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Violenza contro gli operatori sanitari, una questione mondiale

di Daniela Berardinelli

Le riviste scientifiche infermieristiche internazionali sono tra le prime a documentare, attraverso la pubblicazione di paper, la violenza contro gli operatori sanitari. Un’analisi bibliometrica, condotta a livello globale, ha evidenziato che questo fenomeno è in crescita e sotto la luce dei riflettori di molti ricercatori.

Aggressioni verso gli infermieri e il contributo della ricerca italiana

Questa ricerca, condotta sul database Scopus, prende in considerazione il periodo di pubblicazione dal 1992, data in cui per la prima volta compaiono articoli scientifici su questo tema, al 2019. Le professioni maggiormente colpite risultano essere quella infermieristica e medica.

Questo trend è in crescita esponenziale a partire dal 2004 ed esplode nel 2019, con un numero decisamente elevato di pubblicazioni scientifiche in merito (213). Nella top ten di riviste scientifiche che ospitano la pubblicazione di articoli incentrati sulla violenza contro gli operatori sanitari compaiono il Journal of Nursing Management e il Journal of Clinical Nursing, mentre l’International Journal of Nursing Studies è quello che riceve il numero più elevato di citazioni.

La maggior parte delle pubblicazioni nasce nel contesto americano, a seguire in quello australiano e inglese. Le parole chiave più utilizzate che racchiudono la ricerca su questo topic, sono “workplace violence”, “aggression”, “health care personnel”, “emergency service”, poiché la gran parte degli episodi si verifica in contesti di emergenza/urgenza, e “bullying” a ricordare che la violenza non è solo quella fisica. Gli infermieri e medici sono la categoria più esposta a questi episodi, proprio per la loro stretta vicinanza al paziente e la crescente ricerca infermieristica in merito ne è una diretta testimonianza.

La letteratura documenta che più di un terzo degli operatori sanitari è vittima di aggressioni verbali, fisiche, mobbing e molestie. Una recente revisione sistematica riporta una percentuale ancora più alta, arrivando a toccare il 60% della comunità professionale. Questi fenomeni di violenza, reiterati nel tempo, hanno un impatto notevole sulla vita professionale e personale degli operatori sanitari, provocando conseguenze negative sia dal punto di vista fisico che psicologico.

Sono infatti responsabili di una netta riduzione della soddisfazione lavorativa, dell’aumento dell’insorgenza di burnout, sintomi depressivi e del desiderio di lasciare la professione. Tutti questi aspetti non solo colpiscono il professionista sanitario, ma anche la qualità delle cure, che risente di un conseguente maggiore assenteismo e di un aumento dei costi per tutelare la sicurezza dei luoghi di lavoro (ad esempio attraverso l’adozione di metal detector o personale dedito alla sicurezza).

Tra gli autori che si sono occupati di questa tematica emergono, dal panorama internazionale, gli italiani Nicola Ramacciati (docente e responsabile delle attività didattiche e professionalizzanti del Corso di Laurea in Infermieristica di Perugia) e Stefano Bambi (associato in scienze infermieristiche dell’Università di Firenze).

Questa analisi bibliometrica mostra un trend in crescita che desta preoccupazione, data l’elevata presenza e diffusione di questo problema a livello mondiale. La valutazione del rischio di questi episodi deve infine concretizzarsi in interventi mirati alla prevenzione di tale fenomeno, per la tutela degli operatori sanitari e della cura dei pazienti.

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