CASERTA. Per poter attuare un processo di cambiamento che porti ad una maggiore consapevolezza del valore e della responsabilità dell’infermiere nella società attuale è necessario comprendere come è considerata la figura infermieristica. Essere consapevoli della visibilità di cui la nostra professione gode nel contesto sociale è fondamentale per instaurare una relazione di fiducia tra infermiere e paziente, primo passo questo per attuare un processo di assistenza che soddisfi i bisogni del malato.
Lo scrittore George Bernard Shaw scriveva: “si usa uno specchio di vetro per guardare il viso e si usano le opere d’arte per guardare la propria anima”. Questa frase può rappresentare una chiave di lettura particolare per la ricerca che si è voluto eseguire, infatti partendo da autobiografie di malati di cancro si è cercato di estrapolare dei dati mediante un disegno di studio qualitativo/fenomenologico.
La figura infermieristica ha un ruolo di prim’ordine nella cura dei malati di cancro.
L’infermiere sa bene che per poter essere di aiuto al paziente deve instaurare una relazione di fiducia. Il paziente deve sapere che ha di fronte un professionista pronto a comprende la sua sofferenza e ad accompagnarlo nei momenti più difficili della sua malattia.
In un articolo pubblicato qualche tempo fa sul settimanale “Famiglia Cristiana” intitolato “Il mio amico Carlo Maria” gli autori descrivevano il rapporto di amicizia tra un malato di Sla Omar Turati e il cardinale Carlo Maria Martini. Turati affermava: ”Penso proprio che l’essere entrambi malati abbia contato molto per la nostra intesa, perché ci sono cose che solo chi ha una patologia può comprendere”.
L’infermiere deve essere quell’amico che attraverso l’ascolto attivo, mediante un rapporto empatico, permetta al malato di esprimere la propria sofferenza, ma anche le proprie emozioni e i propri pensieri, cosa questa che contribuisce a migliorare l’armonia corpo-anima-mente; e per questo, riconsiderando l’affermazioni di Omar Turati potremmo dire che: “l’infermiere deve entrare nel mondo soggettivo del paziente; ciò avviene solo se esiste una relazione di fiducia, fondamentale per l’elaborazione di un processo di assistenza centrato sui bisogni del malato e necessaria a trasformare la relazione di fiducia in una relazione di aiuto.
Materiali e metodi
La ricerca è stata eseguita con un approccio qualitativo fenomenologico.
Il primo passo è stato quello di eseguire una ricerca bibliografica mediante la quale si è individuata una serie di testi dove gli autori malati di cancro descrivevano la loro esperienza di malattia.
Il passo successivo ha previsto una revisione della letteratura e, trattandosi di una ricerca qualitativa fenomenologica si è proceduto all’estrapolazione dei vissuti esperenziali degli autori nei quali era presente anche la figura infermieristica.
Il campione.
Il campione è propositivo, costituito da testi pubblicati dal 1990 ad oggi e che hanno riscosso un notevole successo letterario. I testi presi in considerazione sono i seguenti:
Titolo | Autore |
La formula chimica del dolore | Giacomo Cardaci |
Perché proprio a me? | Melania Rizzoli |
Si può curare | Sylvie Menard |
Dall’altra parte | Sandro Bartoccioni, Gianni Bonadonna, Francesco Sartori |
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Risultati
I risultati ottenuti, come precedentemente detto, derivano da una attenta revisione dei singoli testi che sono stati presi in considerazione singolarmente e da ciascuno di essi è stato estrapolato il vissuto esperienziale di interesse alla Ricerca.
1) La Formula chimica del dolore (Giacomo Cardacci)
L’autore nell’introduzione cita due infermiere, Nella e Soledad, di nazionalità sudamericana descritte come due persone solari: “Nella e Soledad che dal sud del mondo portano il sole in corsia”.
L’autore descrive numerosi episodi della sua degenza dove è presente la figura infermieristica. Dal testo possiamo evincere:
- la centralità della professione infermieristica;
- che spesso il personale che esercita la professione infermieristica, nel nord d’Italia è personale straniero;
- l’infermiere sempre presente nelle corsie pronto a scambiare una chiacchiera durante la lunghe nottate: “l’infermiere amico”.
Nel testo comunque non mancano episodi dove l’infermiere è descritto in atti non infermieristici e dove essendo straniero non ha una buona conoscenza della lingua parlata.
2) Perché proprio a me? (Melania Rizzoli)
L’autrice del testo è un medico guarita dal cancro: ”sono un esempio positivo” cosi si definisce.
