Se oggi la scelta di lavorare in sanità offre ancora delle possibilità di raggiungere un lavoro stabile, non è detto che avvenga la stessa cosa per la vita privata di coloro che prendono questa decisione. La vita personale sembra, infatti, essere sempre più precaria, soprattutto in termini di qualità. Le più colpite da questo fenomeno sono le donne, che, se non adeguatamente supportate, spesso si trovano a dover fare una dura scelta, quella tra lavoro e famiglia.
Lo svantaggio delle donne
Un’indagine condotta in Francia e rivolta a 371 donne medico urgentiste ha evidenziato come le difficoltà più importanti fossero relative ai turni notturni (più di tre notti al mese), al lavorare durante i week end e per più di 40 ore a settimana (raggiungendo picchi di 60).
Il tempo trascorso al lavoro è principalmente dedito all’attività clinica sempre più intensa, tralasciando così quella di ricerca, che diviene sempre più difficile da perseguire anche nel raggiungimento di posizioni accademiche. Circa il 30% delle intervistate ha dichiarato di percepire uno svantaggio dovuto all’essere donna e che le condizioni lavorative sarebbero potute essere migliori se fossero state un uomo.
La qualità di vita
Circa la metà delle donne ha valutato scarsa la propria qualità di vita, con un punteggio minore di 6, in una scala di valutazione da 1 a 10. Più della metà vede uno squilibrio importante tra la vita lavorativa e quella personale e il 20% dichiara di non aver avuto figli perché non ritenuti compatibili con il proprio lavoro.
Il part time questo sconosciuto
Il 49% delle donne desidererebbe avere un part-time e due terzi pensano che la gravidanza sia un ostacolo per l’avanzamento di carriera.
La discriminazione e la misoginia
La discriminazione sul luogo di lavoro non è purtroppo infrequente, anzi viene riportata dal 55% delle donne coinvolte nello studio. Questa può verificarsi, da parte dei colleghi uomini, al cospetto dei pazienti, di fronte ai loro familiari o anche davanti agli infermieri.
Le donne si sentono meno consultate e prese in considerazione dagli uomini quando si tratta di prendere delle decisioni difficili e spesso anche dai pazienti o dalle loro famiglie, che gradiscono maggiormente parlare con un medico uomo.
Non esiste però solo la discriminazione, poiché le donne hanno denunciato, quasi nel 40% dei casi, di avere subito molestie o mobbing. Quasi il 60% ha dichiarato di aver subito molestie a carattere sessuale e il 77% a livello morale.
Quali interventi per migliorare le condizioni lavorative
Gli interventi ipotizzati dalle donne urgentiste, per migliorare la loro qualità di vita, prevedono la possibilità di lavorare part-time, l’aumento del numero di assunzioni di medici urgentisti, per sopperire ai carichi di lavoro e alle maternità, la promozione di una paternità obbligatoria, il sostegno all’allattamento al seno per le madri che lo desiderano e la condanna di qualsiasi fenomeno di sessismo.
La misoginia in medicina non è infatti una novità; recentemente era comparsa sul New England Journal of Medicine la denuncia di un medico donna che raccontava come più volte ne fosse stata colpita nei suoi 15 anni di carriera. Il sessismo vive nascosto ad un livello latente, tant’è che quando lei stessa racconta di averne discusso con i colleghi uomini questi le apparivano evidentemente scioccati, classificando queste differenze di genere come fenomeni isolati e non uno “status quo”.
Più volte ricorda di aver ricevuto commenti, più o meno “cortesi, sulla sua scollatura, sulle caratteristiche del suo fondoschiena o sulla sua vita sessuale. Questi spesso non si limitano al solo aspetto fisico, ma ledono anche la sua interiorità quando, ad esempio, viene classificata come “troppo emotiva” per fare questo lavoro, o “infantile” o di “non sorridere abbastanza”.
Lo svantaggio delle donne emerge anche dal report statunitense del NASEM (National Academies of Sciences, Engineering and Medicine) dove almeno la metà delle iscritte a medicina subisce una molestia sessuale e questo fenomeno si perpetua anche negli anni successivi di sviluppo della carriera professionale, incidendo anche significativamente sui tassi di burnout.
L’appello sul New England della dott.ssa Kaye è di uscire dal silenzio e di denunciare pubblicamente questi eventi, che non devono rimanere delle singole voci ma unirsi per una lotta al cambiamento contro il sessismo.
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