Quando sei infermiere, sei infermiere sempre nella vita, in ogni ambito
. A parlare è una giovane infermiera, Debora Bizzarri, che è passata attraverso diverse esperienze lavorative e oggi più che mai capisce il valore dell’essere infermiere.
Fare l’infermiere non è essere infermiere
Durante gli anni di studio ho sentito i miei professori che ci ripetevano in continuazione che l’importante non è “fare l’infermiere”, ma “essere infermiere”. Ci ribadirono più volte che l’infermiere si prende cura della persona e del suo contesto familiare. Ci fecero studiare gli articoli del codice deontologico. Durante il tirocinio fu difficile per me capire veramente cosa significasse prendersi cura totalmente di una persona. Ho lavorato a fianco di infermieri molto validi, preparati e sensibili, che mi hanno aiutato molto nella mia crescita professionale, ma il problema più grande che anche loro dovevano affrontare era il tempo. Non c’era quasi mai tempo! Tanta burocrazia, ma poco tempo da dedicare al paziente, per ascoltare, poco il tempo per una parola in più, poco il tempo per una carezza, un’attenzione in più.
Dopo la laurea mi ritrovai ad affrontare il duro mondo della ricerca di un lavoro, lavoro dove potevo ridonare quello che avevo appreso nello studio e che avevo nel cuore. Avevo altri progetti nella mia vita, ma avevo assolutamente bisogno di lavorare e quindi la ricerca del posto di lavoro si è allargata oltre le mie competenze professionali. Dopo aver tentato inizialmente di presentare domande nelle aziende della mia città (una realtà molto piccola) e visto l’impossibilità di trovarlo, iniziai così a cercare lavoro in altri ambiti.
Dentro di me però quell’interrogativo rimaneva:
Che cosa significa realmente e veramente prendersi cura di una persona?
Iniziai a lavorare in una casa di accoglienza per ragazze profughe, non svolgevo un lavoro prettamente infermieristico, ma di un’operatrice. Fu difficile all’inizio accettare di non lavorare come infermiera: avevo studiato tre anni, avevo fatto tanti sacrifici, stavo per sposarmi e avevo bisogno di lavorare senza però voler uscire dall’ambito regionale come tanti miei colleghi sono stati “costretti” a fare. Iniziai però ad innamorarmi pian piano di quel lavoro e passando il tempo, veramente capii l’essenza del prendersi cura di una persona e il mio essere infermiera che inevitabilmente ormai era parte di me veniva a galla. Ogni operatrice si occupava di un ambito, chi seguiva la parte legale, chi la parte sociale, chi come me seguiva la parte sanitaria. Lavoravo con delle ragazze che avevano dei bisogni, a partire da quello primario del mangiare, al vestirsi, delle cure specialistiche, all’apprendere la nostra lingua, ma soprattutto avevano bisogno di amore, di essere ascoltate, di un abbraccio. Spiegavo loro cose che per noi potevano essere scontate come le lezioni sul modo di lavarsi le mani, educazione all’igiene intima, educazione nel modo di vestire, stipulare programmi per una sana alimentazione, come prevenire alcune malattie, programmare screening, come assumere correttamente la terapia nel caso in cui si riscontrava una patologia, tradurre e star loro accanto quando i medici annunciavano le diagnosi a volte anche molto dolorose. Per loro tutto questo era fuori dal loro mondo.
Con le altre operatrici poi lavoravamo insieme, facevamo delle riunioni in modo da poter assisterle completamente sotto tutti gli aspetti della propria vita. Stando con loro capii veramente cosa significasse prendersi cura di una persona in toto, individuare quali fossero i loro bisogni mettendosi nel loro panni e aiutarle ed accompagnarle a soddisfarli cercando di capire quale poteva essere l’intervento più adatto. Era un progetto di cura ed educazione.
Quando cambiai lavoro e iniziai a lavorare come infermiera presso una residenza per persone anziane, cercai di ricavare del tempo per alcuni gesti e attenzioni verso di loro e vidi l’importanza di azioni apparentemente insignificanti come pettinarli come piaceva loro o metterle qualche goccia di profumo, ascoltarli, parlarci, scherzare anche solo per farli sorridere per un momento. Vedere il loro sguardo pieno di gratitudine valeva più di tutto, forse era proprio quello di cui avevano veramente bisogno.
Sì, ma lì non fai l’infermiera
, In quella struttura non si fanno medicazioni avanzate… non si inseriscono aghi cannula, ecc…
. Quante volte ho sentito queste frasi da alcuni miei colleghi. Ed è così, sentendo queste parole che mi è sorto un dubbio. Siamo passati da un infermiere considerato come mero esecutore di procedure ordinate dal medico a un professionista della salute autonomo. Si hanno quindi maggiori competenze tecniche, ma si ha anche e soprattutto una competenza relazionale ed educativa. Si pensa che la tecnica sia la cosa più importante, sono disponibili un’infinità di corsi di specializzazione e di formazione su procedure sempre più avanzate, ma non si è capito che in realtà la tecnologia sta andando avanti. Ci sono macchine in grado di svolgere procedure di competenza infermieristica, come ad esempio un prelievo ematico, ma ciò che una macchina non potrà mai sostituire è il cuore di una persona, il calore e il conforto che questa può dare a chi sta vivendo un momento di grande difficoltà e disagio.
Non fraintendetemi, non sto screditando l’importanza di corsi di formazione, master ecc … che sono molto preziosi, anzi dovremmo essere tutti sempre aggiornati e formati, ma quello che voglio dire è che tutti potenzialmente possono imparare ad eseguire le procedure infermieristiche, tecnicamente parlando, tutti possono essere capaci, ma pochi possono essere infermieri.
Forse si sta perdendo di vista l’essenza di quello che siamo, forse troppo spesso si riduce il tutto solo al fare
Mi è capitato di trovarmi dall’altra parte ed essere paziente e ho veramente capito l’importanza di un sorriso, di una mano sulla spalla quando non sai cosa ti aspetta, mentre provi solo paura e preoccupazione, l’importanza di spiegare, di tranquillizzare anche solo con piccole parole. Le persone non ti ricorderanno solo per la tua bravura e preparazione, ma soprattutto per il tuo modo di essere, per come ti sei comportato in quella situazione. Puoi essere un infermiere preparatissimo, competente, ma se non sei infermiere il resto è inutile.
Quando sei infermiere, sei infermiere sempre nella vita, in ogni ambito. Concludo con una frase famosa di Florence Nightingale
L’assistenza è un’arte; e se deve essere realizzata come arte, richiede una devozione totale e una preparazione, come qualunque opera di pittore o scultore, con la differenza che non si ha a che fare con una tela o un gelido marmo, ma con il corpo umano, il tempio dello Spirito di Dio. È una delle belle arti, anzi la più bella delle arti (cit. Florence Nightingale)
Debora Bizzarri, infermiera
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