La revisione della biografia ha evidenziato un solo paragrafo dove sono citati due infermieri: ”Entrano in camera Massimo e Pino, gli infermieri, con un’allegria diversa, come per annunciare ...”. I due infermieri esprimono un’allegria diversa perché sono portatori di una buona notizia per la malata/autrice che dal canto suo solo guardandoli ne comprende immediatamente l’umore. Ciò sottolinea, ancora una volta, la relazione forte che si instaura tra malato e infermieri, una sorta di “connessione“ data dalla capacità dell’infermiere di percepire la situazione dell’altro e aiutarlo a esprimere e condividere emozioni, sentimenti e pensieri.
Il testo descrive prevalentemente la “metamorfosi totale” che il cancro causa alla persona ed evidenzia l’importanza delle relazioni umane durante il periodo di malattia come mezzo per infondere ottimismo e comprensione.
L’autrice nei ringraziamenti finali ringrazia i due infermieri per l’assistenza affettuosa, oltre che professionale.
3) Si può curare (Sylvie Menard)
L’autrice nel testo non narra di esperienze dirette avute con il personale infermieristico, però ci tiene a sottolineare in poche righe l’importanza del ruolo infermieristico nelle Unità operative di Oncologia: “l’infermiere cerca di dare senso e significato a ogni istante della vita che rimane con l’ascolto, la condivisione delle emozioni, delle gioie e delle paure in modo da garantire al malato e alla sua famiglia una morte dignitosa e il sostegno necessario nel momento del distacco e del lutto”.
Nel suo libro l’autrice pone l’accento soprattutto sulle sue paure: “la parte conclusiva del mio tragitto è il pezzo di vita che più mi fa paura affrontare … il pensiero della fase terminale mi crea molta angoscia. Ho paura del dolore, mi affligge l’idea di diventare un peso per i miei familiari, non voglio lasciare il ricordo di un peso”.
In un paragrafo esprime un pensiero profondo riguardo al malato terminale: ”il malato terminale benché ancora in vita è già fuori dal nostro mondo”; la lettura dello stesso crea nel lettore un’infinità di pensieri .
L’autrice sottolinea inoltre che alla base della relazione tra l’operatore sanitario e il malato deve esserci empatia: “mai chiudere la porta dell’empatia con il malato”. Gli ingredienti per instaurare una relazione di fiducia sono da ricercarsi nella comunicazione efficace.
4) Dall’altra parte (Sandro Bartoccioni, Gianni Bonadonna, Francesco Sartori)
Gli autori del testo sono tre medici ammalati di gravi malattie che fanno uno spaccato realistico dell’attuale mondo sanitario visto con gli occhi di coloro che per molti anni sono stati: «dall’altra parte». Descrivono un mondo sanitario disumanizzato, lontano da quel processo di umanizzazione più volte citato da coloro che hanno la funzione di amministrare la sanità; descrivono anche il rapporto umano tra il malato e l’operatore sanitario, un rapporto che potremmo definire delle volte “surreale” perché l’operatore sanitario, impegnato nelle sue attività tecniche, spesso dimentica di considerare in modo olistico la persona che ha di fronte.
Singolare è l’episodio raccontato dal Dottore Bonadonna che, stanco del comportamento di una logopedista lacunosa nella sensibilità e nel rapporto umano nei suoi confronti, la richiamò al rispetto della sua sofferenza con le inquietanti parole con cui il manzoniano Fra Cristoforo gelò il sangue di Don Rodrigo: «verrà un giorno».
Le ultime pagine del testo riportano un decalogo dedicato agli ammalati: ”Agli ammalati e ai morenti va dato tutto quanto ci è possibile, poiché loro sono noi e noi siamo loro, e ciò che gli doniamo è donato a noi stessi”.
Il punto 6 del decalogo è dedicato interamente al personale infermieristico: “L’altra metà del cielo il personale infermieristico”.
I tre medici scrivono: “Degli infermieri si parla troppo poco rispetto all’importanza che rivestono nell’organizzazione sanitaria… Essi sono sovente sotto organico e sottopagati; a fronte della richiesta che gli viene fatta di sempre maggiore specializzazione… gli infermieri si ritrovano nella pratica quotidiana a doversi occupare di mansioni a tutto campo e sovente al di sotto della loro qualifica professionale”.
Risultati
La ricerca qualitativa fenomenologica nelle diverse autobiografie considerate dà un quadro variegato della visione della figura infermieristica, ed è facile notare come la considerazione di questa professione sia diversa negli autori che non lavoro nel mondo sanitario da quella degli autori che invece appartengono a tale mondo.
La lettura delle autobiografie evidenzia però un unico comune denominatore: la figura centrale che l’infermiere svolge nel servizio sanitario, l’importanza della relazione che instaura con il malato per il quale diventa un sostegno morale, un “sole in corsia”. L’infermiere riesce ad attivare un canale comunicativo speciale con il malato, è in grado di ”connettersi” con la sua anima e addirittura comunicargli con lo sguardo una buona notizia.
