Tornare ad imparare da un paziente e dalla sua dignità di fronte alla sofferenza sono insegnamenti che nessuna facoltà può dare ed è questo il grande privilegio di poter fare un lavoro come quello dell’infermiere: essere così presente e così vicino alla sofferenza, essere immediatamente d'aiuto
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Infermieri, nelle relazioni c’è evoluzione
In occasione del 35° Congresso Nazionale Aniarti abbiamo riflettuto insieme al Dott. Nicola Donti - docente esperto in comunicazione e dinamiche interpersonali dell’UO Sviluppo, Qualità e Comunicazione Ausl Umbria 1 – sulle competenze comunicative e relazionali degli infermieri.
Quotidianamente gli infermieri vivono il rischio e la precarietà degli ambienti della sofferenza. Giorno dopo giorno, dopo giorno.
Precarietà e rischio, se ci si pensa bene, predispongono alle relazioni. Quando ci si sente vulnerabili spesso si cerca uno spazio di condivisione, si tende a relazionarsi con l’altro, nella speranza di riceverne un aiuto.
L’infermiere è il professionista che per più tempo sta insieme all’assistito e ha una grande opportunità di ascolto legata non tanto alle parole, quanto ai gesti, ai comportamenti del paziente
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Questa vicinanza, infatti, allena l’orecchio dell’infermiere e gli permette di mantenere un linguaggio che sia il più vicino possibile a quello dell’assistito, anche se la più grande opportunità di ascolto resta quella che ha negli occhi.
L’infermiere – afferma Donti - è avvantaggiato rispetto a tutte le altre categorie professionali che ruotano intorno alla sanità, perché resta fuori dallo schema di quella iperspecializzazione che spesso educa il medico ad una sorta di “incomunicabilità
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Per costruire competenze comunicative che siano realmente terapeutiche, partire da un ascolto attivo, partecipe, significa già partire con un modo significativo di comunicare.
Ciò di cui un infermiere può dare testimonianza è un ascolto attivo nel fornire risposte a paure legate ad aspetti emotivi, di comfort, che mettiamo sempre in secondo piano rispetto alla terapia
, sostiene Donti.
Ma quanto è terapeutico il gesto di una persona che ci sta vicino nel momento in cui la maggior parte della società ci abbandona?
Umiltà e “contaminazione”
La comunicazione – è bene ricordarlo - non riguarda solo il rapporto infermiere-assistito, ma anche quello fra i diversi professionisti della salute, i quali spesso, a turno, frappongono muri tra sé e gli altri, nel nome di una preconcetta superiorità.
Mai come quando si crede di saper fare qualcosa e la si fa per routine, aumenta la possibilità di commettere degli errori
Fare le cose per abitudine, prima che questo acquisisca l’accezione negativa di “routine” – continua Donti - ci consolida nelle nostre posizioni. Questo consolidamento ci aiuta a credere di poter avere tutto sotto controllo
, ma i fatti dimostrano che nessuno, da solo, può essere in grado di prendersi cura di un paziente.
Rimanere chiusi dentro i nostri confini, tenerci lontani dalla contaminazione con altre culture professionali, rende molto pericoloso il nostro lavoro.
Ecco che dovremmo esercitarci ad uscire dalle nostre “zone di comfort”, spingendoci verso zone per noi meno confortevoli, a tratti fastidiose, ma dalle quali sia possibile rivendicare spazi di condivisione e di relazione, volti al bene del paziente e dei professionisti stessi.
Bisogna essere molto umili per capire che si può imparare molto, molto da chi soffre. In un tema siamo molto ignoranti quando stiamo bene: la dignità. Quando le persone si ammalano è la prima cosa che rischiano di perdere ed è la cosa che difenderanno con le unghie e con i denti
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Infermieri, nel vostro lavoro c’è un grande privilegio: quello di essere immediatamente d’aiuto a qualcuno. È un privilegio, non è una disgrazia.
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