Durante l'epidemia nelle organizzazioni sanitarie italiane si sono verificate nuove condizioni di lavoro che hanno richiesto flessibilità nel rimodulare i programmi prestabiliti e sono state fatte delle scelte alla base delle quali vi era l’intento di tutelare la sicurezza dei cittadini e degli operatori. Il concetto di tutela della sicurezza delle cure, l’Italia ha voluto affermarlo, precedentemente all’emergenza Sars-Cov2, con una specifica normativa - la Legge 24/2017 (Gelli-Bianco) - in cui si afferma che la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell'interesse dell'individuo e della collettività.
Cosa significa creare una cultura positiva del rischio
Vi sono evidenze sempre più forti sul fatto che le organizzazioni più sicure sono quelle che hanno memoria degli eventi accaduti in passato.
La Legge Gelli–Bianco si pone come obiettivi il rendere meno difensiva la medicina spostando a livello extracontrattuale la declinazione della responsabilità professionale per imperizia degli operatori sanitari coinvolti; accrescere la cultura positiva di attenzione al rischio clinico anche tramite una penalizzazione per le Aziende Sanitarie; creare le condizioni assicurative a tutela degli operatori sanitari e dei cittadini evitando processi e le loro lungaggini giurisprudenziali.
Parlare di sicurezza delle cure pre-pandemia, oltre al richiamo alla Legge Gelli-Bianco, richiede la conoscenza di alcuni concetti basilari come il contesto in cui ci si muove ed il concetto di rischio. Nel contesto nel quale viviamo e agiamo sia come singoli che come collettività, che, come operatori sanitari, il rischio è al centro, lo percepiamo ovunque, a maggior ragione, dopo l’avvenimento di fenomeni come terrorismo o cambiamenti climatici che determinano situazioni pericolose, di cui siamo, purtroppo, stati spettatori anche di recente in regione Marche ed Emilia-Romagna .
Questa consapevolezza del rischio non deve trovare una risposta nella paura o nel panico ma va gestita con responsabilità ed organizzazione. Durante la pandemia, seppur ci sia stata una continua riorganizzazione e poche informazioni riguardo il coronavirus, l’intento di tutela della sicurezza di tutti è stato sempre un punto cardine ed ha dettato le strategie politiche e sanitarie all’insegna della sicurezza di operatori e cittadini.
Dalla consapevolezza del rischio si dovrebbe partire con lo sforzo per l’ulteriore sviluppo e affermazione della cultura positiva del rischio nella società e soprattutto nelle organizzazioni sanitarie. Cultura positiva del rischio vuol dire comprendere che la gestione del rischio non è solo la maniera migliore per gestire una crisi, ma la propensione ad anticiparla.
Il concetto di rischio è stato sempre legato a quello di anticipazione; considerare nel presente i potenziali accadimenti futuri, per evitare che questi si verifichino o, se l’evento è già accaduto in passato, che questo torni a manifestarsi. Bisogna abbassare la probabilità che l’evento si riverifichi.
L’anticipazione non deve essere sporadica e puntuale, ma sistemica e con una costante azione collettiva. Si possono anticipare i pericoli solo se la gestione del rischio viene posta in maniera chiara, decisa e coerente al centro dell’attenzione individuale e delle organizzazioni.
Da questa consapevolezza, una delle principali componenti del sistema Qualità all’interno di un’organizzazione sanitaria è considerata la gestione dei rischi (risk management ).
Oggi le organizzazioni sanitarie tendono a dotarsi di un programma di monitoraggio dei principali effetti avversi per gli utenti, in modo da poter intervenire tempestivamente a scopo preventivo.
Ciò che si mira ad evitare è l’incidenza di danni e lesioni prevenibili in modo da migliorare la qualità del servizio offerto e da ridurre al minimo i risarcimenti in caso di errori. A proposito di risarcimenti, la Legge Gelli Bianco ha spostato l’onere della prova di non colpevolezza a livello contrattuale per le Aziende Sanitarie, ciò significa che in caso di richieste di risarcimento da parte di un paziente o cittadino, l’Azienda Sanitaria è tenuta a fornire le prove della propria non colpevolezza.
Questo doppio binario individuato dal legislatore per cui c’è una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e una responsabilità extracontrattuale del medico, viene costruito perché formalizza un’innovazione di pensiero. L’errore medico, per anni, è stato visto come una colpa della persona, può essere sicuramente così in alcuni casi, ma oggi sappiamo che è spesso l’evento conclusivo di una complessa catena di fattori ambientali, organizzativi e umani (catena dell’errore), nella quale il contributo della persona che lo ha effettivamente commesso è solo l’ultimo anello e non necessariamente il più rilevante.
Cambiare il paradigma
La Legge prende questo concetto e, di conseguenza, si adatta per consentire che vengano maggiormente coinvolti gli “organizzatori” in caso di eventi avversi e danni iatrogeni per i pazienti. In sintesi, si vuole supportare un cambiamento di paradigma, dalle organizzazioni sanitarie che biasimano i singoli professionisti che hanno commesso errori, si vuole arrivare alla progettazione di un sistema di qualità e sicurezza che anticipi e prevenga errori futuri.