Conclusioni
Le autobiografie lette tracciano un affresco della figura infermieristica che ne esce vittoriosa soprattutto quando il protagonista della storia è un malato che lavora nel mondo sanitario.
Le diverse esperienze descrivono la professione infermieristica come una professione aperta all’altro, una professione che basa la relazione con la persona assistita su fondamenti umanistici.
L’infermiere ha chiaro il concetto che è alla base della creazione di una relazione di fiducia con il malatoa solo il rispetto assoluto, l’ascolto intriso di umanità, in una sola parola, la visione olistica del paziente potrà fare stabilire una “connessione” tra il malato e l’infermiere. Solo così l’infermiere sarà in grado di percepire la situazione dell’altro, di aiutarlo a esprimere e condividere sentimenti ed emozioni, e sostenerlo nei momenti di paura, e renderlo quindi un alleato sincero, che riesce a vedere le cose come le percepisce il malato.
La stessa visione delle cose e percepirle allo stesso modo significa sapersi specchiare nell’animo del malato ”essere con il malato”. La professione infermieristica ha ben chiaro che il malato oltre all’aspetto tecnico delle cure ha bisogno anche di un processo di cura che sia interdisciplinare, che comprenda quelle materie appartenenti allo scibile umanistico, materie fondamentali per formare un legame, una relazione autentica tra i diversi “attori dell’opera malattia“.
Potremmo a questo punto fare un paragone tra un’opera d’arte che per essere compresa anche da chi non è un esperto deve essere inserita i in un contesto storico/artistico/culturale che ne consenta una visione a tutto tondo e quindi non solo con lo sguardo di un esperto d’arte, ma con una prospettiva che si avvicini semmai all’antropologia che ne permetta di captare il senso di “bellezza”. Cosi gli operatori sanitari non devono curare solo l’aspetto tecnico dell’assistenza ma soprattutto l’aspetto antropologico per carpire l’essenza del processo assistenziale.
Gli operatori sanitari devono comprendere che, alla base di una riforma in chiave moderna del sistema sanitario, deve esserci la costruzione di una nuovo modello di relazione tra gli attori del mondo sanitario.
Solo una relazione basata su valori umanistici darà un nuovo orizzonte al mondo sanitario che sarà fatto di operatori sanitari in grado di essere, per una sorta di osmosi, protagonisti di un processo di cura armonico in grado di soddisfare a pieno i bisogni del malato.
Conclusioni
Le autobiografie revisionate fanno un quadro realistico della professione infermieristica. La professione infermieristica fondamentale per il sistema sanitario, ma soprattutto necessaria per l’assistenza ai malati terminali che devono: ”essere accompagnati in una morte serena” come affermava Florence Nightingale, in una parola esserci.
Il malato terminale percepisce la presenza dell’infermiere come un aiuto reale lo sente dentro come un appoggio. L’infermiere un alleato del malato che lo accompagna nel viaggio della sofferenza e che rende lo stesso meno buio; l’infermiere raggio di luce, colui che è in grado di comprendere l’universo dei sentimenti, delle sensazioni della persona che ha difronte, colui che è in grado di dare calore umano di far provare emozioni positive nello sconforto totale. L’infermiere sa bene che solo instaurando una relazione di fiducia riuscirà nel suo intento; relazione di fiducia necessaria nell’applicazione della disciplina infermieristica per aprire quel libro pieno di cognizioni di emozioni di esperienze che è il malato che abbiamo difronte.
La professione infermieristica ha sempre saputo che l’approccio ai bisogni del malato deve essere olistico dinamico, condizione questa per essere “connessi” con il mondo interiore del malato. In un futuro non lontano la disciplina infermieristica, disciplina prevalentemente umanistica, acquisirà sempre più importanza perché il malato ha compreso che non esiste una “medicina migliore” di quella che solo un infermiere può donare:
un sostegno emotivo, un’esserci sempre, un “toccare il corpo” e sentire la sue energia, dare dignità e sicurezza e come afferma il prof. Umberto Veronesi nel suo libro il Diritto di Morire: ...il bisogno di un amico che sappia prendersi cura, che conosca il concetto di assistenza. L’infermiere, potremmo dirlo ad alta voce è quell’amico.
Bibliografia
1- Umberto Veronesi- Il Diritto di Morire – Oscar Mondadori.
2- Walter Pellegrini- Le Radici del Futuro- C.G. Edizioni Mediche Scientifiche.
3- Sylvi e Menard- Si può Curare- Mondadori.
4- Giacomo Cardaci- La formula Chimica del Dolore- Mondadori.
5- Melania Rizzoli- Perché proprio a me ?- Sperling & Kupfer.
6- Louise O’Reilly- Essere con- C.G. Edizioni Mediche Scientifiche.
7- Sandro Bartoccioni, Gianni Bonadonna, Francesco Sartori- Dall’altra parte- Bur.
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