È la storia di una aspirante collega che racconta le sue esperienze con la dipartita di due pazienti, due persone speciali che hanno combattuto fino all'ultimo per sopravvivere, ma che alla fine si sono arresi davanti alla spietatezza della "dama nera". Il sostegno del Coordinatore Infermieristico è stato utile alla nostra interlocutrice, che non ha subito traumi psicologici. Ma vediamo cosa ci ha svelato...
APRICENA. Continuano ad essere sempre più numerosi gli Studenti di Infermieristica che ci seguono e ci propongono le loro storie. Questa volta parliamo di Annamaria Pipino, 23 anni, iscritta al terzo anno della Facoltà di Medicina e Chirurgia - Corso di Laurea in Infermieristica presso l'Ateneo di Foggia. La nostra interlocutrice frequenta la sede distaccata di San Severo nell’Alto Tavoliere, ma è di Apricena, cittadina nota per i marmi, ma anche per la dipartita nel suo territorio del Sovrano Svevo Federico II.
Vediamo cosa ci ha raccontato:
"Sono prossima alla laurea, a novembre dovrò discutere la tesi, che sto preparando con un ricercatore di Foggia, presso l'U.O. di Emodialisi.
La relatrice è la dott.ssa Elena Ranieri, il co-relatore è il dott. Stefano Netti.
La tesi verterà sui vantaggi dell'utilizzo della Coupled Plasma Filtration Adsorbition.
In questo mio breve discorrere volevo parlavi della mia prima esperienza da tirocinante con la morte di un paziente. È stata una cosa che mi ha colpita e cambiata tantissimo.
Lo ricordo ancora bene quel signore, anche perché mi capitò durante i primi giorni d tirocinio del primo anno.
Sicuramente non ero preparata emotivamente: ad oggi sono comunque più sensibile di molti miei colleghi di studio.
Ad ogni modo si trattava di un paziente molto giovane, italiano, con degli occhi bellissimi, vivaci. Un signore eloquente, che non esitò a dirmi che aveva paura di morire.
Era collegato ad un defibrillatore. Stava aspettando un trapianto a causa di una cardiopatia dilatativa.
Arrivò in UTIC la mattina verso le nove e perse la vita poco dopo.
Mi ha stupito che gli infermieri avessero paura di toccarlo, tra una scarica e l'altra e di medicarlo.
Mi ha colpito, invece, che si offrì volontaria di assistere quel paziente solo una infermiera, che ai miei occhi quel giorno sembrò un angelo.
Sorretta dal Coordinatore Infermieristico e seguita a distanza dai medici nell'evoluzione della situazione.
Io mi ero messa in disparte. Il clima era surreale... avevo parlato molto con quell’uomo e mi aveva lasciata senza parole quando con dignità aveva espresso a me, piccola ragazzina tirocinante, le sue paure. Le sue angosce e le sue speranze per un futuro che poteva non più esserci.
Mi è dispiaciuto molto.
Ho pensato alla sua famiglia, ai figli, di cui mi aveva parlato. Non ho potuto far altro che pregare per lui.
Le infermiere stavano facendo il "loro lavoro" in quel momento. Dopo il decesso non mi hanno lasciata sola (e nemmeno i miei colleghi), si sono preoccupate di noi.
In particolare il Coordinatore Infermieristico ci ha tenuto a spiegarci quello specifico caso clinico e a rassicurarci; ero a pezzi. Mi concesse di andar via prima dal reparto, avevo bisogno di staccare, di rielaborare quello che era successo e di tornare quanto prima più serena.
Ma la morte di un’altra persona ha contributo certamente a farmi crescere e a diventare adulta.
Si tratta di un paziente che ho conosciuto quest’anno la cui storia mi ha sconvolta.
Si tratta di un medico, incontrato in rianimazione e affetto da Sclerosi Laterale Amiotrofica.
La cosa che mi ha scioccata e stordita è che lui era perfettamente consapevole di quello che gli stava capitando.
E anche se non poteva comunicare con me a parole, lo faceva con i suoi grandi occhioni.
Penso di essere riuscita a capire molte volte cosa provava.
Ammetto che mi sentivo meglio ogni volta che gli parlavo. Spesso interpretando i suoi cenni identificavo anche le risposte. Non trovavo giusto che alcuni gli si avvicinassero senza dire buongiorno o senza chiedergli come stava.
Poi è deceduto. Lo sapevamo tutti che quel giorno prima o poi sarebbe arrivato.
Ho imparato molto in quei giorni. Ho capito che è importante ascoltare i pazienti: anche il silenzio di una SLA ha i suoi significati.
Chiudo questa mio intervento, comunque, dicendo che, al di là della mia presenza su Nurse24.it, ammiro il vostro lavoro e quello di tutti gli altri che condividono la passione per la “parola” e l'informazione come strumento utile di crescita e di interscambio culturale e professionale.
Grazie ragazzi!".
* * *
Annamaria Pipino ha la passione per la scrittura e tra non molto inizierà a pubblicare i suoi pezzi su Nurse24.it.
E voi cari lettori cosa ne pensate dell'esperienza di questa Studentessa Infermiera? Scriveteci a direttore@nurse24.it
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