Infermiere libero professionista e partita Iva, tra scelta e obbligo
Infermiere libero professionista sulla carta, ma la realtà è differente
Dopo il conseguimento della Laurea in Infermieristica una delle possibilità di lavoro, forse la più immediata, è quella di libero professionista . Ovvero aprire la Partita Iva , iscriversi alla cassa previdenziale di categoria (Enpapi ), avviare un’attività lavorativa in autonomia, prestare assistenza infermieristica ai propri pazienti e fatturare tutte le prestazioni eseguite, per poi pagare tutte le tasse annesse e connesse.
Obiettivamente chi si affaccia alla professione infermieristica di rado matura anzitempo l’idea della libera professione, ma vede il suo futuro da dipendente, possibilmente in un ospedale pubblico.
Ciò nonostante molti colleghi con spirito imprenditoriale hanno avviato studi infermieristici e assistenza domiciliare privata, in autonomia o in collaborazione, con notevole successo. Infatti tra le molteplici possibilità che offre il lavoro a p. Iva c’è anche quella del ”rapporto di collaborazione ”, che può avvenire con studi associati di professionisti della stessa disciplina o studi multi specialistici. Ma anche rapporti di collaborazioni con aziende di tipo privato o addirittura pubbliche.
Ed è proprio su quest’ultimo tipo di collaborazione che vorrei soffermarmi. Perché come sappiamo le aziende sanitarie pubbliche ad oggi con la mancanza di personale sono sempre sul filo del rasoio per poter garantire i LEA ; basti pensare che all’ultimo rapporto Fnopi sui numeri della carenza di infermieri a livello nazionale.
Ma ancora peggio è che non ci sono i fondi (pare) per fare i concorsi e assumere tutto il personale che serve. Ed è proprio a questo punto che dai vertici aziendali (per fortuna non di tutte le aziende italiane) è saltata fuori la soluzione. Ovvero assumere personale con rapporto di lavoro libero professionale, ma che di fatto di “libero” per il professionista non ha nulla.
Queste aziende fissano loro il compenso orario da retribuire al professionista e le ore mensili da effettuare, senza possibilità di replica, e anche se il contratto per legge non lo può prevedere, indirettamente ne fissano anche l’obbligo di preferenza all’azienda. Cioè quest’ultima per coprire i turni richiede al professionista di avere la precedenza su qualsiasi altro impegno lavorativo, quasi un vincolo di esclusività per il lavoratore .
Il problema? Che alcune aziende assumono personale con rapporto di lavoro libero professionale, ma che di fatto di "libero" per il professionista non ha nulla
È ovvio che l’interessato si può rifiutare, ma è altrettanto ovvio che il rapporto di lavoro finisce nel momento in cui questo dovesse avvenire.
Per l’azienda pubblica i vantaggi sono notevoli, perché non ha bisogno di fare concorso per assumere, ma solo un avviso per rendere pubblico il tutto. Nei confronti del professionista, poi, non ha obbligo di concedere ferie, indennizzi, aspettative, malattia, infortuni, ecc.
Il pagamento avviene al lordo e vengono pagati solo i giorni effettivamente lavorati e dal momento in cui il rapporto di lavoro non serve più può essere reciso senza alcun preavviso e in qualsiasi momento, oppure al contrario può essere prorogato all’infinito e anche superando i 36 mesi non sussiste il diritto di essere stabilizzato, perché il lavoratore non è un dipendente a tempo determinato dell’azienda, ma di fatto un libero professionista con rapporto di collaborazione .
Ad alcuni professionisti questo tipo di rapporto di lavoro, per necessità o situazioni personali, potrebbe stare bene o addirittura piacere. Ma è chiaro che un giovane laureato in cerca del suo primo lavoro , senza alcuna esperienza sul campo, e in una situazione di stallo sia per quanto riguarda i concorsi che gli avvisi pubblici, nonostante non avrebbe voluto un rapporto di lavoro del genere, decide di accettare tali condizioni e di avviare, in qualche modo, la sua carriera lavorativa.
Tutto ciò è sintomo di un sistema sanitario in degenerazione , che si avvia verso una privatizzazione delle cure e dei contratti di lavoro. E questo non può essere permesso perché un lavoratore ha dei doveri che deve assolvere con scienza e coscienza, in maniera diligente e professionale, ma ha anche dei diritti, che devono essere rispettati e non calpestati solo perché: “si deve pur lavorare ”.
Gaetano Sciascia , Infermiere
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