Si pone per l’ennesima volta il problema della sicurezza delle trasfusioni di sangue nella parte relativa alla loro esecuzione dopo il caso di Grosseto nei giorni scorsi.
Le notizie di stampa ci informano che la procura della Repubblica ha iscritto nel registro degli indagati ben undici persone per la morte di un signore di settantasei anni ricoverato nel reparto di rianimazione dell’ospedale Misericordia. Le indagini e le perizie stabiliranno l’eventuale nesso di causa tra l’errore e la morte del paziente che, visti i precedenti, non è comunque scontato.
Ci interessa, in questa sede, porre delle riflessioni più di carattere generale prendendo spunto dal caso accaduto in Maremma.
Il problema sicurezza nelle pratiche trasfusionali si collega direttamente alla legittimità dell’agire professionale dei professionisti che la pongono in essere. La confusione tra i due aspetti deve in realtà essere accuratamente evitata.
Cerchiamo di fare chiarezza. Per disposti normativi storici l’esecuzione della trasfusione era considerata un atto di stretta pertinenza medica. In conseguenza di questo principio vi era una normativa che attribuiva al medico le fasi della somministrazione. All’infermiere era riservata la tradizionale “assistenza al medico” di mansionariale memoria.
Negli anni novanta in relazione alle necessità di sicurezza si introduce la pratica del “doppio controllo” medico-infermiere che richiede una presenza contestuale e al letto del paziente, dei due professionisti. L’esecuzione dell’atto trasfusionale rimaneva del medico, competendo all’infermiere una parte del regime dei controlli.
Nel 2007 il ministero della salute pubblica una “raccomandazione” (Raccomandazione per la prevenzione da reazione trasfusionale da incompatibilità AB0) in cui – nella parte relativa alla esecuzione della trasfusione – non opera più un riferimento alla coppia medico-infermiere ma al doppio controllo effettuato da “due operatori”. In una interpretazione evolutiva della normativa assimilando, per assurdo, la raccomandazione ministeriale e una vera e propria normativa, arriviamo alla conclusione che la presenza medica nella fase esecutiva potrebbe essere sostituita dalla presenza infermieristica: doppio controllo si, ma anche a opera di due infermieri sia nella fase di controllo che nelle fasi di materiale esecuzione della trasfusione (visti anche i cambiamenti normativi intercorsi nelle normative di esercizio professionale).
Lo stesso ministero però – per motivi non chiarissimi – revisiona l’anno successivo (2008) la raccomandazione facendo sparire il riferimento non solo ai “due operatori” ma anche al doppio controllo.
Nelle aziende sanitarie e ospedaliere comunque le procedure sono rimaste ancorate al doppio controllo con la coppia medico-infermiere.
A ogni incidente trasfusionale, nella sola Toscana ne sono accaduti quattro nell’ultimo anno, si ripete che “sono state rispettate le procedure di identificazione”. A questo punto vi è da domandarsi se il problema non siano proprio le procedure.
Proviamo provocatoriamente a domandarci se il doppio controllo prima e il doppio controllo medico-infermiere in particolare, siano misure atte a prevenire gli errori oppure se, contengano al loro interno, meccanismi che possono generare a loro volta gli errori.
Il doppio controllo, per essere efficace, deve essere contestualmente fatto al letto del paziente da un medico e un infermiere. In caso di trasfusioni multiple destinate allo stesso paziente, poi, tale operazione deve essere ripetuta a ogni sacca da trasfondere. Sempre da un medico e un infermiere contestualmente.
Le attuali organizzazioni dei reparti in epoca di spending review non possono non risentire dei pesanti tagli al personale che sono stati operati nelle varie manovre economiche dei vari governi che si sono succeduti. Questo significa che nelle corsie e nei reparti ospedalieri italiani è presente meno personale. Siamo sicuri che oggi sia applicabile una procedura che preveda sempre il doppio controllo – contestuale! – medico-infermiere oppure se tale procedura sia solo di facciata e il doppio controllo venga fatto non contestualmente ma si limiti a un controllo della cartella da parte del medico e una relativa esecuzione effettuata dall’infermiere? In questo secondo caso la procedura, lungi dal garantire le condizioni di sicurezza, rischia di essere deresponsabilizzante sul regime dei controlli proprio nella fase in cui il sangue viene applicata la sacca al paziente. Vi sono reparti in cui la presenza medica non è garantita nelle ventiquattro ore e anzi tende progressivamente a diminuire.
In questi anni sono diminuite guardie e pronta disponibilità della dirigenza medica e la tendenza è ancora alla diminuzione per disposizioni normative post spending review attuate dalle regioni (anche dalla stessa regione Toscana che ha elaborato il progetto del “Night Hospital” dove si prevede una “razionalizzazione” delle presenze mediche notturne). E’ compatibile una procedura simile – doppio controllo medico-infermiere - in un contesto in cui la presenza medica viene rarefatta dalle stesse organizzazioni? La domanda posta - come si vede – risulta retorica.
La stessa procedura del doppio controllo sembra essere un alibi ormai abusato. Nella raccomandazioni ministeriali il doppio controllo dovrebbe essere fatto: nelle trasfusioni, nei farmaci “ad alto livello di attenzione” come ha stabilito la raccomandazione ministeriale numero 7 del 2008 (che sono un numero enorme: agonisti adrenergici, anestetici generali endovena, anestetici locali iniettabili, bloccanti neuromuscolari, anticoagulanti, eparina, warfarin, antiaritmici, antineoplastici, stupefacenti, oppioidi, benzodiazepine endovena, digossina, insulina, ipoglicemizzanti orali, sodio nitroprussiato, soluzioni concentrate di sodio cloruro, soluzioni concentrate di potassio cloruro, soluzioni concentrate di potassio, soluzioni di calcio, soluzioni di magnesio) e, da ultimo, per i farmaci antineoplastici (raccomandazione n. 14/2012).
Anche qui la domanda – assolutamente retorica – è la stessa: è compatibile il doppio controllo per questo alto livello di attività con l’organizzazione attuale dei reparti e dei servizi?
Registriamo invece il ritardo con cui con i processi tecnologici (braccialetti elettronici, armadi intelligenti, scanner ecc.) si potrebbero realmente evitare molti errori.
Si ha la sensazione che a ogni caso che ha un riflesso mediatico importante – come in questi giorni il caso dell’ospedale di Grosseto – si rendano più stringenti e pesanti le procedure conoscendone la loro inapplicabilità.
Il tutto fino al prossimo errore.
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