Quando scegliamo questo lavoro sappiamo veramente a cosa andiamo incontro? In questi giorni ho sentito molto parlare della competenza, di cosa ci spetta o meno e di quale sia il nostro campo d’azione. Sappiamo bene che non è solo un ordinamento didattico, un profilo professionale e un codice deontologico a raccontare ciò che facciamo, quello che siamo. Noi siamo molto più di tutto questo.
Grazie agli infermieri che sanno ancora farsi trasportare
Siamo infermieri, vi pare poco?
Il Professor Manara ha detto che Infermieristica è la più bella fra le professioni sanitarie, perché siamo gli unici sempre accanto al paziente , vi pare poco?
Questa è una grande verità, qui si snocciola tutto il nostro essere, fare, insegnare, ricevere, perché la nostra professione è uno scambio continuo di idee, pensieri, a volte anche contrastanti ma è quello che facciamo ogni giorno con i nostri pazienti, i nostri colleghi.
Ogni giorno ci portiamo a casa un pezzo in più di qualcun altro, perché volenti o nolenti assorbiamo qualcosa, anche inconsciamente, da qualcuno di “altro da noi”, da qualcuno che abbiamo assistito.
La cosa più bella che possiamo fare è lasciare anche un pezzo di noi a qualcun altro, un sorriso, un ricordo, un insegnamento, una rassicurazione, una cura. E se è vero che prendersi cura degli altri è anche prendersi cura di sé stessi, beh allora in questo dovremmo proprio esser maestri; spesso invece siamo svogliati, assonnati, stanchi, non vogliamo recepire lo sguardo dell’altro.
Gli anni passano, l’esperienza va consolidandosi, la consapevolezza si rafforza.
Quanto ci sentiamo importanti nel processo di cura delle persone? Cosa vogliamo lasciare di nostro agli altri?
Chi vogliamo essere veramente?
Quanto ci sentiamo attori partecipanti del processo di cura? Che responsabilità ci vogliamo assumere?
Queste domande dovremmo porcele più spesso.
Pochi giorni fa con il mio gruppo di colleghi abbiamo assistito una persona con una patologia neurologica degenerativa ; non ne vediamo molte e quindi forse quelle che “passano” rimangono impresse.
Quello che mi ha colpito di più è stata la reazione di alcuni miei colleghi, la loro umanità . Ho ascoltato la necessità dello sfogo delle loro parole, il loro pensiero personale, come si sono sentiti, perché non hanno dormito la notte pensando a quanto avevano sentito le loro orecchie, una diagnosi infausta che in maniera ancora più beffarda si era presa gioco non solo del padre, ma anche della figlia.
Ho visto un trasporto nei loro occhi , ho letto con attenzione le loro parole sulla diaria clinica, ho percepito la scrupolosità dei loro gesti. Ho visto che siamo ancora umani , nonostante tutto, nonostante i nostri limiti.
Ho assistito anche io quella famiglia, non è stato facile reggere lo sguardo e le parole di una ragazza poco più giovane di me che ti racconta l’ineffabilità della malattia che si è abbattuta anche su di lei.
Ho intravisto una giovinezza che probabilmente è volata via troppo precocemente o, peggio ancora, non c’è mai stata perché le cose importanti, da fare, erano altre, non c’era tempo per le frivolezze ma bisognava in qualche modo guardare avanti lo stesso.
Fare, essere infermiere è anche questo e non dobbiamo dimenticarcelo.
Grazie ai colleghi che sanno ancora farsi trasportare .
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