L’infezione da Clostridium difficile è una delle principali cause di malattia gastrointestinale acquisite in ospedale e viene considerata la più costosa tra tutte quelle nosocomiali, perché la cura richiede un lungo periodo di degenza ospedaliera e i pazienti che ne sono affetti possono essere fonte di diffusione epidemica.
Clostridium difficile, cos’è e come si trasmette l’infezione
Clostridium difficile è un battere gram positivo, anaerobio, sporigeno, opportunista. Presente fisiologicamente nella flora batterica vaginale ed intestinale, produce una tossina che provoca infiammazione dell’intestino e diarrea.
Risulta essere la causa più comune di colite pseudomenbranosa che insorge dopo terapia con antibiotici, soprattutto se ad ampio spettro o per periodi prolungati o in associazione tra loro. Questi farmaci provocano importanti alterazioni della normale flora batterica intestinale.
L’infezione da Clostridium difficile tipicamente ha origine nosocomiale, si verifica nell’8% dei pazienti ospedalizzati ed è responsabile del 20-30% dei casi di diarrea nosocomiale.
Il periodo di incubazione è variabile: da 1-2 giorni fino alle 12 settimane. La trasmissione è oro-fecale, interumana. I pazienti in fase diarroica sono estremamente contagiosi e la contagiosità si riduce drasticamente alla scomparsa della diarrea.
Il Clostridium difficile è presente nel 2-3% della popolazione adulta sana, ma la sua prevalenza aumenta negli anziani con un’età superiore ai 65 anni. È trasportato asintomaticamente dal 15 al 70% dei neonati ed è diffuso nell’ambiente (suolo, acqua, animali domestici).
Altri fattori di rischio sono:
- Una recente terapia antibiotica (flurochinoloni, cefalosporine, penicilline, clindamicina) se protratta per almeno 6-8 settimane
- L’assunzione di inibitori della pompa protonica e antagonisti dei recettori H2
- Precedenti interventi di chirurgia gastrointestinale
- Presenza di sondino nasogastrico o gastrostomia
- Permanenza in ospedale o in strutture residenziali per più di 7 giorni
- Presenza di gravi patologie di base
- Recente episodio di infezione recidivante di CDI o una recente esposizione ad altri casi di CDI
- Immunodepressione, anche iatrogena, da cortisonici e chemioterapici antiblastici
Sintomi e diagnosi di infezione da Clostridium difficile
I sintomi dell’infezione da Clostridium difficile sono diarrea, talora ematica, che raramente progredisce verso la sepsi e l’addome acuto. Se si verifica una perforazione del colon, sono presenti segni peritoneali.
La diarrea può essere lieve e semiformata, frequente e acquosa, maleodorante. I crampi sono frequenti, nausea e vomito sono rari, l’addome può essere discretamente dolente.
La diagnosi è innanzitutto clinica e deve essere sospettata in ogni paziente che sviluppa diarrea (definita come un numero uguale o superiore a 3 scariche di feci non formate in 24 ore) entro 2 mesi dall’uso di antibiotici o 72 ore dal ricovero ospedaliero e si conferma mediante l’identificazione della tossina nelle feci; a volte si rende necessaria una sigmoidoscopia con evidenza radiologica di ileo o di megacolon tossico.
La tempestività e l’accuratezza della diagnosi differenziale laboratoristica con altre forme di diarrea sono requisiti fondamentali. Il trattamento si basa sul metronidazolo, la vancomicina o la fidaxomicina.
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