In una delle recenti newsletter di JAMA, in mezzo a tutti gli approfondimenti riguardanti le principali specialità trattate dalla rivista - come neurology, oncology, internal medicine - balza ai miei occhi un “teachable moment” che esplora la gestione dei cateteri venosi periferici.
Se anche JAMA parla degli accessi venosi periferici
Il pretesto è il caso clinico di una paziente con una storia di anemia falciforme ed episodi di trombosi ricorrenti, che si presenta in pronto soccorso per un dolore acuto ai fianchi e all’addome che richiede la somministrazione di una terapia endovenosa.
Nei giorni successivi al ricovero l’accesso venoso si disloca, causando infiltrazione. Dopo numerosi tentativi infruttuosi ed il passaggio ad una terapia orale, un’ecografia mostra la presenza di flebite ad ambedue gli arti superiori, i quali erano stati oggetto di diverse manovre di posizionamento.
L’invito di questo breve articolo è riflettere sulla necessità dei riposizionamenti e del mantenimento degli accessi vascolari, sebbene non vengano più utilizzati o non siano più strettamente necessari. L’articolo riporta che Even though the patient was able to hydrate with oral fluids, the medicine team placed another PIVC in her left arm as a precaution
, sottolineando come sia il giudizio clinico dell’équipe a guidare il posizionamento di un ulteriore accesso venoso, come precauzione, nonostante la possibilità di proseguire con una terapia orale.
Questo non significa lavorare male o porre poca attenzione al paziente, forse spesso si teme uno scompenso improvviso o un peggioramento che potrebbe richiedere una nuova terapia endovenosa e sappiamo bene quanto il posizionamento, soprattutto in condizioni di urgenza, possa essere difficoltoso. Queste motivazioni che spingevano gli infermieri a mantenere più a lungo l’accesso venoso periferico, nonostante fosse inutilizzato, erano già state esplorate anni fa da uno studio italiano.
L’ultimo aggiornamento delle linee guida dell’Infusion Nursing Society del 2021 ribadisce l’importanza di valutare attentamente sia la necessità del posizionamento di un catetere venoso periferico, sia della sua permanenza, quotidianamente e di rimuoverlo non appena ritenuto non più utile ai fini terapeutici.
L’indicazione è quindi di rimuoverlo when clinically indicated
, se non più indispensabile per il trattamento o comunque dopo 24 ore o più di non utilizzo. Inoltre è specificato che attualmente non si conosce un tempo ottimale di permanenza dell’accesso venoso periferico.
Come già consigliato anche da una revisione Cochrane, l’équipe dovrebbe ispezionare ad ogni cambio turno il sito di inserzione dell’accesso venoso periferico e rimuovere quest’ultimo in caso di segni di infezione, infiltrazione, occlusione, infezione, mal funzionamento o se non più necessario per la somministrazione della terapia.
L’accesso venoso periferico è uno dei dispositivi che gli infermieri utilizzano maggiormente tutti i giorni, sulle più disparate tipologie di pazienti e patrimoni venosi, i quali dovremmo preservare, il più a lungo possibile.
Il posizionamento di un accesso venoso periferico è quasi “automatico” e forse sul suo mantenimento dovremmo interrogarci di più: serve ancora al nostro paziente? Anche questo è un esercizio di valutazione e ragionamento clinico, che non andrebbe sottovalutato, sebbene l’utilizzo di questo dispositivo sia talmente comune e oramai interiorizzato dalla professione stessa. Le evidenze ci dicono di valutarne attentamente la necessità, partendo dal suo posizionamento: il suo utilizzo è sempre consono nelle nostre realtà?
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