La gestione del rischio è diventato quindi un processo decisionale che tende a promuovere la partecipazione attiva del personale. Nell’ottica del miglioramento continuo della qualità (MCQ) l’errore non viene più visto come un portatore di colpevolezza ma costituisce un’opportunità per migliorare la qualità delle prestazioni e dell’organizzazione nel suo complesso.
Per la prevenzione e gestione dei rischi oltre ad un sistema sicuro che preveda una costante ricerca e mappatura delle probabilità di errore e di danno e le prevenga con la revisione delle procedure, con una formazione mirata e con le altre iniziative giudicate più appropriate, c’è bisogno di stabilire chi ne è il responsabile, il Risk manager aziendale con l’autorità necessaria.
Sarà compito del Risk Manager presiedere all’individuazione delle aree critiche, alla definizione di standard qualitativi per i vari processi, alla stesura e attuazione di uno specifico piano nazionale e allo sviluppo di un programma di informazioni e formazione.
Uno degli strumenti di informazione è l’incident reporting che consiste in una modalità standardizzata e volontaria di raccolta delle segnalazioni degli incidenti e dei quasi incidenti (near misses), finalizzata a predisporre miglioramenti che ne prevengano il ripetersi nel futuro.
Si può misurare e attuare l’incident reporting a diversi livelli dell’organizzazione: più è ampio il bacino di raccolta delle informazioni, maggiore sarà la possibilità di apprendere dagli errori commessi anticipando le risposte ai potenziali pericoli.
La preparazione della risposta ai potenziali pericoli in effetti richiede molte risorse da impiegare per qualcosa che potrebbe anche non accadere; per cui ci si potrà comunque trovare a non essere pronti per ciò che effettivamente si sta poi verificando.
Ma, come è stato evidente nell’epidemia da SARS-CoV-2, si tratta proprio di un rischio da correre. Si tratta di scegliere un approccio che si fonda sull’incertezza, ma che nello stesso tempo può produrre cambiamento ed evoluzione costante. Il vero rischio da correre è questo in un’organizzazione sanitaria moderna.
Quello che si è appreso con il Covid andrebbe reso sistemico e consolidato; più che altro non andrebbe dimenticato, come spesso si fa. Il richiamo alla memoria, intesa come riferimento e come valore cardine è stato approfondito e validato.
La sicurezza è una questione di sistema
Vi sono evidenze sempre più forti sul fatto che le organizzazioni più sicure sono quelle che hanno memoria degli eventi accaduti in passato . I professionisti e le organizzazioni sanitarie nei prossimi anni avranno il dovere di organizzare la memoria, non disperderla ma alimentarla.
Molti passi avanti sono stati fatti nel nostro Paese sulla sicurezza delle cure, ma resta ancora da costruire e consolidare un Sistema Sicurezza sia sul livello nazionale, nell’ambito del quale un ruolo importante può essere giocato dall’Osservatorio Buone Pratiche sulla sicurezza nella sanità, sia su quello regionale, dove occorre dare in ogni realtà locale effettiva funzionalità ai Centri regionali per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente.
La sicurezza è una questione di Sistema, per ora siamo ancora agli albori di questo cambio di paradigma e di pensiero, non c’è ancora una sistematizzazione in molti contesti sanitari, compreso quello marchigiano, ci sono state delibere specifiche che ad una lettura tecnica sembrano scritte da chi nei reparti non mette piede da anni e da chi non ha molto in mente l’efficientamento aumentando i risultati ma chi vuole ottenere tutto senza risorse aggiuntive da predisporre.
Nello sforzo per la costruzione di un sistema sicurezza c’è la necessità di realizzare sinergie stabili e codificate tra tutti gli ambiti attinenti alla qualità e sicurezza delle cure al fine di favorire una coerenza di programmi e azioni.
L’epidemia da nuovo Coronavirus ha dato maggiore consapevolezza rispetto all’importanza della sicurezza e nello stesso tempo ha reso chiara la necessità di un cambio di paradigma nell’approccio alla gestione del rischio nelle organizzazioni sanitarie. Occorre garantire un sistema di misurazione e monitoraggio costante dei rischi, che consenta un costante risk assessment, a cui deve corrispondere una rapida risposta organizzativa.
Nello stesso tempo, è necessario promuovere una cultura positiva del rischio sanitario, intesa come propensione all’anticipazione della crisi; costruire quindi organizzazioni che, attraverso un approccio sistematicamente proattivo, sappiano immaginare e realizzare sistemi efficaci per gestire l’inaspettato, in modo da essere pronte per il futuro, senza sapere come esso sarà.
Il rischio da correre, in sintesi, è che la preparazione e l’anticipazione “sprechino” apparentemente parte delle risorse per qualcosa che potrebbe non accadere mai. Ci si augura non accada mai l’evento avverso, ma essere pronti, sicuramente permette di gestire in maniera più efficiente e più vantaggiosa il fenomeno, agire in emergenza è inammissibile, è questa l’evidenza e l’esperienza appresa dal Sars-CoV-2.
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