere l’importanza del significato letterale e grammaticale, per divenire, invece, una convinzione portante per la carriera e la vita in generale, una certezza radicata, incardinata ed intrinseca in ogni cosa, scontata e normale, come il sole che si alza la mattina e l’aria che respiriamo.
Prendersi cura delle persone , delle loro debolezze e delle loro fragilità, non è più un mestiere, un impiego, un lavoro retribuito, bensì un compito, che richiede una devozione disinteressata e viscerale ed un grande rispetto della vita .
Scegliere di entrare a lavorare tra corsie e stanze di degenza, è stata ed è tutt’ora per me un’avventura senza fine. Indossiamo divisa, calzari, cartellini d’identificazione, cuffiette e guanti sterili; studiamo le scienze sociali, la storia, l’evoluzione della medicina.
Studiamo l’empatia , la forza dell’ascolto attivo e i modelli comportamentali; ci prepariamo a fronteggiare con delicatezza ogni eventuale situazione non solo rispetto le realtà patologiche, ma anche a qualsiasi altra forma di disagio e difficoltà.
Puntiamo le nostre sveglie per arrivare in orario a lezione e usciamo tardi dall’aula per tornare di nuovo alle nostre abitudini banali, barcamenandoci nel traffico delle altre “cose” della nostra vita, con ancora in mente la ridondanza di quello appena studiato. Pagine di libri e slide e video informativi e regolamenti e articoli e codici…
Studiamo l’anatomia, i sistemi, gli apparati, le funzioni vitali e le manovre di primo soccorso con le quali possiamo – nientemeno – salvare la vita ad una persona. Tenere la vita di una persona .
Entriamo in corsia stringendo con entusiasmo e grandi speranze la mano ai nostri superiori e colleghi; ad alcune persone competenti, che hanno la buonanima di spiegarci con pazienza e senza alcun tornaconto il loro lavoro, regalandoci preziosi consigli ed episodi veri di esperienza vissuta . Persone meravigliose che semplicemente amano il loro lavoro , degli eroi moderni che crescono i loro cuccioli tirocinanti e studenti per cacciarne fuori dei buoni lavoratori e, soprattutto, delle persone migliori.
E poi incontriamo anche lavoratori disillusi e spazientiti , che troppo spesso riversano le loro frustrazioni ai danni delle nostre povere aspettative .
Ci sentiamo onorati ad indossare la nostra nuova divisa immacolata , corredata di tutti gli oggetti del caso che dovrebbero - nella nostra forse ingenua insicurezza - assicurarci una certa professionalità agli occhi dei nostri assistiti e dei loro parenti.
Tutto per guadagnarci la loro fiducia e lasciarli soddisfatti il più possibile, nel loro delicato stato di necessità, gioendo umilmente nel nostro intimo ogni qualvolta un paziente ci sorride e ci ringrazia…
Assistiamo, semplicemente, le persone che ci vengono affidate. Assistiamo l’anziano che ha bisogno dell’igiene intima, trafughiamo qualche pannolone in più per il paziente dell’ultima stanza che sappiamo essere andato in diarrea già diverse volte; misuriamo la pressione al nuovo ingresso cercando di accomodarlo e rassicurarlo per quanto possibile, rendendo la sua stanza più accogliente.
E poi prendiamo per mano la vecchietta che non riesce a salire sul lettino della RM e svitiamo il tappo di plastica del flaconcino del medicinale e ci prodighiamo in parole affettuose e dolci anche se siamo carichi di comande e stanchi e sotto stress e ancora stanchi.
Cerchiamo, semplicemente, di esserci. Per tutti
Corriamo da un reparto all’altro, subendo anche diversi rimproveri e rimbecchi tra qualche superiore nevrotico o inverosimilmente nervoso. Siamo sempre in movimento, sempre sottoposti al giudizio della coordinatrice , dei colleghi più anziani, del tutor, del primario, sempre in vetrina e sottocchio, con il grilletto pronto a scattare per dissacrarci al primo errore.
Siamo in continua competizione, chi ottiene il “caso” migliore, chi aiuta il medico di turno, chi esegue meglio la manovra e chi prende i voti più alti. Sempre al massimo, sempre concentrati e soprattutto sempre presenti per i pazienti. Lasciamo i nostri problemi fuori dal reparto e diventiamo, seppur per una manciata di minuti o ore, il punto di riferimento del nostro assistito.
E cosa ne guadagniamo? E perché vuoi lavorare in questo mondo? Un mondo . Guadagniamo nell’esperienza, nello sviluppo della tecnica e della manualità, nella gestione dei problemi e di ogni singolo inghippo che può derivare dalla situazione più banale, ma soprattutto ne guadagniamo a livello umano .
Assistiamo alla diagnosi, alla degenza, alla cura del nostro paziente e dei dubbi che derivano dal suo ricovero, dall’insicurezza, dall’incertezza della sua posizione, nel peggiore dei casi.
Assistiamo al disagio che in ognuno di noi scaturirebbe dal vivere in un ambiente diverso dalla propria casa , dai propri comfort e soprattutto dalla propria intimità; dalle proprie abitudini sradicate e poste nella sterilità e nella fragilità di cristallo dell’ambiente ospedaliero.
Prendiamo parte, inevitabilmente, ai piccoli e grandi drammi che i nostri assistiti si portano dietro. E come potremmo evitarlo? Come potremmo scindere la nostra professionalità dall’essenza umana dell’empatia, del supporto, della vicinanza, dell’assistenza, che è tanto tipica dell’uomo verso chi è più debole, chi necessita, chi si trova in difficoltà?
Tante volte ci chiedono : perché, perché hai scelto di seguire questo percorso di studi e lavorativo? Cosa ti dà? Non ti sembra di lavorare troppo per uno stipendio misero? Perché, perché perché.
Perché alle volte non c’è niente di meglio di uno sguardo muto e velato dalla commozione di un grazie espresso solo con gli occhi . Perché certi sorrisi ti rimangono dentro e ti pungolano l’animo con la loro forza e voglia di vivere.
Perché, semplicemente per prendersi cura del prossimo, devi amare follemente la vita.
Perché anche se non puoi salvarla, una persona, puoi comunque prendertene cura. Perché nessuno da solo è in grado di andare da nessuna parte.
Perché l’affezione per una professione, un’idea, un ideale, tutte le persone che riesci ad assistere, è alle volte, una delle tante declinazioni dell’amore.
Azzurra Miele , Studentessa infermiera
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