Ho 35 anni e lavoro come infermiera. Ho scelto di fare questo lavoro dopo la morte di mio fratello, a seguito di una lunga riflessione sulla necessità di difendere e accudire chi non è in grado di provvedere a sé perché fragile e quindi vulnerabile, sia fisicamente che mentalmente. Quando sono a lavoro cerco non solo di rispondere ai bisogni dei miei pazienti, ma di valutare anche la loro capacità di manifestare e rispondere a ciò che sentono. Cerco anche di infondere loro fiducia e lavoro per stimolare e mantenere la capacità di preservare la cura di sé e della propria autonomia. Oggi vorrei spostare il focus dal corpo alla mente, perché queste hanno la medesima importanza, lo voglio fare raccontando il mio vissuto familiare per far riflettere le persone che vedono il dolore psichico come un qualcosa di invisibile e quindi inesistente .
Ti porto con me
Ho 35 anni e lavoro come infermiera.
Alessio era un ragazzo sensibile, riservato e generoso. Andava alla Caritas ogni domenica e serviva il pasto alle persone indigenti, due notti al mese le passava al banco di accettazione di un ostello per i senzatetto.
Non glielo aveva imposto nessuno, sentiva di avere avuto la fortuna di ritrovarsi un pasto caldo a casa e un tetto sulla testa. Si rendeva disponibile affinché chi ne era stato privato, per le circostanze della vita, potesse soddisfare quei bisogni primari, mangiare e dormire al sicuro.
Serviva e proteggeva i più bisognosi con la sua nobiltà d’animo senza avere niente in cambio. Era un ragazzo intelligente ed empatico, sorrideva e ascoltava gli altri in silenzio, sentiva il loro dolore e non emetteva giudizio alcuno, cercava di aiutare e donare parole di conforto e coraggio.
Ogni giorno guardava le tante ingiustizie del mondo: le prevaricazioni a discapito dei più fragili, omicidi, guerre, divario tra ricchezza e povertà e faceva del suo meglio con la sua umanità per lottare contro di esse. Sentiva un profondo dolore che si ripercuoteva esteriormente nella sua fisicità sempre più gracile insieme a una grande stanchezza che lo costringeva a lunghi periodi di riposo.
Portava dentro di sé tanta tristezza per ciò che vedeva e la sua era invisibile agli occhi di tutti. Anche lui aveva bisogno di quell’amore e di quella protezione che elargiva genuinamente, ma non ne ebbe l’opportunità; spesso veniva deriso e incompreso anche dai suoi cari per la sua sensibilità, non fu in grado di chiedere aiuto e quando quello che sentiva attraverso gli altri e dentro di sé divenne troppo da sopportare, si sentì impotente e decise di cancellare la sua identità segnata da troppa sofferenza. Smise di lottare e cedette al vuoto.
Alessio ci ha illuminato la via della rettitudine affinché fossimo responsabili delle nostre parole e delle nostre azioni, ci ha insegnato l’amorevole gentilezza, il rispetto, la compassione e la tolleranza.
Allora vi chiedo di guardare a voi stessi e di cercare di comportarvi con rispetto verso il prossimo così come fareste con voi, di guardare ai vostri errori e porvi rimedio, di domandare a chi avete davanti come si sente ed essere disponibili all’ascolto privo di giudizio e condizionamenti, di donare un abbraccio alle persone a cui tenete e di risolvere i conflitti senza violenza .
Il cambiamento parte da ognuno di noi se si ha il coraggio e la determinazione per farlo, non vi dico che sarà facile ma ogni giorno potete renderlo un passo in avanti verso la migliore versione di voi stessi. Non è mai troppo tardi, siate consapevoli!
Datevi amore, rispetto e compassione e sarete in grado di donarli agli altri, chiedete aiuto quando sentite che siete sopraffatti, siate coraggiosi, proteggetevi come fareste con un bambino.
Siate valorosi e amorevoli e la vita per voi tornerà a colori. Ascoltate il vostro corpo, sentite il vostro dolore e lasciatelo andare. Se lo reprimerete vi incatenerà, rendetevi liberi di esistere e di essere.
Alessio mi aveva detto che non ero sola e di impegnarmi. Grazie a te, caro fratello, ho visto che non sono sola, che ci sono tante persone che apprezzano la mia sensibilità e hanno cura della mia vulnerabilità. Io non ho più paura di quel vuoto.
Paola Valeria Desole | Infermiera
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